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"Quando le malattie professionali non vengono denunciate"
fonte www.puntosicuro.it / Sorveglianza Sanitaria
12/04/2016 -
Riporto un caso di un lavoratore che si rivolge a me in forma privata
per sottoporre il suo caso e conoscere se le patologie di cui è
portatore potrebbero essere inquadrate come malattie professionali e
conoscere il motivo per il quale i medici competenti che si sono
succeduti nel tempo nella sua azienda non abbiano effettuato la
denuncia/referto/primo certificato di malattia professionale.
Il caso è interessante in quanto offre spunti di riflessioni sia sul
significato di malattia professionale sia sul ruolo preventivo della
medicina del lavoro.
La malattia professionale
Nel corso della visita emergono 5 patologie contenute nell'elenco del
D.M. 10/06/2014 (malattie per le quali è obbligatoria la denuncia).
4 di esse in lista 1 ( malattie la cui origine lavorativa è di elevata
probabilità): spondilodiscopatie del tratto lombare, ernia discale,
meniscopatia degenerativa, epicondilite.
1 di esse in lista II (malattie la cui origine lavorativa è di limitata
probabilità): tendinopatia inserzionale distale del tricipite.
I fattori di rischio che potrebbero averle determinate: la
movimentazione manuale dei carichi, i microtraumi e posture incongrue a
carico degli arti superiori, i microtraumi e posture incongrue a carico
del ginocchio.
La prima domanda da porsi è se questi fattori di rischio siano presenti e
di forza sufficienza a determinare o contribuire a sviluppare le
patologie già accertate.
Qui ci vengono in aiuto i giudizi di idoneità in cui vengono esplicitati
questi fattori di rischio: movimentazione manuale dei carichi,
sovraccarico biomeccanico arti superiori, posture.
Il fatto che vengano esplicitati nel giudizio di idoneità significa che
la sorveglianza sanitaria è attivata sulla base di quei fattori di
rischio che quindi sono presenti nell'attività lavorativa e sono ad un
livello di soglia tale da rappresentare un fattore di rischio per la
salute.
Inoltre la raccolta anamnestica lavorativa permette, soprattutto per la
movimentazione manuale dei carichi e meno per gli arti superiori ove se
non si "studia" la lavorazione difficilmente si riesce ad arrivare ad
una fascia di rischio, di confermare, per lo meno in termini qualitativi
che i fattori di rischio ci sono e sono consistenti. Non possiamo
stabilire la consistenza in termini quantitativi in quanto solo il
documento di valutazione dei rischi ne possiede gli elementi utili.
Quindi esistono i fattori di rischio, esistono le patologie. Ci si deve
porre la domanda se esistono altri fattori interferenti. In questo caso,
per tre patologie, esistono un fattore di rischio costituzionale ed uno
congenito che potrebbero aver contribuito alla determinazione del
danno. Rimango sul vago per ovvi motivi di tutela del lavoratore. Il
fattore di rischio congenito appare presente sull'apparato ma in sede
diversa dalla patologia e quindi, forse, la sua forza lesiva perde di
intensità. Il fattore di rischio costituzionale è presente ma rispetto
ad una forza lesiva professionale appare di minor peso. In ogni caso
queste mie considerazioni sulla coesistenza o preesistenza di altri
fattori di rischio, avrebbero poca rilevanza in presenza di una
patologia per la quale vige l'obbligo di denuncia in presenza del
fattore di rischio. Spetta agli enti preposti effettuare poi queste
considerazioni che io, quale medico segnalante, posso esprimere nella
relazione accompagnatoria.
Pertanto la risposta al lavoratore è: si, vige l'obbligo di
denuncia/referto/primo certificato che quindi viene soddisfatto. Sul
perchè i 4 medici competenti che si sono succeduti non abbiamo
provveduto: non so rispondere. Diverse legittime opinioni
specialistiche? Conflitto di interesse? Negligenza?
Le più importanti considerazioni le vorrei fare sul significato delle
visite di idoneità: cosa sono serviti 20 anni di visite mediche?
Analizziamo i giudizi di idoneità.
Un portatore di un fattore di rischio congenito avrebbe dovuto, come da
linea guida, essere tutelato, ab ovo, attraverso una limitazione alla
movimentazione manuale dei carichi. Perchè già sapevamo che un soggetto
con quel fattore di rischio costituzionale se fosse stato adibito a
movimentazione manuale dei carichi senza limitazioni, sarebbe, nel
tempo, peggiorato. Mentre questo non è avvenuto ma avviene nel corso del
tempo dopo l'emergere delle altre patologie.
Lasciamo pure stare che le limitazioni appaiono e poi scompaiono nel
corso degli anni. E anche questo è mistero: persistendo la patologie,
anzi peggiorando nel tempo, come documentato, come può un anno esserci
una piena idoneità e l'anno successivo una limitazione che poi scompare
di nuovo? Pasticcio? Divergenze di vedute dei diversi medici competenti?
Pressioni aziendali? Pressioni del lavoratore che voleva avere la piena
idoneità? Criterio sintomatico? Non c'è una spiegazione razionale in
quanto esistono delle precise linee guida.
Vorrei invece concentrarmi sul significato delle limitazioni. Limitare
al sollevamento manuale dei carichi a X kg è privo di valore sia perchè
incoerente con la patologia in senso assoluto ma è anche incoerente con
il fatto che il lavoratore movimenta meno di X kg ma con continuità e in
particolari condizioni. A cosa serviva esplicitare una limitazione a X
Kg se il lavoro già di per se non prevede il superamento di tale peso?
Errore interpretativo? Misconoscenza del lavoro? Tutela di facciata?
Almeno dal 2008 il giudizio di idoneità avrebbe dovuto essere
esplicitato in limiti NIOSH oppure, in assenza, elencando i compiti e le
condizioni in cui il lavoratore avrebbe potuto svolgere il lavoro con
quella patologia.
Sono riflessioni che faccio ad alta voce, anche in senso autocritico e
non voglio gettare fango sugli altri ma recepire, anche dagli errori, un
percorso di analisi e di miglioramento.
Capita anche a me, in assenza di un documento di valutazione valido, di
esprimere giudizi di idoneità in termini assoluti. Ma questo è l'esempio
che la mia pigrizia intellettuale, la mia rassegnazione di medico
competente che non riesce a collaborare alla valutazione dei rischi, la
mia frustrazione di medico competente isolato ad effettuare visite
mediche ripetitive ed inutili, il mio contratto di medico competente
pagato a prestazione e quindi non coinvolto al processo valutativo per
motivi economici, può contribuire a generare o meglio, ad impedire che
la malattia professionale faccia la sua comparsa per inefficacia del
valore preventivo della medicina del lavoro.
Varrebbe invece la pena entrare in azienda e collaborare a valutare il
rischio anche in funzione del giudizio di idoneità. Un lavoro certosino
che, per contro, trasforma la "collaborazione" alla valutazione del
rischio alla "realizzazione" della valutazione del rischio, obbligo non
certo di competenza esclusiva del medico.
Tuttavia quando si incontra una caso come quello citato, il ruolo del
medico competente dovrebbe essere quello di approfondire la lavorazione
in modo da arrivare ad esprimere un giudizio di idoneità mirato su quel
lavoratore con il suo stato psico-fisico e su quella lavorazione e
questa si chiama "collaborazione alla valutazione dei rischi" imposta
dall'art. 25, comma 1 del Testo Unico: Il medico competente: a)
collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e
protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della
programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla
predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute
e della integrità psico-fisica dei lavoratori".
Viceversa viene a mancare il significato preventivo della medicina del
lavoro: 20-30 inutili (per la medicina del lavoro), utili (per chi le
gestisce) visite al giorno x 5 giorni alla settimana.
Dott. Cristiano Ravalli
Fonte: medicocompetente.blogspot.it
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