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"Thyssen, chiesti 16 anni per omicidio volontario"
fonte Corriere della Sera / Sicurezza sul lavoro
15/12/2010 - Le foto dei morti sono ovunque. Infilate nelle fessure dei banchi a creare una specie di barriera, sulle magliette indossate da amide parenti, su fogli che il pubblico usa come ventaglio per farsi aria in un'aula che solo oggi, dopo quasi cento udienze, è finalmente piena. Ci sono anche i morti dell'Eternit, e i 32 della strage di Viareggio, ancora in cerca di autore e di processo. Le associazioni che li rappresentano sono venute qui a Torino raccogliendo l'appello dei familiari delle vittime del rogo della Thyssen, che una settimana fa avevano chiesto un aiuto per impedire che l'ultimo atto del loro processo avesse luogo in un deserto ghiacciato, come quelli che l'hanno preceduto in questi due anni «Sedici anni e sei mesi di reclusione». Raffaele Guariniello era seduto mentre concludeva la sua requisitoria con la richiesta di pena per Harald Espenhahn, l'amministratore delegato della ThyssenKrupp, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, per aver consapevolmente distolto dalla filiale di Torino ormai prossima alla chiusura i fondi destinati alla sicurezza. Mai era stato contestato questo reato a un imprenditore chiamato a rispondere della morte di un suo dipendente. Il pubblico ministero ha chiuso su una nota di mestizia, forse consapevole dell'impossibilità di soddisfare aspettative rese più alte da anni di oblio. A ben guardare, il processo per le sette morti del rogo Thyssen è uno spartiacque. In totale sono ottanta anni di carcere, contando i 16 anni e 6 mesi di reclusione chiesti per gli altri cinque dirigenti imputati di omicidio colposo e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Per la ThyssenKrupp c'è anche una sanzione pecuniaria di 1,5 milioni di euro, l'esclusione da ogni agevolazione e il divieto di pubblicizzare i propri prodotti per un anno. Guariniello ha annunciato che contesterà íl reato di omicidio anche al consulente che firmò il documento di valutazione dei rischi dell'azienda. Ma tutto questo non poteva comunque essere sufficiente per colmare una rabbia che in questi anni non si è placata, ma è cresciuta nell'abbandono generale al quale è stata consegnata questa vicenda. Il più grande incidente sul lavoro degli ultimi anni confinato in una ridotta solo torinese. «Troppo poco, dovevi chiedere di più». Le madri delle sette vittime vestono di nero, in tono con l'umore generale di questa giornata di mobilitazione «forzata» che lascia comunque l'amaro retrogusto dell'atto dovuto. Graziella, la mamma di Rosario Rodinò, ultimo a morire dopo 12 giorni di agonia, abbraccia la sorella di una vittima di Viareggio e comincia a inveire. «Meritavano l'ergastolo, era il minimo». Isa Pisano, mamma di Roberto Scola, la segue. «A Tanzi, che ha solo rubato, hanno dato i8 anni, questi sono dei macellai e prenderanno di meno». Rosa Marzo, moglie di Rocco, che era il capo della squadra, viene tirata per la manica sul sentiero dell'amarezza. «Queste pene dovevano essere moltiplicate per sette, come il numero delle vittime». Chi si lamenta, chi piange, trova una spalla solo negli ospiti, quelli arrivati da fuori, ignari delle tensioni e delle divisioni che hanno solcato questo processo, a cominciare dalla scelta di molte famiglie delle vittime di accettare i risarcimenti offerti dalla Thyssen, 15 milioni di euro in totale. Un indennizzo che molti hanno letto come un'implicita ammissione di colpa, ma che ha rotto il fronte unico tra i parenti degli operai morti e i loro colleghi superstiti, e prosciugato la solidarietà intorno alle vittime di questa tragedia. Era l'una e 43 secondi del 6 dicembre 2007 quando l'operaio della ThyssenKrupp Piero Barbetta, con il suo cellulare chiamò prima il 115 e poi il 118 per implorare soccorso. Un'improvvisa fuoriuscita di olio bollente, l'intervento dei colleghi si stava rivelando inutile, i dispositivi antincendio erano fuori uso. «In tutta coscienza - ha detto ieri Guariniello - mi sento di escludere che l'evento sia accaduto per colpa degli operai. Ci tengo a precisarlo perché per tutto il processo questa ipotesi è aleggiata nell'aria». Tre anni dopo, e appena tre giorni fa, la marcia indetta per ricordare quella tragedia ha raccolto qualche centinaio di partecipanti e nessun rappresentante delle istituzioni. Dopo indagini chiuse in soli tre mesi e un processo finalmente veloce, Guariniello è costretto quasi a giustificarsi davanti a madri che sventolano le foto dei loro figli chiedendo giustizia e cercando di indirizzare una rabbia che non trova più sfogo, perché troppo tempo ormai è passato, invano. «Tenendo conto dell'enorme gravità del reato, abbiamo cercato di fare e dare il massimo» dice il magistrato. Ieri, in zona Cesarini, solidarietà e omaggi alla memoria fioccavano da ogni scranno. Intanto gli ultimi trenta lavoratori della Thyssen di Torino hanno finito il periodo di cassa integrazione in deroga e si stanno avviando verso la mobilità.
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