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"La strage continua: “Sei morti negli ultimi mesi”"
fonte La Repubblica / Salute
18/02/2009 - Ha 55 anni e da bambina ha frequentato la scuola media “Duca Amedeo d’Aosta”, nel quartiere Japigia, vicino ai binari della ferrovia. Due anni e mezzo fa ha scoperto di essere ammalata di mesotelioma. E non è l’unica tra coloro che quaranta anni fa hanno frequentato l’istituto. Perché, nella zona rossa, quella compresa tra Madonella, Japiga e San Pasquale, sono sempre di più i cittadini che si ammalano della forma di tumore che solo l’amianto può causare. Si ammalano. E poi c’è chi muore. Come due signore che, recentemente, si sono trasferite a Milano e che, però, hanno tra scorso la loro infanzia e adolescenza a Bari. L’associazione Fibronit aggiorna continuamente l’elenco di chi non è sopravvissuto all’amianto. Negli ultimi mesi le vittime sono state sei. E poi ci sono anche i dati ufficiali del registro regionale sul mesotelioma pleurico, coordinato dalla docente del l’università di Bari, Marina Musti. Dal 1980 ad oggi, 836 persone sono state uccise dalla forma di tumore, 346 solo a Bari con una media del 41 per cento. Il 6,7 percento, raccontano i dati raccolti dagli esperti dell’ateneo, non erano operai o comunque, almeno sulla carta, non ci sono ammalati per cause professionali. Ma è il confronto con la media italiana a spiegare le dimensioni del problema. Il tasso di mortalità, registrato a Bari è 9 volte più alto di quello italiano. « alcuni giorni fa ho ricevuto una e-mail da un cittadino che mi chiedeva informazioni, ha scoperto che sua moglie ha contratto il mesotelioma - dice Nicola Brescia. presidente dell’associazione fibronit -. La donna vive vicino al Cirillo e cioè non nel quartiere Japigia o a Madonnella, ma in un’altra zona della città, più lontana dai capannoni di via Caldarola». Il numero di chi si ammala per colpa dell’amianto è desti nato a crescere perché il periodo di incubazione è lunghissimo, supera i trent’anni. Lillo Mendola, però, pensa che non può essere soltanto «una contabilità della morte». Dice che «come è accaduto a Casale Monferrato tutti dovrebbero impegnarsi per una campagna di sensibilizzazione». Lui è il vice presidente dell’associazione che riunisce i familiari delle vittime dell’amianto, non gli operai, ma i cittadini che vivevano nel quartiere Japigia, vicino alla Fibronit o al Madonnella. «Spesso non si pensa a ciò che la malattia comporta», il dolore, l’odissea tra un medico e l’altro prima di ricevere una diagnosi corretta. E poi le cure, la speranza di combattere il male. Giusi Berardi è il presidente dell’associazione. Suo marito si chiamava Ernesto Chiarantoni. Era un ingegnere ed è stato ucciso a 44 anni dal mesotelioma. E’ morto come il padre. «Il nostro impegno – dice Giusi - è quello di sensibilizzare le istituzioni perché aiutino chi c’è ancora. Ci vuole molta partecipazione e sostegno. E per questo che noi ci battiamo».
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