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"La responsabilità per comportamento esorbitante del lavoratore "
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
20/04/2015 -
Il contenuto di questa sentenza della Corte di Cassazione lo
si può inquadrare in quel processo presente in giurisprudenza in base al quale,
anche nel rispetto del principio dello scalettamento delle responsabilità in
materia di salute e di sicurezza sul lavoro voluto dal legislatore con
l’emanazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. 9/4/2008 e s.m.i, si sta
rivedendo, nel caso dell’accadimento di un infortunio sul lavoro, il peso delle
eventuali responsabilità dei vari operatori di sicurezza ivi compresi gli
stessi soggetti che prestano la propria attività lavorativa.
E’ nota la posizione della Corte di Cassazione per quanto
riguarda la responsabilità o meno del datore di lavoro per un infortunio
occorso ad un proprio dipendente nel caso di un comportamento
del lavoratore imprudente e distratto ma che si è infortunato comunque mentre
svolgeva le proprie mansioni in carenza di misure di sicurezza. In tal caso, ha sempre infatti sostenuto la
suprema Corte, si interrompe il nesso di causalità fra la condotta colposa del
datore di lavoro, legata a delle carenze riscontrate nelle misure di
prevenzione dallo stesso adottate, e l’evento lesivo solo se il comportamento
del lavoratore si configuri “abnorme”.
In questa sentenza viene in effetti allargato il campo delle
condizioni nelle quali la condotta del lavoratore possa ritenersi imprevedibile
e inevitabile sì da potere assurgere a causa unica ed autonoma dell’evento
lesivo con la esclusione delle responsabilità del datore di lavoro.
L’ipotesi della condotta
abnorme del lavoratore infortunato, ha infatti concluso la suprema Corte,
va individuata anche quando lo stesso
tiene un comportamento “esorbitante” rispetto al lavoro che gli è proprio,
assolutamente imprevedibile ed evitabile.
Gerardo Porreca
Il fatto e
il ricorso in Cassazione
Il Sindaco di
un Comune ha fatto ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello che,
riformando quella di primo grado, aveva affermata la sua responsabilità, nella
qualità datore di lavoro, per l’infortunio di un lavoratore svolgente le
mansioni di stradino. Era stato accertato, all'esito del giudizio di merito,
che il giorno dell’infortunio il lavoratore aveva timbrato il cartellino di
entrata alle ore 8,50 ed era uscito alle 13,03, di sua iniziativa, senza che
nessuno gli avesse dato l'incarico, e si era recato con il camion in dotazione
del Comune in una strada interpoderale perché aveva notato che un ramo di un
albero pendente impediva la circolazione delle autovetture e mentre era
posizionato sulla scala, alta 2,20 m, veniva travolto dal ramo, da lui stesso
tagliato, che aveva fatto sbilanciare la scala provocando la caduta del
lavoratore il quale aveva subito delle lesioni gravi.
La violazione
posta a carico del Sindaco è stata quella dell’art. 22 comma 1 del D. Lgs. n.
626/1994 per avere omesso, nella qualità di datore di lavoro, di assicurarsi
che il lavoratore avesse ricevuto una formazione sufficiente ed adeguata in
materia di sicurezza e salute. Il giudice di primo grado aveva assolto
l'imputato ritenendo che la condotta del lavoratore si configurasse abnorme e
tale da interrompere il nesso di causalità rispetto alle carenza riscontrabili
nelle misure di prevenzione adottate dall'imputato. La Corte di merito,
accogliendo l'appello del PM, aveva affermato che l'attività espletata
dall'infortunato (il taglio del ramo) rientrava tra le mansioni dallo stesso svolte
(individuate in quelle di "stradino") e che nessun rilievo aveva
avuto la circostanza che lo stesso avesse svolto quell'attività di propria
iniziativa e fuori dell'orario di lavoro in quanto le norme antinfortunistiche
sono poste a tutela di tutti coloro che si trovano a contatto degli ambienti di
lavoro, a prescindere dall'orario di servizio. La responsabilità del Sindaco era
stata, pertanto, fondata sulla posizione di garanzia rivestita dallo stesso il
quale, nella qualità di datore di lavoro, era venuto meno all'obbligo di
informare e formare il lavoratore sulle corrette modalità di esercizio delle
varie mansioni, che avrebbero dovuto riguardare anche l'utilizzo di scale o
altre attrezzature per effettuare i lavori in
quota.
Il Sindaco ha
fondato il suo ricorso sul fatto che la sentenza impugnata aveva escluso
l'abnormità della condotta del lavoratore, tale da interrompere il nesso di
causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento lesivo e che la
Corte di Appello aveva trascurato di dare rilievo alle circostanze accertate
dell'esclusiva ed autonoma iniziativa del dipendente di potare il ramo
dell'albero al di fuori dell'orario di lavoro, dopo essersi messo alla guida di
un camion di proprietà del Comune, custodito nel garage comunale, circostanze tutte
rilevanti ai fini della interruzione del nesso di causalità. Lo stesso ha sostenuto
ancora che non era stato compiuto alcun accertamento sulla proprietà della
quercia e che, pertanto, non era stato affrontato il tema se nelle mansioni
dello stradino muratore rientrasse anche quella di potare e tagliare i rami
degli alberi anche se fossero di proprietà di terzi.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato
ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione. I giudici di merito, ha fatto
notare la Sez. IV, hanno fondato la responsabilità dell'imputato, oltre che
sulla posizione di garanzia dallo stesso ricoperta nella qualità di datore di
lavoro, sulla violazione dell’art. 22 comma 1 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626 secondo
il quale il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una
formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con
particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni
(ora art. 37 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 richiamato dall'art. 18 lettera. l che
lo prevede tra gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente). Per cui non
vi è stato dubbio da parte dei giudici di merito sulla sussistenza della
posizione di garanzia da parte del sindaco,
nella qualità di datore di lavoro, nei confronti del dipendente comunale infortunato
svolgente le mansioni di "stradino".
La questione
da trattare nel caso in esame, ha sostenuto la Sez. IV, era quella di
verificare se sussistessero le condizioni per ritenere che la condotta posta in
essere dal lavoratore si collocasse al di fuori dell'area di rischio propria
della prestazione lavorativa svolta dallo stesso in quanto solo in questa
prospettiva la violazione dell'obbligo di formazione astrattamente contestata
al datore di lavoro poteva assumere concretezza e fondare la responsabilità per
colpa del datore di lavoro per essere venuto meno all'obbligo di
"governare" il rischio afferente lo svolgimento della prestazione
lavorativa.
“
E' principio, infatti, consolidato nella
giurisprudenza di legittimità”, ha così proseguito la suprema Corte, “
quello secondo cui le norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro hanno la funzione di evitare che si verifichino
eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturali all'esercizio
di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano
conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione dei lavoratori subordinati,
la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. Una
diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una
responsabilità oggettiva fondata esclusivamente sulla posizione di garanzia”.
In più
occasioni, ha fatto presente la Sez. IV, è stata affrontata dalla Corte di
Cassazione la questione, posta anche nel ricorso, di stabilire in che termini
ed a quali condizioni la condotta del lavoratore possa ritenersi imprevedibile
ed inevitabile, sì da poter assurgere a causa unica ed autonoma dell'evento
lesivo, con esclusione della responsabilità del datore di lavoro e sul punto è
stato, innanzitutto, affermato che ciò può verificarsi in presenza di comportamenti
"abnormi" del lavoratore, come tali non suscettibili di controllo
da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione
contro gli infortuni sul lavoro. “
L'ipotesi
tipica di condotta "abnorme", ha così proseguito la sez. IV, “
è stata individuata in quella del lavoratore
che provochi l'infortunio ponendo in essere, colposamente, un'attività del
tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, realizzando
in tal modo un comportamento "esorbitante" rispetto al lavoro che gli
è proprio, assolutamente imprevedibile (ed evitabile) per il datore di lavoro
(come, ad esempio, nel caso che il lavoratore si dedichi ad un'altra macchina o
ad un altro lavoro, magari esorbitando nelle competenze attribuite in esclusiva
ad altro lavoratore)”
Con la
sentenza della Sezione IV del 10 novembre 2009, parte civile I. ed altro in
proc. B. ed altri è stato esteso il concetto di "abnormità",
ammettendo che questo possa ravvisarsi anche in situazioni e in comportamenti
"connessi" con lo svolgimento delle mansioni lavorative. In quella
occasione, la Corte di legittimità, riprendendo alcuni spunti giurisprudenziali
(cfr. Sezione 4, 3 giugno 2004, Giustiniani; nonché, Sezione 4, 27 novembre
1996, Maestrini), ha puntualmente precisato che “
il carattere dell'abnormità può essere attribuito non solo alla
condotta tenuta in ‘un ambito estraneo alle mansioni’ affidate al lavoratore e,
pertanto, concettualmente al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di
lavoro, ma anche a quella che pur ‘rientrando nelle mansioni proprie’ del
lavoratore sia consistita in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano
dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore
nell'esecuzione del lavoro.
Per
converso è stato escluso che presenti le caratteristiche dell'abnormità il
comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente
dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono
utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l'osservanza
delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni
da parte del lavoratore, trattandosi di comportamento "connesso"
all'attività lavorativa o da essa non esorbitante e, pertanto, non
imprevedibile”.
Ciò che conta,
in sostanza, ha quindi sintetizzato la Corte di Cassazione, è la considerazione
della prevedibilità/imprevedibilità della condotta del lavoratore, che può
presentarsi negli stessi termini anche quando si discuta di attività
strettamente connesse con lo svolgimento dell'attività lavorativa e, vista da
una angolazione più aderente al caso in esame in cui era in discussione
l'ambito delle mansioni svolte dal dipendente comunale, strettamente connesso
al contenuto dell' obbligo
di formazione imposto al datore di lavoro, “
La condotta abnorme del lavoratore può ritenersi interruttiva del nesso
di condizionamento”, ha affermato la Sez. IV, “
quando essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di
rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è
"interruttivo" non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto
al rischio lavorativo che il garante è chiamato a ‘governare’". Bisogna
quindi evitare, secondo la Sez. IV, “
di
trasformare la posizione di garanzia in una sorta di fonte automatica di
responsabilità oggettiva, basata solo sulla "posizione" giuridica del
soggetto, e consentire, nel contempo, di attribuire il giusto rilievo alla
nozione del ‘comportamento abnorme’ del lavoratore che, come tale, non può che
essere concettualmente "residuale" ed eccezionale proprio perché
rilevante per recidere il nesso di causalità ex art. 41 c.p., comma 2”.
Alla luce dei
principi suesposti la Corte di Cassazione ha ritenuto che nel caso in esame la
Corte di Appello non avesse congruamente motivato il giudizio di responsabilità.
Del tutto apoditticamente, infatti, la Corte di merito ha ritenuto che il taglio
del ramo effettuato dallo lavoratore infortunato rientrasse tra le mansioni di
"stradino" dallo stesso esercitate e che lo stesso non aveva ricevuto
la necessaria informazione e formazione, così che, intervenendo a svolgere un
compito che rientrava nelle sue funzioni, vi provvedeva con modalità non idonee
in quanto non
adeguatamente informato e formato sulle procedure da adottare e sulle attrezzature
da utilizzare per un corretto esercizio di quelle attività, così come del
tutto apoditticamente è stato affermato l'inadempimento dell'obbligo di
formazione da parte del datore di lavoro, essendo, all'evidenza, tale obbligo
strettamente correlato alle attività svolte dal lavoratore ed all'area di
rischio alla stessa inerente. Né rilevante, ai fini della configurabilità
dell'abnormità/eccentricità della condotta del lavoratore, è stata la
circostanza che l'attività sia stata posta in essere al di fuori dell'orario di
lavoro.
Per quanto
sopra detto la Corte di Cassazione ha quindi deciso di annullare la sentenza di
cui al ricorso con rinvio per nuovo esame del caso alla luce dei principi sopra
esposti.
Gerardo Porreca
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