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"Classificazione dei rifiuti, le Linee Guida omogenee SNPA"

di SNPA / RIFIUTI

10/09/2020 -

Tra i numerosi documenti prodotti dal Servizio Nazionale per la Protezione dell’Ambiente ci sono alcune delibere chiave sul fronte della classificazione dei rifiuti. Tra queste vi è la delibera n.61 “Approvazione del manuale Linee guida sulla classificazione dei rifiuti”. Le Linee Guida SNPA hanno l’obiettivo di assicurare l’armonizzazione, l’efficacia, l’efficienza e l’omogeneità dei sistemi di controllo dei rifiuti e della loro gestione nel territorio nazionale.

Le linee guida del SNPA

Il Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (SNPA) è realtà a partire dal 14 gennaio 2017, data di entrata in vigore della legge di Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
La legge (n. 166/2016) attribuisce al SNPA vari compiti, tra i quali il monitoraggio dello stato dell’ambiente e l’attività di ricerca, la raccolta, organizzazione e diffusione dei dati ambientali.

Il 24 dicembre 2019 sono state pubblicate sul sito di SNPA le delibere approvate nell’ultima riunione del Consiglio SNPA del 27 novembre 2019. Fra queste vi è la delibera n. 61 “Approvazione del manuale “Linee guida sulla classificazione dei rifiuti”. Le linee guida hanno l’obiettivo di produrre manualistica finalizzata al miglioramento dell’azione dei controlli attraverso interventi ispettivi sempre più qualificati, omogenei e integrati, assicurando l’armonizzazione, l’efficacia, l’efficienza e l’omogeneità dei sistemi di controllo e della loro gestione nel territorio nazionale.

L’approccio metodologico seguito dal SNPA per la classificazione dei rifiuti comprende schemi procedurali utili ai fini dell’attribuzione del codice e per la valutazione della pericolosità dei rifiuti.
La classificazione dei rifiuti, infatti, rappresenta una fase cruciale che incide inevitabilmente su tutte le successive fasi di gestione dei rifiuti stessi.

Dopo una parte introduttiva, volta a sintetizzare la normativa comunitaria e nazionale di riferimento (nel corso del documento viene effettuata un’analisi più approfondita delle prime), il documento affronta i seguenti temi:

  1. classificazione dei rifiuti pericolosi e procedura di attribuzione del codice dell’elenco europeo dei rifiuti ai sensi della normativa comunitaria:
    a. criteri per la classificazione dei rifiuti pericolosi;
    b. procedura di attribuzione del codice dell’elenco europeo dei rifiuti;
    c. procedura di valutazione delle caratteristiche di pericolo e valori limite;
    d. regolamento CLP e rapporto con la classificazione dei rifiuti;
  2. approccio metodologico per la classificazione dei rifiuti (procedura di valutazione della pericolosità di un rifiuto, divisa in tre fasi; schemi sintetici della procedura di classificazione);
  3. elenco europeo dei rifiuti ed esempi di classificazione di alcune tipologie di rifiuti;
  4. Criteri metodologici per la valutazione delle singole caratteristiche di pericolo;
  5. Valutazione della pericolosità di un rifiuto in relazione alla presenza di Inquinanti Organici Persistenti (POPs).
La classificazione dei rifiuti pericolosi e procedura di attribuzione del codice CER

La classificazione di un rifiuto si basa, in primo luogo, sull’individuazione dell’ origine e del processo produttivo che ha portato alla generazione del rifiuto. L’attribuzione delle caratteristiche di pericolosità viene espletata mediante le opportune verifiche da effettuarsi secondo i criteri e sulla base dei valori limite specificati dalla normativa (allegato III alla direttiva 2008/98/CE).
La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER.

I diversi tipi di rifiuti inclusi nell’elenco sono definiti specificatamente mediante il codice a sei cifre per ogni singolo rifiuto e i corrispondenti codici a quattro e a due cifre per i rispettivi capitoli.
Di conseguenza, per identificare un rifiuto nell’elenco occorre:

  • identificare la fonte che genera il rifiuto consultando i capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 per risalire al codice a sei cifre riferito al rifiuto in questione, ad eccezione dei codici dei suddetti capitoli che terminano con le cifre 99 (è possibile che un determinato impianto o stabilimento debba classificare le proprie attività in capitoli diversi: un costruttore di automobili, per esempio, può reperire i rifiuti che produce sia nel capitolo 12 (rifiuti dalla lavorazione e dal trattamento superficiale di metalli), che nel capitolo 11 (rifiuti inorganici contenenti metalli provenienti da trattamento e rivestimento di metalli) o ancora nel capitolo 08 (rifiuti da uso di rivestimenti), in funzione delle varie fasi della produzione);
  • esaminare i capitoli 13, 14 e 15 per identificare il codice corretto, se nessuno dei codici dei capitoli da 01 a 12 o da 17 a 20 si presta per la classificazione di un determinato rifiuto;
  • definire il rifiuto utilizzando i codici di cui al capitolo 16, se nessuno di questi codici risulta adeguato;
  • utilizzare il codice 99 (rifiuti non specificati altrimenti) preceduto dalle cifre del capitolo che corrisponde all’attività identificata nella prima fase, se un determinato rifiuto non è classificabile neppure mediante i codici del capitolo 16.
I rifiuti con codice a specchio sono quelli che possono essere classificati sia come pericolosi che come non pericolosi, a seconda della concentrazione delle sostanze pericolose che contengono e viene fornita una sintesi della procedura di classificazione di tali rifiuti.
A tale tipologia di rifiuti si applicano specifiche disposizioni, in funzione delle caratteristiche di pericolosità e delle sostanze in essi contenute.

Le caratteristiche di pericolosità dei rifiuti nelle Linee Guida SNPA

Quali sono le caratteristiche di pericolosità dei rifiuti?
I criteri e valori limite individuati dalla normativa comunitaria, integrati con alcune informazioni esplicative, sono i seguenti:

  1. HP1 – Esplosivo (è il rifiuto che può, per reazione chimica, sviluppare gas a una temperatura, una pressione e una velocità tali da causare danni nell’area circostante)
  2. HP2 – Comburente (è il rifiuto capace, in genere per apporto di ossigeno, di provocare o favorire la combustione di altre materie);
  3. HP3 – Infiammabile (rifiuto liquido infiammabile il cui punto di infiammabilità è inferiore a 60 °C oppure rifiuto di gasolio, carburanti diesel e oli da riscaldamento leggeri il cui punto di infiammabilità è superiore a 55 °C e inferiore o pari a 75 °C)
  4. HP4 – Irritante — Irritazione cutanea e lesioni oculari (rifiuto la cui applicazione può provocare irritazione cutanea o lesioni oculari);
  5. HP5 – Tossicità specifica per organi bersaglio (STOT)/Tossicità in caso di aspirazione (rifiuto che può causare tossicità specifica per organi bersaglio con un’esposizione singola o ripetuta, oppure può provocare effetti tossici acuti in seguito all’aspirazione);
  6. HP6 – Tossicità acuta (è quello che he può provocare effetti tossici acuti in seguito alla somministrazione per via orale o cutanea, o in seguito all’esposizione per inalazione);
  7. HP7 – Cancerogeno (causa il cancro o aumenta la sua incidenza);
  8. HP8 – Corrosivo (rifiuto la cui applicazione può provocare corrosione cutanea);
  9. HP9 – Infettivo (rifiuto contenente microrganismi vitali o loro tossine che sono cause note, o a ragion veduta ritenuti tali, di malattie nell’uomo o in altri organismi viventi);
  10. HP10 – Tossico per la riproduzione (rifiuto che ha effetti nocivi sulla funzione sessuale e sulla fertilità degli uomini e delle donne adulti, nonché sullo sviluppo della progenie);
  11. HP11 – Mutageno (rifiuto che può causare una mutazione, ossia una variazione permanente della quantità o della struttura del materiale genetico di una cellula);
  12. HP12 – Liberazione di gas a tossicità acuta (rifiuto che libera gas a tossicità acuta (Acute Tox. 1, 2 o 3) a contatto con l’acqua o con un acido);
  13. HP13 – Sensibilizzante (rifiuto che contiene una o più sostanze note per essere all’origine di effetti di sensibilizzazione per la pelle o gli organi respiratori);
  14. HP14 – Ecotossico (rifiuto che presenta o può presentare rischi immediati o differiti per uno o più comparti ambientali);
  15. HP15 – Rifiuto che non possiede direttamente una delle caratteristiche di pericolo summenzionate ma può manifestarla successivamente (il rifiuto che contiene una o più sostanze contrassegnate con una delle indicazioni di pericolo o con una delle informazioni supplementari sui pericoli figuranti nella tabella 9 è classificato come rifiuto pericoloso con il codice HP 15, a meno che si presenti sotto una forma tale da non potere in nessun caso manifestare caratteristiche esplosive o potenzialmente esplosive.

Per tutte le caratteristiche le linee guida:

  • dettano analiticamente i criteri e valori limite previsti dalla normativa;
  • prevedono l’analisi delle procedure di verifica della caratteristica di pericolo e definizione di un approccio metodologico;
  • indicano uno schema decisionale per la valutazione della caratteristica di pericolo.
L’approccio metodologico SNPA per la classificazione dei rifiuti

La classificazione di un rifiuto può essere effettuata adottando un approccio a più stadi.
Nei casi più semplici la procedura può richiedere pochi passaggi. Nei casi più complessi, invece (ad esempio, quando la composizione e/o l’origine del rifiuto non sono note), può essere più articolata.
Dopo aver illustrato alcuni schemi utili per la classificazione, la delibera disciplina le tre fasi della procedura di classificazione.

Le tre fasi della procedura di classificazione dei rifiuti

1) Verificare se sia effettivamente applicabile la normativa sui rifiuti o se si debbano applicare altre normative specifiche (l’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 individua specifiche esclusioni dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti; inoltre, sono esclusi dalla disciplina anche le fattispecie regolate da altre disposizioni normative comunitarie: acque di scarico; i sottoprodotti di origine animale; le carcasse di animali morti per cause diverse dalla macellazione; i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall’estrazione, dal trattamento, dall’ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave).

2) Individuazione, all’interno dell’elenco europeo, del pertinente codice da attribuire al rifiuto; il rifiuto viene individuato come pericoloso, non pericoloso ovvero “a specchio”.

3)  Codici a specchio: in base alla normativa e alla giurisprudenza, in tali casi, è onere del proprietario della discarica effettuare tutte le analisi e le valutazioni idonee a determinare la composizione del rifiuto ed a escluderne la pericolosità.


In generale, la conoscenza della composizione di un rifiuto può essere ottenuta attraverso diversi metodi, applicando uno schema procedurale basato:

  • sulla conoscenza del processo o dell’attività di origine;
  • sull’utilizzo delle informazioni contenute nei documenti di accompagnamento del prodotto divenuto rifiuto (ad esempio, schede di sicurezza);
  • sul ricorso a banche dati sulle analisi dei rifiuti;
  • sull’effettuazione di analisi chimico-fisiche.

A tal proposito si evidenzia che talvolta l’ analisi chimica consente di identificare soltanto i singoli elementi (ad esempio, metalli) o specie chimiche (ad esempio, anioni) e non lo specifico composto presente in un rifiuto. In questi casi, il detentore del rifiuto dovrebbe procedere a individuare le tipologie di composti presenti sulla base, ad esempio, delle specie anioniche e cationiche individuate e/o attraverso l’esame del processo produttivo o dell’attività da cui si origina il rifiuto.

Se, anche a seguito dell’effettuazione di queste indagini, non è possibile risalire alle tipologie di composti formati dalle specie contenute nel rifiuto (ad esempio, in che forma è presente un metallo, ecc.), si dovrebbe procedere alla classificazione di quest’ultimo. Assumendo che le singole specie si trovino nella forma caratterizzata da maggior pericolosità attraverso una valutazione che tenga conto delle proprietà chimico-fisiche del rifiuto e/o del relativo ciclo produttivo di origine.

Occorre ricercare tutte le sostanze pericolose?

Il detentore di un rifiuto, pur non essendo obbligato a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto, è tuttavia tenuto a ricercare quelle che possono ragionevolmente trovarvisi.
La procedura di classificazione si basa, quindi:

  • su una fase di acquisizione delle informazioni necessarie per ricostruire quali siano le sostanze pericolose che potrebbero ragionevolmente trovarsi nel rifiuto e
  • su una successiva fase volta alla valutazione della sussistenza o meno di una o più caratteristiche di pericolo connessa alla presenza di tali sostanze.

Questa valutazione è condotta facendo riferimento, per tali sostanze, ai criteri, valori limite di concentrazione e metodi di calcolo previsti dall’allegato III alla direttiva 2008/98/CE o utilizzando metodi di prova.

La fase di acquisizione di una sufficiente conoscenza della composizione del rifiuto, ossia di individuazione delle sostanze pericolose che potrebbero ragionevolmente essere presenti nel rifiuto, consente di orientare la successiva fase di valutazione alla ricerca di tali sostanze.

Le fasi che compongono il processo dal quale si genera il rifiuto

Ai fini della valutazione della composizione del rifiuto finalizzata alla verifica della sussistenza di pericolosità si dovrà tener conto delle varie fasi che compongono il processo dal quale si genera il rifiuto.
Di conseguenza:

  • nel caso di un rifiuto che si forma per effetto di un processo a più stadi (ciascuno dei quali prevede, ad esempio, differenti reazioni che coinvolgono diversi reagenti), la valutazione non potrà limitarsi a prendere in considerazione esclusivamente lo stadio finale dal quale materialmente si genera il rifiuto ma dovrà basarsi sull’intero processo;
  • nel caso di un rifiuto prodotto da un impianto di trattamento dei rifiuti, la valutazione non potrà limitarsi a prendere in esame solo le operazioni che intervengono nella fase di trattamento del rifiuto ma dovrà tener conto anche delle caratteristiche del rifiuto di origine che viene sottoposto a tale trattamento.
In ogni caso, in base al principio di precauzione (recentemente espresso dalla Corte di Giustizia Europea nella causa C-487/17 e successivamente ribadito dalla Corte di Cassazione con la pronuncia n. 42788/2019), sopra richiamato, se nonostante tutte le analisi e le valutazioni del caso permangono dei dubbi sulla natura del rifiuto, lo stesso deve essere considerato pericoloso. Il principio vale anche nel caso di impossibilità di determinare con certezza la composizione del rifiuto e, quindi, l’assenza di sostanze pericolose.

Criteri metodologici SNPA per la valutazione delle singole caratteristiche di pericolo

La delibera offre un’analisi dei criteri previsti, per la classificazione dei rifiuti, dalla normativa di settore. E sono proposti, sulla base di tali criteri, possibili approcci metodologici finalizzati alla valutazione e attribuzione delle singole caratteristiche di pericolo.

Come è noto, la direttiva 2008/98/CE e la decisione 2000/532/CE richiamano, in maniera estesa, la normativa sulla classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze e delle miscele pericolose (regolamento CLP). Quest’ultima contiene diverse indicazioni che, sebbene non espressamente rivolte alla classificazione dei rifiuti, possono però fornire un utile supporto anche in tale ambito, in particolar modo per quanto concerne la definizione dei metodi di prova, anche di tipo semplificato.

Le appendici alle linee guida
Appendice 1 Riepilogo delle caratteristiche di pericolo e dei relativi valori limite per la classificazione dei rifiuti pericolosi
Appendice 2 Codici di classe, categorie e indicazioni o informazioni supplementari di pericolo (attinenti alla classificazione dei rifiuti) di cui al regolamento 2008/1272/CE (CLP)
Appendice 3 Elenco (indicativo e non esaustivo) delle sostanze, a base di elementi metallici, accompagnate dalla Nota 1, di cui al punto 1.1.3.2 dell’allegato VI al regolamento 2008/1272/CE, riportate nella tabella 3 del medesimo allegato
Appendice 4 Indicazione di massima delle possibili corrispondenze tra classificazione ai sensi della direttiva Seveso III e della direttiva 2008/98/CE

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