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"Salute e sicurezza nei porti: i nodi cruciali irrisolti"
fonte PuntoSicuro / Sicurezza sul lavoro
07/10/2011 - Sul sito della Cgil è
recentemente comparso un interessante articolo della
Dott.ssa Rosaria Carcassi - pubblicato sul numero di giugno 2011 della rivista Informatore
AIAS ( Associazione
professionale Italiana Ambiente e Sicurezza) -
che affronta la tematica correlata alla mancata revisione dei decreti 271 e 272
del 1999 in riferimento alla
sicurezza
nei porti.
Nell’articolo,
dal titolo
“
Salute e sicurezza nei porti tra il decreto
272/99 e il decreto 81/2008”, si ricorda che purtroppo l’attenzione su
questi particolari ambienti di lavoro sono dettati dai frequenti eventi
luttuosi, dagli infortuni
sul lavoro che si ripetono negli anni, spesso “ripetitivi nelle loro sequenze e
legati ad elementi che si intravedono tipici dei cicli lavorativi svolti nei porti”.
Le
attività oggetto del decreto legislativo 272/99 sono relative ai
due ambiti lavorativi più rilevanti
presenti nei territori dei maggiori porti italiani:
-
il
settore delle operazioni e servizi
portuali (tutte le operazioni di carico, scarico,
trasbordo, deposito, movimento di merce e servizi complementari e accessori; in
termini di imprese ci si riferisce agli artt. 16, 17 e 18 della Legge 84/94 di
‘Riordino della portualità’), comparto altrimenti detto in linguaggio comune
‘lavoro portuale’;
-
il settore delle
lavorazioni di
manutenzione, riparazione e trasformazione della navi in ambito portuale,
presente come polo industriale organizzato e rilevante in alcune realtà
portuali italiane” ma presente in un numero più consistente di porti per
esigenze di riparazione e manutenzione delle navi.
E
dunque i soggetti direttamente tutelati dal decreto 272/99 sono i lavoratori
portuali e quelli delle riparazioni navali, anche se è evidente che, nei
territori portuali italiani, “queste non siano le uniche attività lavorative
presenti”. Ad esempio in questi porti “entrano da mare o da terra lavoratori di
innumerevoli afferenze, autotrasportatori,
marittimi, spedizionieri, passeggeri, personale degli enti portuali, dei servizi
tecnico-nautici, degli enti pubblici con
ruolo di controllo, dei servizi vari (uno degli ultimi morti sul lavoro
in un porto italiano è stato un garzone di pizza express in consegna di pizze
presso un terminal)”.
L’idea
che l’ambiente portuale sia assolutamente un’
emergenza da affrontare può essere in parte suffragata da alcune
osservazioni mirate.
Ad
esempio il Piano Prevenzione 2010-2012 della Regione Liguria ha fatto emergere
“come
l'incidenza infortunistica nel
lavoro portuale dei tre porti liguri maggiori (espressa come numero di eventi
indennizzati da INAIL su numero stimato di addetti) si collochi su valori oltre
il doppio dell'incidenza nel settore edile; l'edilizia è, come sappiamo, il
settore considerato a maggior rischio infortunistico in Italia”.
Se
poi il
problema della sicurezza è a
ragione “direttamente attribuito alle attività lavorative dei due settori del
lavoro portuale e delle riparazioni navali”, cosa dire dell’altra faccia “del
problema dei luoghi di lavoro, vale a dire del
rischio per la salute nei cicli lavorativi dei due comparti”?
Basta
ricordare che “
amianto” – che oggi
“non è più merce possibile, non è più materiale lecito per le navi nuove in
Italia” – “è una parola che ha profondamente segnato nel passato le comunità
lavorative dei porti”.
Tuttavia
“ rischi
per la salute sono presenti in gran numero nel ciclo delle riparazioni
navali ( sostanze
aerodisperse nei lavori di saldatura, pitturazione, coibentazione con
materiali sostitutivi; rumore
e vibrazioni, radiazioni elettromagnetiche, ecc.); meno rilevante è il
problema del rischio
chimico nel lavoro portuale, ristretto a merci, in special modo quelle alla
rinfusa, che possono contenere sostanze pericolose per la salute, mentre di
indubbio rilievo permane nel lavoro portuale il rischio per l'apparato
osteoarticolare (addetti alla guida di mezzi, movimentazione manuale, posture
costrette, sforzi ripetuti)”.
Nell’articolo
viene fatto un excursus sul
quadro delle
regole prima dei decreti 626/94 e 272/99, fino ad arrivare al Decreto
legislativo 81/2008.
Decreto
che in realtà non si potrebbe definire Testo Unico anche perché, ad esempio,
“non è riuscito ad inglobare nel suo articolato proprio la materia in
argomento, contenuta nel decreto 272”, e la materia, ad essa assai vicina,
della sicurezza e salute dei lavoratori
marittimi “a bordo di navi italiane, vale a dire il decreto
271/99”.
Se
infatti il decreto 81 ha abrogato il 626, non ha abrogato i decreti 271 e 272,
“le cui materie non hanno trovato in tempo composizione dentro il testo unico e
sono quindi state prorogate fino alla emanazione di ulteriori decreti di
armonizzazione delle norme specifiche di porti e navi con le nuove disposizioni
del testo unico. Proroga iniziale di dodici mesi, poi portata, col passare
inutilmente del tempo, a ventiquattro mesi, poi a trentasei; ultimamente, con
il decreto
milleproroghe......a quarantotto mesi”!
Al
di là delle proroghe dei nuovi decreti l’autrice coglie la “scelta non
appropriata, fatta dal decreto 81 per la rivisitazione di 271 e 272, dello
strumento giuridico (un regolamento al posto di un decreto legislativo)”.
Se
da un lato il
bilancio di oltre 10 anni
di applicazione del 272/99 è positivo, “il 272 ha mostrato tutti i suoi
limiti invece nelle parti più prettamente tecniche, che sin dall'emanazione del
decreto erano apparse non in linea con gli standard correnti del 626, dando
adito a possibili contrasti interpretativi; la distanza di precisione tecnica
si è acuita a dismisura con l'entrata in vigore del decreto 81, che ha
ulteriormente reso obsoleto e pressoché vuoto di significato il linguaggio
tecnico del 272”.
Vediamo,
come raccolti nell’articolo, alcuni “
nodi
cruciali irrisolti del rischio portuale, specie rispetto al settore della
movimentazione merci:
-
interfaccia porto-nave: il problema
dell’interfaccia porto-nave è cruciale nelle fasi di lavoro in cui “lavoratori
portuali salgono su una nave, scendono nelle sue stive, si muovono e lavorano
lungo ambienti nave o sopra carichi stivati”. Queste alcune delle domande a cui
si dovrebbe dare risposta: “come sono gli accessi a bordo? Come sono sistemati
e protetti i camminamenti e le postazioni di lavoro rispetto ai vuoti
strutturali, a stive aperte, ai ‘bordi nave’? Come sono congegnate e protette
le scale, per lo più verticali, lunghe anche 10-20 metri, che scendono a fondo
stiva? Come si presenta il carico in stiva su cui dovranno camminare gli
addetti per imbracare le merci, su una nave che magari ha subito una
mareggiata? Come è l’atmosfera in stiva che trasporta carichi
solidi alla rinfusa marcescibili? E ancora come si compone il lavoro dei
portuali con quello dei marinai presenti nei garage nello sbarco-imbarco dei semirimorchi
e dei veicoli?”;
-
autotrasportatori: purtroppo anche
gli autotrasportatori
entrano spesso nelle statistiche degli infortuni portuali mortali, “in modo
sempre più consistente e ripetitivo; non sorprende d'altronde, essendo una
popolazione lavorativa presente massicciamente nei porti ed entrando a pieno
titolo in forte interazione con il nocciolo del lavoro portuale, il
carico/scarico delle merci da parte di mezzi
di sollevamento portuali”;
-
interazione uomo a piedi – mezzo:
“criticità intrinseca al sistema portuale italiano nel suo attuale stadio di
sviluppo, ancora ad elevata intensità di manodopera ma in presenza di fasi
governate da sistemi meccanici complessi ed evoluti”. Si parla in questo caso
dei molti “infortuni per investimento di addetti, presenti necessariamente
sulle banchine o nelle stive, da parte degli innumerevoli mezzi
di movimentazione portuale, da parte di carichi ancora sospesi ai mezzi di
sollevamento”.
In
realtà molti di questi nodi del lavoro portuale “sono stati affrontati nello
schema di decreto che il Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti ha predisposto, secondo il mandato del
decreto 81, a seguito di un accurato lavoro di una commissione tecnica
inter-istituzionale presso il Ministero (Direzione Generale per i porti) con il
coinvolgimento degli altri Ministeri concertanti Lavoro e Salute e del
Coordinamento delle Regioni e dopo un’ampia fase di consultazione delle parti sociali”.
I testi predisposti sono “frutto dell’osservazione sugli oltre dieci anni di
vigenza dei decreti 271 e 272, ne rappresentano un implicito bilancio
complessivo e ne propongono una reale armonizzazione con il decreto
81”. Se i decreti nel loro contenuto tecnico sono pronti, sono tuttavia
fermi “per un
vizio procedurale
legato alla forma dello strumento giuridico necessario”.
L’auspicio
dell’autrice è che si trovi presto la “risoluzione dell’impasse”.
Infatti
non “sono solo le norme che fanno muovere gli uomini; ma sono anche e
soprattutto le norme, se riescono a far tesoro della domanda di salute e
sicurezza che tutti i giorni proviene dai luoghi di lavoro, che danno la
direzione verso dove è meglio muovere”.
“ Salute
e sicurezza nei porti tra il decreto 272/99 e il decreto 81/2008”, a cura
della Dott.ssa Rosaria Carcassi, articolo pubblicato
sul numero di giugno 2011 della rivista Informatore AIAS, organo Ufficiale
dell'AIAS e riproposto sul sito della Cgil (formato PDF, 2.84 MB).
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