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""Cisterna killer, troppe omissioni di Fs""

fonte La Repubblica, C.Bonini e G. Foschini / Sicurezza sul lavoro

09/07/2009 - ROMA - C'è un filo sottile che lega due stragi. Viareggio e Molfetta (marzo 2008). E non tanto perché tra il deragliamento del merci 50325 e la morte di cinque operai (Molfetta) impegnati nella pulizia di una cisterna che aveva trasportato zolfo fa capolino sempre la stessa società: quella Fs logistica che in un caso e nell'altro gestiva il contratto di trasporto. O perché a Viareggio, come a Molfetta, hanno ucciso delle cisterne. Quanto perché, in una curiosa coincidenza temporale, proprio in questi giorni, a Trani, il processo per la morte degli operai arriva a stringere su una questione chiave. Che preoccupa le Fs, non solo perché vede tra gli imputati di omicidio plurimo colposo i dirigenti Alessandro Buonopane (responsabile dei trasporti di merci pericolose della Fs logistica) e Mario Castaldo (responsabile legale della società). Ma perché denuncia un "metodo" nel gestire le cosiddette "esternalizzazioni". Nel maneggiare, attraverso la catena dei subappalti o dei contratti a terzi, materia delicata come quella delle sostanze chimiche altamente pericolose. Un "metodo", che nelle parole del sostituto procuratore Giuseppe Maralfa suona così: "Superficialità, omissioni, mancanza di diligenza e prudenza nella gestione delle cisterne di proprietà Fs". L'origine del processo è nota. Cinque dipendenti del lavaggio "Truck Center" di Molfetta muoiono in un capannone nella zona industriale della città, dove Fs Logistica, attraverso la società "La Cinque Biotrans", invia per la pulizia nove cisterne che hanno trasportato zolfo allo stato liquido. La morte è immediata, per le esalazioni di acido solfidrico sprigionate dai residui di zolfo di una delle cisterne. Gli operai non indossano nessuna protezione. Niente maschere. Nessuna imbracatura di sicurezza. Meno noto quel che accade dopo. Perché, come scoprono l'istruttoria e un dibattimento ormai al termine, a condannare i cinque operai non è semplice imprudenza. La Procura di Trani accerta che gli operai non conoscevano a fondo i rischi di quell'operazione di lavaggio. Che né il titolare della "Truck" (Vincenzo Altomare, morto anche lui in quella cisterna), né Fs Logistica li avevano mai avvisati del pericolo. Attraverso una serie di consulenze tecniche, l'accusa documenta che Fs Logistica non ha mai consegnato la "scheda dati sicurezza", un documento conosciuto tra gli addetti come "scheda a 16 punti". Un attestato di rischio con cui si indica l'agente chimico trasportato dal tank container. In quella scheda - scrive il gup Grazia Miccoli nel decreto di rinvio a giudizio - esistevano "tutte le informazioni necessarie per la completa valutazione del rischio conseguente al lavaggio interno". Compresa la specifica sull'idrogeno solforato. Epperò, la sua mancanza non è distrazione. Ma routine. La "scheda dati sicurezza" - accerta il processo - è infatti assente anche per le altre cisterne inviate al lavaggio a Molfetta, nonostante la legge ne imponga l'obbligo. Di più. La Procura accerta che per la pulizia dei tank, di proprietà di Fs Logistica e realizzati da una ditta italiana e da una cinese, le Ferrovie si affidano, "in violazione delle regole di diligenza e prudenza", a ditte prive di qualsiasi competenza, non in grado di svolgere le operazioni. Si scopre insomma che il Truck Center non è un lavaggio industriale, in grado di trattare carichi chimici. Ma poco più che un lavaggio camion. I dirigenti di Fs Logistica si difendono segnalando di aver ricevuto le "schede di rischio" solo in un secondo momento. Quindi, scaricano la responsabilità sull'Eni, sostenendo che lo zolfo di quella cisterna avrebbe avuto concentrazioni di acido solfidrico più alte rispetto a quello che dovrebbe essere. Anche cinque volte maggiore. Secondo l'accusa, una giustificazione di cartapesta. Una toppa peggiore del buco, perché dimostrerebbe che Fs logistica non conosceva neppure l'esatta composizione chimica di ciò che trasportava.

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