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"Condanna di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione per non aver segnalato una situazione di pericolo che ha portato ad un infortunio mortale."

di ing. Giovanni De Rosa / Sicurezza sul lavoro

04/02/2008 -
L'entrata in vigore del D. Lgs. n. 195/2003 ( Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per l'individuazione delle capacità e dei requisiti professionali richiesti agli addetti ed ai responsabili di prevenzione e protezione dei lavoratori), ha condotto la Corte di Cassazione ad esprimersi sulla responsabilità penale del RSPP; in particolare con questa sentenza è stato affrontato il rapporto fra l'art. 9 del D Lgs. n. 626/1994 sui compiti del Servizio di Prevenzione e Protezione ed i reati di omicidio e di lesioni colpose di cui agli artt. 589 e 590 del codice penale. Tanto configura la colpa professionale e la colpa tecnica del RSPP, oltre la colpa generica del datore di lavoro.
Finora, a livello giuridico, si era considerata la figura del RSPP come una figura integrativa e strumentale del datore di lavoro, avulsa da responsabilità penale; d'ora in poi però si possono vedere gli effetti della sentenza della Corte Europea e del conseguente D. Lgs. n. 195/2003 con il quale è stata introdotta in Italia la specifica qualifica professionale del RSPP.
Il caso in questione, riguarda un infortunio mortale occorso ad una lavoratrice di una ditta alla quale erano stati appaltati i servizi di confeazionamento e di gestione dei carrelli contenenti i pasti all'interno di un ospedale. La sfortunata lavoratrice si era introdotta in un ascensore con un carrello; il carrello, durante la discesa dell'ascensore, era finito contro una sporgenza del muro, schiacciando violentemente la donna morta per asfissia. Erano stati chiamati a rispondere dell'accaduto, il datore di lavoro, il direttore generale ed altri dirigenti della AUSL, il responsabile ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell'ospedale; alla fine del procedimento, sono stati condannati per il reato di omicidio colposo, solo il datore di lavoro ed il RSPP dell'ospedale. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo l'annullamento della condanna, sostenendo che, nella sua qualità di RSPP, era privo dei poteri di decisione e di spesa in materia antinfortunistica.
La Corte ha però rigettato il ricorso confermando quanto asserito dal Giudice, cioè che non fosse rilevante il mancato potere di decisione e di spesa, cosa che non escludeva il dovere di segnalare la situazione di pericolo a chi di dovere; inoltre ha ritenuto insignificante il fatto, asserito dal RSPP, che una segnalazione dello stesso sulla pericolosità dell'ascensore sarebbe stata in ogni caso inutile, perchè la pericolosità era ben nota al datore di lavoro tanto da essere stata evidenziata attraverso l'affissione di un cartello alle cui disposizioni la lavoratrice infortunata non si era attenuta.
In pratica, la Corte di Cassazione, ha ribadito che anche se mancano capacità decisionale e di spesa da parte del RSPP, non è escluso che una sua inadempienza allo svolgimento dei compiti di cui all'art.9 del D. Lgs. n. 626/1994 ( Compiti del servizio di prevenzione e protezione), possa costituire una omissione rilevante per l'individuazione della responsabilità penale.
La Corte, inoltre ha osservato, che l'assenza nel D. Lgs. n. 626/1994 di una sanzione penale a carico del RSPP non impedisce che questi possa essere chiamato a rispondere per il mancato svolgimento delle proprie funzioni così come indicate nell'art. 9 del D. Lgs. n. 626/1994. Per la Corte, quindi, non si può non chiamare in causa un RSPP per rispondere di delitti colposi contro la vita e l'incolumità del lavoratore. anche in virtù del fato che il D. Lgs. n. 626/1994 individua un soggetto ben specifico, l'RSPP, appunto, incaricato di monitorare la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro per le eventuali opportune azioni atte ad eliminare le situazioni di pericolo segnalate dal RSPP stesso.
Tanto, a parere dello scrivente, ha due ricadute di carattere generale su quanti operano professionalmente quali RSPP sia interni che esterni.
Innanzitutto, detta sanzione, dovrebbe demotivare quanti, in forza delle larghe maglie che in Italia sono definiti "requisiti professionali", esercitano senza la giusta consapevolezza un ruolo così delicato. In secondo luogo, trasforma il RSPP in uuna sorta di vigilante dei rischi; ruolo improprio in quanto un RSPP così "disegnato" dalla sentenza, dovrebbe avere capacità da "tuttologo", poco aderente alla realtà operativa.
Tutto ciò sottolinea la complessità ma anche l'ambiguità del ruolo che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è chiamato a svolgere.

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