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"Cellulari aziendali: cosa fare per non sottovalutare il rischio"

di Giovanni Casillo, Medico del Lavoro / Salute

26/02/2020 - La recente sentenza d'appello del tribunale di Torino, che condanna l'INAIL ad indennizzare la malattia professionale ad un lavoratore ammalatosi di neurinoma dell'acustico collegandolo all'utilizzo lavorativo del cellulare, si integra con una corposa letteratura scientifica, fra cui lo studio Interphone (2000-2004), che evidenzia "aumento del rischio di gliomi e neurinomi con l'aumentare della dose cumulativa di esposizione a CEM".
L'Istituto Ramazzini a Bologna e il National Toxicology Program americano evidenziano che ratti esposti a CEM dei cellulari 2G e 3G si ammalano di tumori assenti nei ratti non esposti.
Anche l'Istituto Superiore di Sanità non nega il sospetto consigliando auricolari e ulteriori studi.
È evidente che chi usa il cellulare occasionalmente non è nelle stesse condizioni di rischio di chi lo usa ore al giorno.

Le attuali conoscenze rendono necessario " educare le persone ad un uso del cellulare meno primitivo, più corretto e consapevole" .
Il rischio da cellulari è legato alla dose cumulativa di CEM assorbita (che dipende molto dal corretto uso e dal tempo trascorso a telefono) e bisogna mirare a ridurla il più possibile.
Il D.Lgs. 81/08 è chiaro, il Datore di Lavoro che fornisce "lo strumento di lavoro-cellulare", per ridurre il rischio deve: far rispettare le indicazioni di sicurezza fornite dal produttore; dare informazione e formazione; fornire DPI.

Il Datore di Lavoro quindi dovrà:

A. fornire cellulari a basse emissioni/SAR e scegliere l'operatore telefonico che ha più campo in azienda.
B. prevedere un piano formativo che contempli almeno i seguenti punti:
a. non portare il cellulare in tasca vicino ai testicoli e/o in prossimità del cuore;
b. informare della distanza minima telefono-testa indicata dal produttore;
c. come telefonare riducendo le emissioni (ad esempio: telefonando ove c'è maggior campo senza muoversi troppo, ecc.) e l'assorbimento da parte dei tessuti (ad esempio: cambiando l'orecchio che ascolta, ruotando la mano quando si parla in modo che l'antenna sia più lontana dalla testa, ecc.);
d. preferire il telefono a filo, quando non è possibile utilizzare vivavoce e videochiamata come prima scelta;
e. Se non è possibile rispettare il punto 4, utilizzare auricolari a filo (non bluetooth) tenendoli puliti e disinfettati per evitare otiti;
f. applicare un distanziofono al cellulare quando non è possibile rispettare i punti 4, 5;
g. riconoscere i primi sintomi delle "patologie cellulare-mediate" e comunicarli al medico competente (mal di testa, otiti, acufeni, ipoacusia, intorpidimento, formicolio e/o dolore della faccia, problemi visivi, dolori osteomuscolari di mano e polsi, ecc.).

C. insieme ai ben noti auricolari a filo, fornire un distanziofono: dispositivo di basso costo, lavabile e di semplice utilizzo che consente di tenere, "sempre ed obbligatoriamente", la distanza di sicurezza telefono testa indicata dal produttore anche nelle condizioni lavorative in cui non sia possibile usare il vivavoce o gli auricolari (eccessiva rumorosità ambientale, bisogno di privacy e/o necessità di ridurre il consumo della batteria, ecc.).

Il distanziofono, per le equazioni di Maxwell ("l'intensità di un CEM in un determinato punto è inversamente proporzionale al quadrato della distanza del punto dalla fonte del CEM"), riduce SAR ed effetto termico ed è pertanto inquadrabile nei DPI di categoria I secondo il D.Lgs. 17/2019 (che attua il Regolamento Europeo 2016/425) in quanto la sua applicazione al cellulare durante una telefonata, abbatte l'incremento della temperatura cutanea in sede auricolare e periauricolare che si verifica in sua assenza.

D. consentire al medico competente di eseguire gli esami diagnostici necessari in caso di insorgenza di sintomi sospetti.

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