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""La Thyssen sapeva del rischio incendi""
fonte agi / Sicurezza sul lavoro
06/10/2010 - E'composta da un piccolo imprenditore, una panettiera e impiegate la prima e per ora unica Corte d'Assise italiana chiamata a decidere sull'accusa di omicidio doloso in materia di sicurezza del lavoro: i sette operai bruciati vivi alla ThyssenKrupp di Torino, la notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007. Tragedia-simbolo con il suo fiume di dolore stampato sui volti e sulle t-shirt dei familiari delle vittime, «sentinelle» del processo con la loro dolente «Spoon river» di immagini e ricordi. Dopo 20 mesi di dibattimento, inizia la requisitoria e Raffaele Guariniello, il pm, nella consapevolezza dell'inedita accusa, prende la parola per dire subito: «Non è stata emotiva la scelta di contestare all'amministratore delegato Harald Espenhahn - unico imputato ad esser stato diretto nel deporre - l'omicidio sotto il profilo del do- lo eventuale. Né l'abbiamo deciso per dare risposta alle richieste di giustizia delle famiglie e anche di autorevoli istituzioni pubbliche. Sette operai sono morti, sette famiglie hanno avuto ferite non rimar-ginabili. Tutto ciò non ha influito sul nostro orientamento». «Sono state le indagini - prosegue - ad imporci contestazioni di carattere doloso. In particolare gli esiti delle perquisizioni nei locali dell'azienda e •negli archivi elettronici dei suoi computer. Mail e documenti sequestrati ci hanno convinto che il verticeThyssen in Italia aveva accettato il rischio di incendi, anche mortali, pur di rinviare gli interventi sulla sicurezza al trasferimento delle linee di produzione da Torino a Terni. Come era stato deciso sin dal 2005, anche per risparmiare 30 milioni di euro di costo del lavoro con la riduzione degli organici. Ne è derivato l'abbandono dello stabilimento torinese e degli operai a se stessi, soprattutto negli ultimi mesi». Durissimo: «Non è un caso che 7 lavoratori siano morti lì, non potevano che morire li, in una fabbrica sottoposta a vincoli di sicurezza particolari. Era ritenuta a rischio di "incidenti rilevanti" e non aveva nemmeno il certificato di prevenzione incendi». «Cronaca d 7 morti annunciate» è il titolo che appare sulla prima delle slide che scandiscono la parte di requisitoria del pm Laura Longo: 3 ore fitte di llustrazione di documenti, posta elettronica, citazioni di testimonianze, senza aggettivi e fronzoli. Lo stabilimento torinese del colosso industriale tedesco raccontato come è emerso dalle 68 udienze: «I lavoratori dai maggiori profili professionali se ne erano andati do- po l'annuncio della chiusura, a cominciare dai capiturno della manutenzione. Le riparazioni ridotte à rattoppi; 10 tonnellate di olio utilizzate ogni mese per i rabbocchi degli impianti oleodinamici a circuito chiuso, dimostrazione delle gravi perdite di olio dagli impianti. Una delle cause dell'incidente, insieme all'accumulo di carta sulle linee, a cominciare dalla "5", quella dell'incendio». E ancora lettere e comunicazioni interne, sino all'ultima, di Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza e imputato, che il 5 dicembre 2007, a poche ore dall'onda di fuoco devastante, dà notizia della «nomina di Rocco Marzo a responsabile dell'emergenza antincendio per tutto lo stabilimento nei suoi turni di lavoro senza che avesse avuto alcuna formazione specifica. Erano andati via tutti i più esperti e quella stessa notte Marzo fu avvolto dal fuoco con 6 compagni di lavoro nel tentativo di spegnere le fiamme».
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