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" D.Lgs.231/01 a seguito di infortuni sul lavoro: recenti sentenze"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
24/08/2015 -
Alcune recenti sentenze della Cassazione sul D.Lgs.231/01
forniscono utili esempi di come la cosiddetta “colpa organizzativa”, che
rappresenta il concettuale presupposto per l’applicazione della responsabilità
amministrativa alle persone giuridiche, possa concretamente manifestarsi
nella realtà aziendale allorché si risparmi sulla sicurezza per anteporre a
quest’ultima esigenze di produzione, e di come tale colpa di organizzazione
possa essere poi ricostruita e valutata a seguito di un infortunio sul lavoro.
Altre sentenze altrettanto recenti, inoltre, si
pronunciano sul termine di prescrizione delle sanzioni amministrative previste
dal D.Lgs.231/01 a carico dell’azienda e sulle sentenze di patteggiamento in
caso di applicazione di sanzioni su richiesta da parte della persona giuridica
ai sensi del decreto 231.
1) Il risparmio di
spesa e lo “sveltimento dell’attività lavorativa “favorita” dalla mancata
osservanza della normativa cautelare”: Cassazione Penale, Sez. IV, 16 luglio 2015 n. 31003
Il caso
Il datore di lavoro di una S.p.a. e la S.p.a stessa quale
persona giuridica sono stati condannati a seguito di un infortunio sul lavoro
(frattura alla mano di un lavoratore): il primo per lesioni personali colpose
aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche e la seconda ai sensi
del D.Lgs.231/01 (art. 25-
septies).
In particolare, mentre con un collega era intento ad
effettuare un’operazione di scarico di una grande e pesante bobina di carta
(operando l’altro lavoratore sulla consolle di comando del macchinario che
comandava la discesa della bobina, mentre il lavoratore infortunato provvedeva
all’effettuazione manuale dello sgancio dei mandrini che fissavano l’albero
della bobina alla macchina), quest’ultimo era rimasto con la mano schiacciata
sotto la bobina, avendo il collega già provveduta all’operazione di sgancio.
Veniva rintracciata una colpa del datore di lavoro,
“che aveva consentito che a curare
l’operazione fossero due lavoratori, come in astratto possibile, ma senza
installare sul macchinario un dispositivo di sicurezza [quale quello poi fatto
installare dagli organi di vigilanza] cioè un sistema di doppi comandi tale da
consentire lo sgancio della bobina solo con l’esplicito consenso dei
lavoratori.”
Per quanto riguarda la condotta del lavoratore, la Corte
osserva che
“l’evento, pur in astratto
riconducibile a manovra erronea di uno dei due lavoratori, non poteva
considerarsi evento eccezionale, siccome comunque verificatosi nell’ambito
delle ordinarie mansioni lavorative.”
E ribadisce qui, la Cassazione, come da giurisprudenza
costante, il
“principio secondo cui la
condotta colposa del lavoratore
infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre
l’evento quando sia
comunque riconducibile
all’area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il
datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del
lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità,
dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle
direttive di organizzazione ricevute” (Sezione IV, 25 giugno 2014, Brancaccio).
Ciò perché si
esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell’abnormità il
comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente
dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono
utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l’osservanza
delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni
da parte del lavoratore (cfr. Sezione IV, 5 giugno 2008 , Stefanacci ed altri ;
nonché, Sezione feriale, 12 agosto 2010 , Mazzei ed altro).”
La responsabilità
dell’Azienda ai sensi del D.Lgs.231/01
Riguardo alla responsabilità della Società per Azioni ai
sensi del D.Lgs.231/01, la Cassazione considera fondato
“l’addebito anche a carico dell’ente che comunque aveva tratto un
vantaggio dalla predisposta modalità di organizzazione del lavoro, sul rilievo
che fosse "congeniale alle modalità della produzione scelte nel suo
interesse, l’esposizione a tale rischio del proprio lavoratore”.
A fronte del ricorso presentato dalla S.p.a, che sosteneva
che “un comportamento occasionale del lavoratore non potrebbe mai fondare la
responsabilità dell’ente”, la Corte specifica che
“è principio ormai consolidato quello secondo cui, in materia di
responsabilità amministrativa ex art. 25 septies d.lgs. 231/2001,
l’interesse e/o il vantaggio vanno letti,
nella prospettiva patrimoniale dell’ente, come risparmio di risorse economiche
conseguente alla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza ovvero
come incremento economico conseguente all’aumento della produttività non
ostacolata dal pedissequo rispetto della normativa prevenzionale [cfr. autorevolmente,
per utili spunti, Sezioni unite, 24 aprile 2014, Espenhahn ed altri].
In altri termini,
nei reati colposi l’interesse/vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese
che l’ente dovrebbe sostenere per l’adozione delle misure precauzionali ovvero
nell’agevolazione [sub specie, dell’aumento di produttività] che ne può
derivare sempre per l’ente dallo
sveltimento
dell’attività lavorativa “favorita” dalla mancata osservanza della normativa
cautelare, il cui rispetto, invece, tale attività avrebbe “rallentato”
quantomeno nei tempi.”
Nel caso di specie,
“l’addebito
colposo è stato basato anche e soprattutto nel non aver predisposto quel
dispositivo di sicurezza, poi imposto dagli organi di vigilanza. Ciò che
consente di ricondurre l’omissione originaria ad un risparmio di spesa che,
satisfattivamente fonda l’ipotesi dell’interesse/vantaggio di cui all’articolo
5 [del D.Lgs.231/01, n.d.r.].”
2) La mancanza di
una “strategia organizzativa globale” (Risparmio di costi per consulenze,
formazione e informazione dei lavoratori, mancanza di DUVRI, mancata attuazione
di misure indicate nel DVR): Cassazione
Penale, Sez. IV, 29 aprile 2015, n. 18073
Il caso
In questo caso è stata confermata la condanna
dell’amministratore delegato di una S.p.a. e del direttore dello stabilimento
in cui si era verificato l’infortunio, colpevoli di omicidio colposo aggravato
dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni, a seguito
della morte di un lavoratore dipendente di una Cooperativa, appaltatrice dei servizi
di raccolta e accatastamento dei filati di lamierino realizzati all’interno
dello stabilimento.
In particolare, il lavoratore una sera, durante la pausa
per la cena, venne trovato privo di vita nel reparto tranceria, accartocciato
su se stesso, sul nastro trasportatore posto sotto le presse.
La Corte ha confermato anche la condanna della S.p.a.,
quale persona giuridica, ai sensi dell’art. 25-
septies del D.Lgs.231/01 e la conseguente sanzione amministrativa a
carico della società di € 130.000,00 (come ridotti in appello a partire
dall’originaria cifra di 180.000,00 euro stabilita in primo grado).
Tra i profili di colpa specifica a carico delle persone
fisiche indicate sopra vi era il
“non aver adottato le misure
necessarie per tutelare l’integrità fisica
del lavoratore, non disponendo l’arresto del nastro mobile durante la pausa dal
lavoro per il pasto e non approntando un apposito sportello controllato da
dispositivo elettromeccanico di blocco del motore del convogliatore delle
palette e di non aver provveduto alla chiusura dell’imboccatura posteriore
delle presse, in particolare di quella n. 6,
nonostante tale esigenza fosse prevista nel documento di valutazione
dei rischi del 2007.”
A loro carico, vi erano inoltre
“la violazione degli artt. 18, comma 1, lett. h), 26, comma 3; 37,
comma 4, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per aver omesso di promuovere la
cooperazione e il coordinamento tra la S.p.a. e la Cooperativa […] per la
redazione di un
unico documento di
valutazione dei rischi
e per
l’assunzione dei provvedimenti necessari a eliminare o ridurre i rischi da
interferenze e per non aver adempiuto agli obblighi di informazione e
formazione dei dipendenti della Cooperativa […] sui rischi specifici legati
alle attività svolte e all’ambiente di lavoro.”
La responsabilità
dell’Azienda ai sensi del D.Lgs.231/01
Ritenendo sussistente il presupposto per l’applicazione
della responsabilità amministrativa a carico della S.p.a. (l’interesse o il
vantaggio dell’ente alla commissione del reato compiuto dalla persona fisica),
la Cassazione ha ritenuto che esso fosse rintracciabile nel
“consistente
risparmio di costi, in particolare relativi alle consulenze in materia, gli
interventi strumentali necessari, nonché alle attività di formazione e
informazione del personale.”
Non è risultata rilevante, a parere della Corte, la
“spesa irrisoria sostenuta [dalla S.p.a.,
n.d.r.] per l’applicazione, successivamente al sinistro, di griglie, rilevando
trattarsi solo del momento finale di un «percorso di attuazione di una
strategia organizzativa globale all’epoca
mancante e successivamente instaurata, richiedente un importante impegno di
spesa».”
3) L’applicazione
della pena su richiesta (il patteggiamento dell’Azienda): Cassazione Penale, Sez. VII, 10 luglio 2015, n. 29333
Un breve cenno a una recente sentenza (che affronta un
tema strettamente tecnico-giuridico ma che può comunque essere di interesse),
frutto del ricorso da parte di una società di costruzioni (una S.r.l.) avverso
una sentenza del Tribunale che, in applicazione della congiunta richiesta del
pubblico ministero e della Società ricorrente, aveva applicato a quest’ultima
una sanzione ai sensi del D.Lgs.231/01 in relazione al reato di omicidio
colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza sul
lavoro dall’amministratore unico.
In particolare, la Società ricorrente aveva censurato la
sentenza impugnata per vizio di motivazione, “avendo il tribunale […]
confermato la responsabilità della stessa in assenza dei necessari presupposti
di legge.”
Qui il tema riguarda la motivazione della sentenza in relazione
all’assenza di cause di non punibilità.
La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso chiarendo
che
“in conformità al consolidato
insegnamento della giurisprudenza di questa corte formatosi in relazione
all’applicazione di sanzioni penali ex art. 444 c.p.p.
[1],
anche con riguardo all’applicazione di
sanzioni su richiesta a carico degli enti (ai sensi del d.lgs. n.231/2001),
nella motivazione della sentenza, ai fini dell’attestazione della
responsabilità dell’ente per il reato allo stesso contestato,
il richiamo all’art. 129 c.p.p. [“Obbligo
della immediata declaratoria di determinate
cause di non punibilità”
[2],
n.d.r.] è sufficiente a far ritenere che il giudice, a fronte della congiunta
richiesta avanzata dalle parti in ordine l’applicazione della sanzione
concordata, abbia verificato ed escluso la presenza di cause di
proscioglimento, non occorrendo ulteriori e più analitiche disamine al
riguardo (cfr., al riguardo, Cass., n. 6455/2011, Rv 252085).”
Dunque, aggiunge la Corte,
“il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui
all’art.129 c.p.p. dev’essere accompagnato da una
specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità […]”.
4) Il termine di
prescrizione delle sanzioni amministrative previste dal D.Lgs.231/01: Cassazione Penale, Sez. VI, 30 aprile 2015, n.18257
Concludiamo con l’unica sentenza, tra quelle prese in
esame, in cui non si è proceduto nei confronti dell’Azienda ai sensi del
D.Lgs.231/01 a seguito di un infortunio sul lavoro bensì a seguito di reati
dolosi.
In ogni caso, con questa pronuncia la Corte ricorda che
“la L. n. 300 del 2000, art. 11 (Delega al
Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche) […] espressamente dispone di “prevedere che
le sanzioni amministrative di cui alle lettere g), i) e l)
si prescrivono
decorsi cinque anni
dalla
consumazione dei reati indicati nelle lettere a), b), c) e d) e che
l’interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile”.
Conseguentemente, specifica la Cassazione,
“le disposizioni del
decreto legislativo [231/01, n.d.r.]
(art. 22) sono conformi a tale previsione disciplinando la prescrizione
in modo diverso rispetto alla prescrizione penale - del resto, se non vi fosse
ottemperanza alla previsione della applicabilità della disciplina del codice
civile scatterebbero le conseguenze della contrarietà alla legge delega.”
Anna Guardavilla
[1]
Art. 444 c.p.p.: “Applicazione della pena su richiesta”.
[2]
Art. 129 codice di procedura penale:
“Obbligo
della immediata declaratoria di determinate
cause di non punibilità.
1. In ogni
stato e
grado del processo,
il giudice, il
quale riconosce che il fatto non
sussiste o che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce
reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto
o che manca
una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza.
2. Quando
ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il
fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non
costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia
sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula
prescritta.”
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