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"Ilva, i pensionati non saranno sostituiti. Legge sulle diossine, è braccio di ferro"
fonte La Repubblica / Ambiente
18/02/2009 - TARANTO - Il tavolo tecnico non sana la frattura tra Governo e Regione Puglia sulle emissioni di diossina dell’uva di Taranto. E la patata bollente rimbalza ancora a Palazzo Chigi dove approderà il verbale della riunione chiusa ieri pomeriggio al Ministero dell’Ambiente. “La Regione - spiega l’assessore all’Ecologia, Michele Losappio — riconferma la disponibilità a criteri di elasticità, peraltro già indicati nella legge, per consentire all’Ilva il raggiungimento del primo step di riduzioni di emissioni e auspica che uguale senso di responsabilità si possa trovare nella società Ilva”. Ieri nero su bianco, intanto, sono finite le divergenze sull’applicabilità della normativa regionale che impone l’abbattimento dei livelli di diossina di produzione industriale. Da un lato Regione e Arpa insistono sulla praticabilità tecnica delle limitazioni imposte alle ciminiere dello stabilimento ionico. Valutazione che si scontra con quelle dei tecnici ministeriali che continuano ad esprimere forti perplessità sui tetti decretati dalla normativa, così come ribadito anche dall’azienda. Tra le divergenze è spuntata un’unica traccia comune che attiene all’elasticità delle misurazioni. Una forbice che si aggira sul 30 per cento sulla quale si potrebbe avviare un percorso comune. “Apparentemente su posizioni distanti – specifica il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato – ma si potrebbe innescare un dialogo costruttivo che spetta al tavolo politico. Da tecnici – continua – abbiamo fatto la nostra parte, la parola ora passa alla politica”. Il nuovo confronto a Palazzo Chigi potrebbe tenersi già domani, quando sarà quasi certamente il grande mediatore Gianni Letta a scendere in campo per scongiurare lo scontro istituzionale sul caso Ilva. La normativa regionale, infatti, ha messo in discussione il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale al colosso dell’acciaio, con conseguente pericolo anche per la stessa sopravvivenza della grande fabbrica tarantina. Un’ipotesi che si inserisce nel momento più difficile di Ilva, dalla privatizzazione ad oggi. Lo stabilimento da dicembre viaggia a ritmi ridotti, con la produzione scesa di circa il 50 per cento. Tutta colpa della crisi di settore che ha azzerato le commesse di tubi, lamiere e coils. A pagare sono stati i lavoratori che da metà dicembre sono stati messi in cassa integrazione. Ieri l’azienda ha comunicato ufficialmente che il conto è destinato a salire. Dall’1 marzo salirà a 4785 il numero dei lavoratori Ilva in cig. La cassa avrà una durata di altre tredici settimane. Ma c’è un’altra inquietante spia della crisi del comparto siderurgico ionico: l’azienda non assume più. Dall’inizio dell’anno, dai ranghi delle tute blu sono usciti 168 pensionati e i 34 lavoratori con contratto interinale non riconfermato. Stesso destino incombe su altri 333 interinali. Falle che l’azienda non ha coperto. “Il mancato turnover preoccupa quanto la situazione di famiglie che dovranno sopravvivere con 800 euro al mese” - commenta il segretario provinciale della Uilm, Rocco Palombella. “Lunedì — continua — incontreremo il vicepresidente Fabio Riva e saremo in Federacciai per verificare i tempi di uscita dalla crisi”. “Stiamo lavorando sulle ferie forzate per limitare i disagi per i lavoratori”- aggiunge Giuseppe Lazzaro, segretario provinciale della Fim. Intanto il 24febbraio i sindacati incontreranno l’azienda per approntare il piano definitivo della nuova cassa integrazione.
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