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"Imparare dagli errori: l’importanza di utilizzare scarpe di sicurezza"
fonte PuntoSicuro / Sicurezza sul lavoro
11/10/2011 - Siamo arrivati al terzo appuntamento con gli incidenti correlati ad un dispositivo
di protezione personale
di cui
spesso si sottovaluta l’importanza: le
scarpe
di sicurezza.
Tuttavia
questa volta non analizziamo gli infortuni caratterizzati dalla sua mancanza,
ma gli infortuni dove la presenza di scarpe
antinfortunistiche è stata rilevata come un elemento positivo, capace almeno
di ridurre i danni dell’incidente.
Le
dinamiche degli incidenti che analizziamo sono tratte dall’archivio di
INFOR.MO. - strumento
per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema
di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
I casi
Il
primo caso è relativo all’attività di
sostituzione di un tratto di ciglio in
travertino di un marciapiede su un tratto di strada urbana.
Un
operaio, intento alla sostituzione di cigli in marmo su un tratto di
marciapiede, si trova vicino alla zona ove altri due operai sono intenti a
scaricare dei pezzi di marmo da un automezzo
di proprietà della ditta. Ad un certo punto uno dei pezzi movimentati
manualmente dai due operai scivola dal cassone dell'automezzo (la movimentazione
avviene a mano trascinando sul pianale del mezzo i tratti fino al punto di
poterli afferrare) colpendo l'operaio intento alla sostituzione dei cigli alla
gamba sinistra provocandogli la frattura bifocale scomposta III distale del
perone sinistro.
L'
analisi dell'infortunio ha evidenziato:
-
che “il datore di lavoro non ha fornito ai lavoratori per le azioni di
sollevamento, di spostamento, di sostegno e di scarico, mezzi adeguati allo
scopo ad evitare la caduta dall'alto dei pesi e i rischi di lesioni dorso-lombari”;
-
la “mancanza di un preposto
che si occupava della sicurezza”;
-
che “i lavoratori non sono stati adeguatamente informati e formati”.
Tuttavia
il lavoratore infortunato “indossava scarpe antinfortunistiche che,
verosimilmente, a seguito dell'urto del marmo col piede, hanno evitato
ulteriori danni all'arto in questione”.
Il
secondo caso è invece relativo alla sistemazione/sostituzione
di
segnaletica stradale orizzontale
e verticale
.
Un
operaio sta svolgendo il lavoro di sostituzione di un “palo metallico di segnaletica
stradale verticale posizionato sul marciapiede nei pressi di un
attraversamento pedonale anche a servizio di una scuola”. Precisamente sta
cercando di “estrarre da terra (verosimilmente spezzare alla base) il palo da sostituire
di diametro di 48 mm forzandolo in avanti e indietro”, quando improvvisamente
il paletto cede spezzandosi di netto alla base (“evento facilitato anche dalla
verosimile usura del palo stesso esposto agli agenti atmosferici”).
L'operaio
sorpreso dal cedimento del palo perde l’equilibrio ed appoggia il piede destro
all’indietro in posizione tale da non poter sorreggere in piedi il corpo. Cade
così in terra “ed in seguito alla torsione del collo del piede, oltreché l'urto
a terra”, avverte un forte dolore alla caviglia destra.
In
seguito gli accertamenti effettuati dal posto di pronto soccorso si evidenzia “la
frattura trimalleolare della caviglia destra con prognosi iniziale di gg 30 (87
totali)”.
Si
rileva che al momento dell'infortunio l'operaio “indossava scarpe
antinfortunistiche che potrebbero aver attutito l'impatto con il terreno ed il
conseguente danno; tuttavia la sede della lesione lascia presupporre che
l'impatto sia avvenuto in un settore della scarpa poco protetto”. Al di là del
cedimento del palo siamo di fronte ad un
errore
procedurale: “le procedure di lavoro prevedevano che l'operazione di
sfilamento dei vecchi pali avvenisse scalzando dapprima il materiale
circostante il palo stesso in modo da allentarne la presa sul terreno”.
Il
terzo caso è invece relativo ad attività
di
costruzione di una linea elettrica.
Mentre
viene movimentato un
palone metallico
per il posizionamento nel terreno con l'ausilio di un' autogru,
lo stesso fuoriesce dalla guida dell' imbracatura
e colpisce l'infortunato al piede destro procurandogli un trauma da
schiacciamento e la successiva amputazione del 5° dito del piede destro.
Le
analisi hanno rilevato:
-
una mancanza di protezioni, con riferimento a un accessorio di imbragatura per sollevamento;
-
problemi relativi al terreno sconnesso;
-
un errore di procedura nel “rizzamento” del palo metallico;
-
la funzione “migliorativa” del danno relativa alla presenza di scarpe
antinfortunistiche.
La prevenzione
Se
la prevenzione si realizza anche attraverso l’uso dei dispositivi di protezione
personale è bene analizzare anche le problematiche relative all’
eventuale rifiuto del lavoratore di
indossare scarpe antinfortunistiche.
Lo
facciamo riportando alcuni stralci di un articolo, pubblicato su MedicoCompetente e ripreso da PuntoSicuro,
di Maurizio Del Nevo (Istituto di Formazione alla Prevenzione, ISFoP Milano).
In
particolare si ricorda l’importanza dell’art. 2087 del Codice Civile (
L'imprenditore è tenuto ad adottare, nell'esercizio
dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza
e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro) e si ricorda che il “datore di lavoro è
tenuto ad adottare anche quelle misure che, pur non previste dalla legge come
obbligatorie, dovessero rendersi necessarie in base alla particolarità del tipo
di lavoro svolto”.
“Dunque,
nei casi in cui non esista un obbligo di
comportamento imposto tassativamente dalla legge - in quanto già valutato
come pericoloso dal legislatore - sarà il datore di lavoro a valutare, sotto
propria responsabilità, se tale rischio appaia ‘prevedibile’ o meno: di
conseguenza, in caso di infortunio dovuto a mancanza di scarpe antinfortunistiche,
il datore di lavoro dovrà cercare di dimostrare al giudice come tale rischio di
schiacciamento non fosse ragionevolmente prevedibile”.
Dunque,
per riassumere, l'
obbligo di indossare
le scarpe antinfortunistiche scatta “ogni qualvolta risulti ‘prevedibile’
un rischio di lesioni ai piedi: tale prevedibilità dovrà essere valutata dal
SPP in sede di valutazione
dei rischi”.
Si
ricorda inoltre che i doveri
degli imprenditori “non si limitano a fornire i DPI, a disporre che questi
vengano utilizzati e a fornire alcune informazioni sul corretto utilizzo di
questi: l'art.18 comma 1f del D.Lgs 81/2008 infatti, impone all'imprenditore di
richiedere l'
osservanza da parte dei
singoli lavoratori delle norme vigenti, dell'uso dei mezzi di protezione
collettivi e dei dispositivi
di protezione individuali messi a loro disposizione. Gli artt.20 comma 1d e
78 comma 2 del D.Lgs 81/2008, che obbligano i lavoratori ad utilizzare in modo
appropriato i DPI potrebbero essere utili, al massimo, per individuare una
corresponsabilità del lavoratore, ma non esentano in alcun modo il datore di
lavoro dai propri obblighi, specie alla luce del principio di equivalenza
causale sancito dall'art.41 c.p.”.
“Il
problema apparentemente si complica, però, quando il lavoratore presenta un
certificato del medico curante o di uno
specialista in cui viene certificata l'impossibilità ad indossare una scarpa
antinfortunistica. In genere la documentazione medica si riferisce a
patologie che il sanitario ritiene causate dalla scarpa o comunque a patologie
che il continuare ad indossare la scarpa potrebbe aggravare. Le lamentele dei
lavoratori in genere riguardano il peso della scarpa, la rigidità della suola e
il fatto che il puntale in acciaio, nell'atto di accovacciarsi, preme sui
metatarsi. Altre motivazioni classiche sono rappresentate, ad esempio,
dall'eccessiva sudorazione che peggiorerebbe preesistenti micosi (piede d'atleta)
o da malformazioni del piede incompatibili con la scarpa”.
Con
riferimento all’art.76 comma 2c (
DPI
devono tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore)
del Decreto
legislativo 81/2008, “di fronte all'esibizione da parte del lavoratore di
un certificato medico attestante l'impossibilità di indossare le scarpe
antinfortunistiche, al datore di lavoro non rimane altro che:
-
consultare il medico competente (se
nominato) chiedendogli se il problema del lavoratore (problema che dovrebbe
comunque rimanere coperto da segreto medico) comporta davvero impossibilità o
comunque usura nell'indossare il DPI. Talvolta il problema può essere infatti
risolto dal medico
o può trattarsi di un problema transitorio. Nel caso la ditta non abbia un
medico competente può essere richiesta visita medica ai sensi dell'art.5 dello
statuto dei lavoratori;
-
nel caso i motivi medici siano effettivamente fondati la scelta migliore è
ricercare una scarpa il più adatta
possibile al lavoratore. In genere conviene indirizzare direttamente il
lavoratore ad un negozio specializzato in modo che possa scegliere direttamente
lui la scarpa antinfortunistica che gli provoca meno disagio. Restano
ovviamente fermi i principi di idoneità delle caratteristiche
antinfortunistiche della scarpa. In caso fosse addirittura necessario far
costruire una scarpa "ad hoc" per il lavoratore, si aprirebbe però il
problema della marchiatura CE o comunque della certificazione
di conformità;
-
nel caso non si riesca a trovare una scarpa adatta allo scopo non rimane che
valutare il
trasferimento del lavoratore
ad altro reparto ove non vi sia rischio di schiacciamento e quindi obbligo
di scarpe antinfortunistiche. Nel caso tale impossibilità derivi da oggettiva e
giustificata motivazione medica si tratta di una vera e propria (sopravvenuta) non
inidoneità alla mansione con tutte le conseguenze affrontate dalla Corte di
Cassazione con la sentenza a sezioni unite 7755/98”.
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