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"Approvata e firmata l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per la più grande acciaieria d'Europa. Quando uno sciopero a sostegno di una piattaforma rivendicativa per la salute e la sicurezza dei lavoratori dell'area a caldo dell'Ilva?"
fonte Liberazione / Responsabilità sociale
21/07/2011 - Martedì 5 luglio si è concluso, presso il ministero dell'Ambiente a Roma, l'iter
conclusivo, nella sua fase decisoria, dell'
Aia (Autorizzazione integrata
ambientale) per la più grande acciaieria d'Europa, l'Ilva di Taranto. Passaggio
obbligato per poter
produrre, imposto dalla comunità europea
nel segno della
tutela dell'ambiente ma anche della concorrenza leale tra i suoi maggiori
produttori di acciaio.
E' stata concessa con quattro anni di ritardo e per questo sono state pagate multe salate con soldi pubblici. In questo periodo ci sono state tre importanti e molto partecipate manifestazioni cittadine, un crescendo di sensibilità della società civile verso l'ambiente, considerato sempre più bene comune ed irrinunciabile divenendo, qui, la "questione" so- ciale principale.
Con tale emergenza in questo tempo è stata costretta a misurarsi la politica ed attraverso essa le Istituzioni, i partiti, sindacati e ovviamente l'azienda.
L'Ilva di Emilio Riva per tredici anni, sino all'inizio di questa crisi di grande portata, ha potuto produrre in uno splendido isolamento, macinare enormi profitti fondati sui salari dei siderurgici italiani, i più bassi d'Europa, nella concreta assenza di vincoli e controlli ambientali.
La classe operaia più giovane in Italia, qui presente, erede di un rapidissimo ricambio generazionale imposto dall'applicazione dei benefici per legge dell'amianto a tutti i dipendenti, ha subito un totale cambio del modo di intendere la fabbrica, rispetto a quello precedente, con una nuova organizzazione del lavoro basata sul principio assoluto del rispetto della proprietà privata.
La crisi, i suoi tempi imposti alle produzioni, ha consentito ad Emilio Riva di dedicarsi anche ad un rapporto politico, per lui apparentemente inedito, con la città che lo ospita.
Ha investito in questi ultimi tre anni sui suoi impianti produttivi per la ripartenza dopo la crisi ed in materia di abbattimento di alcuni inquinanti quali polveri e diossine. Ha acquisito le due centrali di Edison qui presenti, nel contempo ha partecipato economicamente al salvataggio di Alitalia e del San Raffaele di Milano.
Oggi afferma, lo chiede ai ministeri competenti, di poter produrre una quantità di acciaio pari a quindici milioni di Tn dai suoi impianti di Taranto a ciclo integrale, quota mai raggiunta nella storia di tale fabbrica.
L'Aia è stata approvata e firmata con soddisfazione, in alcuni casi entusiasmo, dai rappresentati istituzionali di regione, provincia e comune. A parere di AltaMarea, la più grande associazione ambientalista tarantina che ha prodotto presso il ministero dell'Ambiente tantissime controdeduzioni tecniche e scientifiche, tale autorizzazione sembra sia stata scritta sostanzialmente dalla proprietà Riva con il benestare della ministra Prestigiacomo, nota anche lei per un suo conflitto di interesse con Eni, altra grande multinazionale presente nel territorio tarantino che si appresta a costruire un'altra centrale termoelettrica.
Un copione già scritto da tempo?
Un gioco delle parti istituzionali in causa per potersene uscire con un minimo di dignità?
Un posizionarsi perle prossime competizioni elettorali locali e nazionali per partiti e liste civiche che cominciano ad essere tante e a difesa tutte del "bene comune dell'ambiente"? Tutto questo è possibile, ma ci sono stati dei grandi assenti in questi anni: i lavoratori del centro siderurgico. Eppure sono loro i più interessati alla vicenda perché i più esposti per quelle malattie professionale ed ambientali che tanto hanno colpito chi li ha preceduti. Il grande problema è che essi sono poco e male rappresentati dai grandi sindacati qui presenti e, purtroppo, non lo sono ancora a sufficienza politicamente.
Le interviste ai tre segretari confederali, amplificate ad arte sulla stampa locale e nazionale, hanno mostrato tanta subalternità culturale alla proprietà aziendale sostenendo in modo acritico l'approvazione di questa Aia e probabilmente garantendosi un riconoscimento. E' stato certamente un problema enorme perché chi non conosce il processo produttivo in tutti i suoi aspetti, come nel loro caso, quindi non poteva giudicarlo né cambiarlo.
Conoscere la realtà per poterla trasformare... sfidare l'azienda sul governo delle forze produttive... tramutare i lavoratori da sfruttati a produttori., quanta attualità in queste antiche affermazioni che ci porterebbero anche alla scontata considerazione che l'ambiente, da dentro, può essere una leva formidabile per cambiare i rapporti di forza a vantaggio dei lavoratori, nel segno della loro dignità, salute e sicurezza.
Una straordinaria alleanza con la società civile tarantina in fermento sulle stesse questioni è la base principale su cui lavorare. Senza i lavoratori non c'è alcuna speranza di cambiamento per tutti, noi e loro. A quando uno sciopero a sostegno di una piattaforma rivendicativa perla salute e la sicurezza dei lavoratori dell'area a caldo dello stabilimento? Questa è la svolta vera che occorre a Taranto, senza di ciò i lavoratori sentiranno ostile la società civile, chiusi nel loro interesse solo economico e corporativo potrebbero essere usati come arma impropria dall'azienda a difesa dei suoi interessi. Come non leggere in questa ottica la conclusione vantaggiosa in piena crisi, senza colpo ferire, dell'ultimo, positivo, accordo integrativo sottoscritto (concesso) dall'azienda?
Oggi la politica a Taranto e in Italia è malata, un nuovo "medico" in questa città non è bastato, la vera cura è una sana discontinuità col passato, ripartire dai bisogni concreti dei lavoratori e dei cittadini, dalle forze sane presenti ancora qui, unendo i loro sforzi.
E' stata concessa con quattro anni di ritardo e per questo sono state pagate multe salate con soldi pubblici. In questo periodo ci sono state tre importanti e molto partecipate manifestazioni cittadine, un crescendo di sensibilità della società civile verso l'ambiente, considerato sempre più bene comune ed irrinunciabile divenendo, qui, la "questione" so- ciale principale.
Con tale emergenza in questo tempo è stata costretta a misurarsi la politica ed attraverso essa le Istituzioni, i partiti, sindacati e ovviamente l'azienda.
L'Ilva di Emilio Riva per tredici anni, sino all'inizio di questa crisi di grande portata, ha potuto produrre in uno splendido isolamento, macinare enormi profitti fondati sui salari dei siderurgici italiani, i più bassi d'Europa, nella concreta assenza di vincoli e controlli ambientali.
La classe operaia più giovane in Italia, qui presente, erede di un rapidissimo ricambio generazionale imposto dall'applicazione dei benefici per legge dell'amianto a tutti i dipendenti, ha subito un totale cambio del modo di intendere la fabbrica, rispetto a quello precedente, con una nuova organizzazione del lavoro basata sul principio assoluto del rispetto della proprietà privata.
La crisi, i suoi tempi imposti alle produzioni, ha consentito ad Emilio Riva di dedicarsi anche ad un rapporto politico, per lui apparentemente inedito, con la città che lo ospita.
Ha investito in questi ultimi tre anni sui suoi impianti produttivi per la ripartenza dopo la crisi ed in materia di abbattimento di alcuni inquinanti quali polveri e diossine. Ha acquisito le due centrali di Edison qui presenti, nel contempo ha partecipato economicamente al salvataggio di Alitalia e del San Raffaele di Milano.
Oggi afferma, lo chiede ai ministeri competenti, di poter produrre una quantità di acciaio pari a quindici milioni di Tn dai suoi impianti di Taranto a ciclo integrale, quota mai raggiunta nella storia di tale fabbrica.
L'Aia è stata approvata e firmata con soddisfazione, in alcuni casi entusiasmo, dai rappresentati istituzionali di regione, provincia e comune. A parere di AltaMarea, la più grande associazione ambientalista tarantina che ha prodotto presso il ministero dell'Ambiente tantissime controdeduzioni tecniche e scientifiche, tale autorizzazione sembra sia stata scritta sostanzialmente dalla proprietà Riva con il benestare della ministra Prestigiacomo, nota anche lei per un suo conflitto di interesse con Eni, altra grande multinazionale presente nel territorio tarantino che si appresta a costruire un'altra centrale termoelettrica.
Un copione già scritto da tempo?
Un gioco delle parti istituzionali in causa per potersene uscire con un minimo di dignità?
Un posizionarsi perle prossime competizioni elettorali locali e nazionali per partiti e liste civiche che cominciano ad essere tante e a difesa tutte del "bene comune dell'ambiente"? Tutto questo è possibile, ma ci sono stati dei grandi assenti in questi anni: i lavoratori del centro siderurgico. Eppure sono loro i più interessati alla vicenda perché i più esposti per quelle malattie professionale ed ambientali che tanto hanno colpito chi li ha preceduti. Il grande problema è che essi sono poco e male rappresentati dai grandi sindacati qui presenti e, purtroppo, non lo sono ancora a sufficienza politicamente.
Le interviste ai tre segretari confederali, amplificate ad arte sulla stampa locale e nazionale, hanno mostrato tanta subalternità culturale alla proprietà aziendale sostenendo in modo acritico l'approvazione di questa Aia e probabilmente garantendosi un riconoscimento. E' stato certamente un problema enorme perché chi non conosce il processo produttivo in tutti i suoi aspetti, come nel loro caso, quindi non poteva giudicarlo né cambiarlo.
Conoscere la realtà per poterla trasformare... sfidare l'azienda sul governo delle forze produttive... tramutare i lavoratori da sfruttati a produttori., quanta attualità in queste antiche affermazioni che ci porterebbero anche alla scontata considerazione che l'ambiente, da dentro, può essere una leva formidabile per cambiare i rapporti di forza a vantaggio dei lavoratori, nel segno della loro dignità, salute e sicurezza.
Una straordinaria alleanza con la società civile tarantina in fermento sulle stesse questioni è la base principale su cui lavorare. Senza i lavoratori non c'è alcuna speranza di cambiamento per tutti, noi e loro. A quando uno sciopero a sostegno di una piattaforma rivendicativa perla salute e la sicurezza dei lavoratori dell'area a caldo dello stabilimento? Questa è la svolta vera che occorre a Taranto, senza di ciò i lavoratori sentiranno ostile la società civile, chiusi nel loro interesse solo economico e corporativo potrebbero essere usati come arma impropria dall'azienda a difesa dei suoi interessi. Come non leggere in questa ottica la conclusione vantaggiosa in piena crisi, senza colpo ferire, dell'ultimo, positivo, accordo integrativo sottoscritto (concesso) dall'azienda?
Oggi la politica a Taranto e in Italia è malata, un nuovo "medico" in questa città non è bastato, la vera cura è una sana discontinuità col passato, ripartire dai bisogni concreti dei lavoratori e dei cittadini, dalle forze sane presenti ancora qui, unendo i loro sforzi.
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