"La valutazione dei rischi e il DVR ai tempi del Coronavirus"
di Carmelo G. Catanoso / Valutazione dei Rischi
Mentre mi accingo a scrivere quanto segue, nella mia posta elettronica continuano ad arrivare messaggi che mi rammentano la necessità di procedere alla valutazione del rischio ed alla redazione del DVR riguardo il Corona Virus (SARS-Cov-2), proponendo pacchetti di aggiornamento software o modelli di DVR da personalizzare con prezzi che vanno dai 50,00 ai 250,00 euro + IVA.
Ovviamente, davanti a tali proposte, viene cinicamente immediato pensare che << più che quanta gente ci muore per la mancanza di sicurezza, dovremmo chiederci quanta gente ci campa>> anche e soprattutto speculando, in un momento come questo.
Del resto, a proposito di speculazioni, basta andare su un qualunque sito di vendita on line per vedere a che prezzi astronomici sono arrivate le mascherine ed i flaconcini di amuchina (aspettiamo con fiducia che qualche Procura si muova al riguardo).
Nei vari gruppi tematici di discussione presenti sul web e frequentati da noi tecnici, visto il citato bombardamento a cui siamo sottoposti, l’argomento principe è quello della sussistenza o meno dell’obbligo di valutazione del rischio da Corona Virus.
Come al solito si sono formate due correnti di pensiero.
Quanto segue è l’opinione di chi scrive e come tale non deve essere presa come un dogma così come non deve essere presa come un dogma l’opinione opposta anche se proveniente da chi opera, ad esempio, in posizioni direttive di un organo di vigilanza visto che, al dogma dell’infallibilità, sembra stia rinunciando anche il Papa.
L’opinione di chi scrive deriva da un fatto incontrovertibile e cioè che i rischi che devono essere oggetto della valutazione dei rischi e del conseguente DVR, sono i rischi professionali e cioè i rischi per la SSL a cui è esposto un lavoratore nell’espletamento della sua attività lavorativa nella specifica mansione all’interno dell’organizzazione aziendale.
Per averne conferma basta, ad esempio, leggere la definizione di Prevenzione (art. 2 comma 1, lett. n) del D. Lgs. n° 81/2008) e quella di Servizio di Prevenzione e Protezione dai Rischi (art. 2 comma 1, lett. l) del D. Lgs. n° 81/2008).
Conseguentemente, il riferimento a << tutti i rischi>> poi citati all’art. 15 ed all’art. 28 comma 1 del citato decreto non può che far riferimento ai rischi professionali endogeni all’organizzazione aziendale.
A questo punto ci si deve domandare se il rischio biologico da Corona Virus sia o no un rischio professionale.
La risposta non può che essere: dipende….
Certamente è un rischio professionale per coloro che, operando in una organizzazione aziendale, espletano una mansione che determina un incremento dell’entità del rischio rispetto al resto della popolazione o ad altri lavoratori perché, anche se non nasce all’interno dell’organizzazione aziendale, l’aumento dell’entità del rischio è legata alla mansione espletata nella specifica attività lavorativa.
Altrettanto certo è che non è un rischio professionale per coloro che, operando in una organizzazione aziendale, espletano una mansione che non determina un innalzamento dell’entità del rischio rispetto al resto della popolazione. In questo secondo caso, siamo di fronte a un rischio esogeno perché non nasce all’interno dell’organizzazione aziendale, non è prevenibile dal datore di lavoro e non è legato alla mansione espletata ed alla relativa attività lavorativa.
Nel
primo
caso, ci rientrano, ad esempio, coloro che operano all’interno delle
strutture sanitarie come coloro che stanno studiando il virus.
Ci rientrano
anche quelle categorie di lavoratori che svolgono le attività indicate
all’Allegato XLIV al D. Lgs. n° 81/2008
[1]
;
qui pur non essendoci la deliberata intenzione di operare con agenti biologici,
esiste un rischio di esposizione ad essi.
Si è di
fronte, quindi, ad attività lavorative in cui è possibile il contatto con
agenti biologici; queste aziende hanno l’obbligo di procedere alla valutazione
del rischio da agenti biologici e aggiornare, quando necessario, la stessa in
quanto, la probabilità per il proprio personale di contrarre una qualunque
infezione, è palesemente maggiore a causa della specifica attività svolta.
Nel
secondo
caso, ci rientrano tutti gli altri….ed è su questi che oggi si sta facendo una
grandissima confusione ponendoli sullo stesso piano di coloro che rientrano nel
primo caso.
Il fatto
innegabile è che, ad oggi, ci sia un rischio di contagio.
Contagio che
può avvenire sia sul posto di lavoro che in altri ambienti di vita.
Chi sostiene
che tale rischio debba essere valutato, ad esempio, dal datore di lavoro di
un’azienda metalmeccanica alla stregua di tutti gli altri rischi aggiornando il
DVR, fa riferimento, oltre ai già citati artt. 15 e 28 del decreto, anche a:
Vediamo cosa
dicono questi tre provvedimenti.
L’Interpello
n° 19841 del 25/10/2016 riguardava la risposta al quesito relativo alla
valutazione dei rischi ambientali e sicurezza del posto di lavoro del personale
navigante delle compagnie aeree.
Si chiedeva
<<…
se nell’obbligo giuridico in capo al datore di lavoro della valutazione di tutti
i rischi per la salute e la sicurezza con la conseguente elaborazione del
documento di valutazione dei rischi (DVR), così
come disciplinato dagli artt. 15, 17 e 28 del D.Lgs. n. 81/2008 sia ricompresa
anche la valutazione della situazione ambientale e di sicurezza intesa anche
come security, in particolare in paesi esteri ma non solo, legata a titolo
esemplificativo ma non esaustivo ad eventi di natura geo politica, atti
criminali di terzi, belligeranza e più in generale di tutti quei fattori
potenzialmente pericolosi per l’integrità psicofisica dagli equipaggi nei
luoghi (tipicamente aeroporti, alberghi, percorso da e per gli stessi e loro
immediate vicinanze) dove il personale navigante si trovi ad operare/alloggiare
quando comandati in servizio>>.
Appare
chiaro che qui si stia parlando di personale che opera nell’ambito
dell’organizzazione di un datore di lavoro (Compagnia Aerea) e che tali rischi
si concretizzino durante l’espletamento della specifica mansione: piloti e
assistenti di volo.
Qui la
prestazione lavorativa è caratterizzata da modalità di svolgimento imposte dal
datore di lavoro della Compagnia Aerea con la conseguenza che tutto ciò che
accade nel corso della stessa deve essere considerato come verificatosi in
attività di lavoro, in quanto accessorio alla stessa e ad essa funzionalmente
connesso, e ciò dal momento in cui l’attività ha inizio e fino al momento della
sua conclusione.
Quindi, il
rischio di essere coinvolti in eventi come quelli citati ma anche al contagio
di una qualche infezione, deriva direttamente dallo svolgimento della mansione
che prevede anche i viaggi in questi Paesi a rischio. Infatti, è ben diverso
sbarcare al Charles de Gaulle di Parigi rispetto all’aeroporto Hassan Djamous
di N'Djamena (CIAD) e da qui recarsi in hotel o atterrare al Bangoka di
Kisangani in Congo.
Di
conseguenza, è ovvio che il datore di lavoro debba preoccuparsi di individuare
i pericoli, valutare i rischi ed adottare le conseguenti misure organizzative e
procedurali.
Certo questa
non è una novità e non lo è sicuramente per il rischio di contagio da malaria,
febbre gialla, ecc. Basti pensare a tutto il personale delle aziende che da
decenni si reca per lavoro in queste aree a rischio con la preventiva
profilassi antimalarica e le varie vaccinazioni da fare.
Comunque, la
Commissione Interpelli, allo specifico quesito, aveva risposto come segue:
Il <<
rischio
generico aggravato>> a cui rimandano coloro ritengono necessaria la
valutazione del rischio contagio per tutte le aziende senza distinzione alcuna,
è definito come quel rischio <<
la cui maggiore gravità deriva
dalla stessa attività espletata che richiede al lavoratore di esporsi
maggiormente a determinati fattori di rischio>>.
Appare
chiaro, pertanto, che i contenuti di tale Interpello non possono essere certo
utilizzati per sostenere l’obbligo di valutazione dei rischi da Corona Virus
per le aziende industriali, ecc., in quanto lavorare in uno stabilimento
industriale non aumenta il rischio rispetto al resto della popolazione visto
che il rischio di contrarre il virus è lo stesso sia dentro che fuori
l’azienda, a meno che non si pensi che le interazioni tra persone possano
avvenire solo all’interno di questa e i lavoratori, appena usciti dal proprio
luogo di lavoro, conducano un’esistenza monacale in un eremo modello “
ora et
labora”?
Oppure si
pensa che la maggiore gravità derivi dal dover uscire di casa per recarsi al
posto di lavoro?
In questa
ipotesi dovremmo pensare che il personale, quando è in casa, conviva con altri
soggetti che, come lui, conducono un’esistenza monacale o siano affetti da
agorafobia
senza alcun contatto con altre persone esterne al nucleo familiare
ristretto.
Passiamo
adesso all’altro provvedimento i cui contenuti sono portati a sostegno della
tesi dell’obbligo di valutazione del rischio da contagio per tutte le aziende
indiscriminatamente.
La Circolare
del Ministero della Salute n° 3190 del 03/02/2020 ha per oggetto <<
Indicazioni
per gli operatori dei servizi/esercizi a
contatto con il pubblico>> ed è diretta
a ben identificati soggetti.
A pag. 3
della Circolare è testualmente riportato:
<<
Pertanto,
ad esclusione degli operatori sanitari, si ritiene sufficiente adottare le
comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via
respiratoria, e in particolare:
Qui vengono
fornite delle indicazioni solo per il personale che è a diretto contatto con il
pubblico e cioè una ben precisa categoria di lavoratori.
Questa
Circolare era stata pubblicata quando in Italia non era stata accertata la
presenza del virus.
Il 22
febbraio scorso è stata pubblicata la Circolare del Ministero della Salute n°
5443. Questa Circolare ha per oggetto <<
COVID-2019. Nuove indicazioni
e chiarimenti>> ed è stata pubblicata dopo l’accertata presenza del
virus in Italia. Essa è diretta a ben identificati soggetti e fornisce una
serie di indicazioni tra cui quella riguardante le modalità di <<
Pulizia
degli ambienti non sanitari>> raccomandando l’utilizzo di DPI:
filtrante respiratorio FFP2 o FFP3, protezione facciale, guanti monouso, camice
monouso impermeabile a maniche lunghe (seguire le misure indicate per la
rimozione in sicurezza dei DPI (svestizione) - dopo l’uso, i DPI monouso vanno
smaltiti come materiale potenzialmente infetto).
Anche i
richiami a queste Circolari non appaiono validi per giustificare la richiesta
di valutazione del rischio e redazione del DVR per le aziende industriali, ecc.
a causa di una potenziale esposizione al contagio da Corona Virus.
Del resto, i
fautori della necessità di valutazione del
rischio biologico e aggiornamento del DVR
dovrebbero ricordare che questo rischio, inteso come rischio indiretto per il
personale e cioè non derivante da un uso deliberato di agenti biologici, doveva
già essere affrontato nel DVR ove potenzialmente presente nell’espletamento
dell’attività lavorativa: si pensi, ad esempio, al personale addetto alla
manutenzione dei sistemi di depurazione delle acque reflue (vedasi Allegato
XLIV).
Ovviamente
ciò non vuol dire che le aziende non debbano preoccuparsi del problema ma
tutt’altro visto, quantomeno, l’art. 18 comma 1, lett. i) del D. Lgs. n°
81/2008 riguardante gli obblighi informativi a carico del datore di lavoro.
Pertanto,
ogni azienda, con il supporto del proprio Medico Competente (MC), dovrà emanare
una serie di disposizioni volte a ridurre la possibilità di contagio per il
proprio personale, seguendo le indicazioni fornite dalle Autorità Sanitarie.
Vediamo un
esempio di quali possano essere tali disposizioni:
o
adottare
queste accortezze anche nel proprio ambito familiare.
Questo
elenco di misure organizzative e procedurali, volte a prevenire il contagio e
la diffusione dello stesso, sono quelle diffuse dalle Autorità Sanitarie. La
loro concreta applicazione, ad esempio, in un’azienda metalmeccanica o elettronica
o …, è più che sufficiente per soddisfare quanto richiesto per ridurre al
minimo la possibilità di contagio.
Pertanto,
quale è il valore aggiunto derivante dal procedere ad una specifica valutazione
del rischio dell’agente biologico Corona Virus (fatta da chi e come?) ed
all’integrazione dell’esistente DVR, facendo ripartire, tra l’altro, il solito
loop
con data certa o firma congiunta di Datore di lavoro, RSPP, MC e RLS su questo
documento?
Quello che
conta non sono forse le azioni messe in atto dalle aziende, in funzione delle
proprie attività secondo quanto richiesto dalle Autorità Sanitarie, per
prevenire il contagio e la sua diffusione?
Se queste
considerazioni possono sembrare logiche, evidentemente non lo sono per coloro
che sapientemente hanno interesse a mantenere alto il clamore ed il livello di
attenzione suscitato dal Corona Virus, veicolando le interpretazioni più
integral-talebane, in quanto ne hanno fatto uno specifico business oppure per
semplice autoreferenzialità e spacciano tale scelta come sistema per preservare
le aziende da eventuali azioni da parte degli enti di vigilanza.
Comunque, è
importante sostenere con forza che,
escluse le attività citate dove il
rischio è di tipo professionale, non sussista l’obbligo formale di aggiornamento
del DVR proprio per evitare che, una volta passato questo periodo, ci siano
funzionari degli enti di vigilanza che vadano a contestare alle aziende il
mancato aggiornamento del DVR in riferimento a quello che per loro (solo per
loro) è il “
rischio biologico da Corona Virus”, infischiandosene delle
azioni concretamente attuate dall’azienda ed indicate dalle Autorità Sanitarie
che, invece, sono l’evidenza dell’attenzione del datore di lavoro verso la
tutela della salute dei propri collaboratori.
Vale la pena
di chiudere questo intervento, prendendo a prestito ed adattandolo alla
situazione attuale, quello che, un grande conoscitore degli italiani (A.
Manzoni), scrisse quasi duecento anni:
<<Il
buon senso c’è …. ma se ne sta nascosto per paura del senso comune!>>.
Carmelo G.
Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
[1]
Art. 271 comma 4: Nelle
attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’Allegato XLIV,
che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti
biologici, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli
stessi, il datore di lavoro può prescindere dall’applicazione delle
disposizioni di cui agli articoli 273, 274, commi 1 e 2, 275, comma 3, e 279,
qualora i risultati della valutazione dimostrino che l’attuazione di tali
misure non è necessaria.
All. XLIV
: Elenco esemplificativo di attività
lavorative che possono comportare la presenza di agenti biologici
1. Attività
in industrie alimentari.
2.
Attività nell’agricoltura.
3.
Attività nelle quali vi è contatto con gli animali e/o con prodotti di origine
animale.
4.
Attività nei servizi sanitari, comprese le unità di isolamento e post mortem.
5.
Attività nei laboratori clinici, veterinari e diagnostici, esclusi i laboratori
di diagnosi microbiologica.
6.
Attività impianti di smaltimento rifiuti e di raccolta di rifiuti speciali
potenzialmente infetti.
7.
Attività negli impianti per la depurazione delle acque di scarico.
<<… la Commissione ritiene che il datore di lavoro debba valutare
tutti i rischi compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle
caratteristiche del Paese
in cui la prestazione lavorativa dovrà essere
svolta, quali a titolo esemplificativo,
i cosiddetti «rischi generici
aggravati», legati alla situazione geopolitica del Paese (es. guerre
civili, attentati, ecc.) e alle condizioni sanitarie del contesto geografico di
riferimento non considerati astrattamente, ma che abbiano la ragionevole e
concreta possibilità di manifestarsi in correlazione all’attività lavorativa
svolta>>.
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