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"La sicurezza durante la manutenzione: le misure organizzative"
fonte puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
13/12/2011 -
La
formazione e l’addestramento a integrazione delle misure organizzative
Abbiamo
detto che le misure organizzative per il controllo dei rischi presenti durante
la manutenzione sono necessariamente limitate, e quindi non possono coprire al
100% la casistica di sicurezza di riferimento.
Quindi
le misure organizzative (definizione delle modalità di gestione dei processi e
delle regole di attuazione delle attività) devono essere integrate con
interventi volti a rendere le persone coinvolte capaci di decidere
autonomamente come operare in sicurezza.
L’unica leva che ci
rimane è quella di lavorare sui comportamenti sicuri indirettamente, operando
sulle persone: formazione e addestramento.
Già,
ma quale formazione
e addestramento? Non certo quella convenzionale che ormai non fa più presa
su nessuno.
Facciamo
un ragionamento, prima di procedere. Se io devo affrontare una situazione
imprevista, quali abilità mi vengono più utili per riuscire a mettere sotto
controllo i rischi che tale situazione potrebbe presentare?
Il
primo aspetto da curare è quello della capacità di valutare i rischi che si
potranno presentare all’atto di una manutenzione. La capacità di valutare è una
abilità che non è mai stata allenata a tappeto nel corso degli ultimi anni. Si
è sempre considerato che tale abilità debba essere appannaggio di pochi che
devono affrontare e risolvere tutte le questioni, anche per i colleghi. In
verità qui stiamo dicendo di coinvolgere in un compito da specialisti anche
soggetti che come priorità lavorativa hanno altro.
Che
sia un cambio di mentalità, in relazione alle logiche comuni di organizzazione
della sicurezza, è indubbio, ma salvo casi particolarissimi (grandi lavori che
prevedono necessariamente l’utilizzo del permesso di lavoro o di registrazioni
equivalenti), non possiamo pensare che ci sia sempre lo specialista a
disposizione per risolvere tutte le questioni che emergono durante la manutenzione.
Qualcuno
ci potrebbe fare osservare: “via, i manutentori sono tutte persone di buon
senso, saranno ben capaci di prendere semplici decisioni inerenti la loro
sicurezza; in fondo parliamo della loro sicurezza, non ci tengono mica a finire
all’ospedale”.
Non
vi sembra di sentirle, queste parole? Ma sono vere solo in minima parte:
l’assuefazione, la disabitudine a ragionare, l’abitudine e la sicurezza che
emergono anche quando si opera in condizioni non perfette, tutti questi e altri
fattori fanno sì che la sicurezza venga presa come una questione marginale, e
le regole vengano ritenute quasi un fastidio.
Per
cui è proprio un cambio di mentalità quello che dobbiamo indurre, e noi che
siamo tecnici enfatizziamo il fatto che per potere cambiare modo di operare
servono gli strumenti (di indagine e valutazione), strumenti che esistono ma
che non sono resi parte del bagaglio culturale di tutti i lavoratori, e dei
manutentori in particolar modo, come invece si dovrebbe fare.
Quindi
i manutentori si devono appropriare di strumenti per operare autonomamente
quanto segue: identificare i pericoli, valutare i rischi, trovare adeguate
misure di mitigazione. E devono prendere l’abitudine di farne uso. Per averci
provato possiamo affermare che il percorso è possibile, anzi presenta meno
ostacoli di quanto ci si potrebbe aspettare (gioca favorevolmente l’orgoglio
innato del manutentore nel proprio lavoro).
Ma
esisterà un livello di problema di sicurezza davanti a cui il nostro
manutentore, poniamo il turnista, non ha le competenze necessarie per andare
avanti. Allora deve fermarsi (brutto colpo per la presunzione!) e chiedere aiuto
a qualcuno più esperto.
Qui
si apre un dettaglio importante della questione organizzativa di cui abbiamo
precedentemente parlato: quale è la catena della responsabilità?
È
ben chiaro quale è il punto dove il turnista è tenuto a fermarsi? E se si, ma
il suo superiore che deve intervenire è concretamente disponibile (per esempio
in reperibilità)?
Domande
stupide che in azienda devono avere risposte certe.
Un
caso particolare: i lavori su guasto in clima di urgenza
Se
tutto quanto sopra lo potremmo riferire alle manutenzioni svolte a fronte di
situazioni impreviste:
- manutenzioni programmate in cui si scopre qualcosa che non ci si attendeva
- manutenzione su chiamata derivante da eventi su cui c’è poca esperienza pregressa
- altri interventi che sono al limite della manutenzione, come la manutenzione straordinaria
esiste
fra tutte le situazioni una particolarmente odiata dai manutentori:
manutenzioni su guasto, quando il guasto comporta il fermo di un impianto
fondamentale dello stabilimento che deve assolutamente marciare. Peggio ancora
se una fermata prolungata danneggia gravemente il prodotto.
Insomma
manutenzioni su guasto inserite in un regime di urgenza che rasenta il panico.
Una
domanda provocatoria: ma tutto questo panico ha davvero ragione di essere? Molto
spesso no, ma tant’è, dipende molto da chi è al comando della azienda in quel
preciso momento. Normalmente le cose peggiori avvengono di notte quando c’è una
certa resistenza a coinvolgere la dirigenza, e quindi si tentano riparazioni
dissennate sia tecnicamente che sotto il profilo della sicurezza, senza alcuna
forma di valutazione delle conseguenze (sotto tutti i profili).
Il
fatto di valutare sempre, prima di agire, deve trasformarsi nel punto di
approccio a qualunque situazione non regolamentata. Non sarà necessario molto
tempo, talvolta una manciata di secondi, ma così facendo si eviteranno errori
assurdi e gravi rischi per le persone.
Ma
esiste anche un altro passaggio delicato; a che punto chi opera in campo deve
ricorrere ad una autorità e a una competenza più alta; questa
autorità/competenza è chiaramente identificata? È disponibile?
Quindi
l’analisi della organizzazione esistente, l’eventuale correzione e una precisa
chiarificazione degli incarichi deve essere anch’essa alla base di un corretto
modo di operare.
Conclusioni
Se
escludiamo le tradizionali leve tecniche per il controllo dei rischi residui a
cui fatalmente si espongono i lavoratori, e in misura maggiore i manutentori,
ci restano disponibili due leve non facili da utilizzare ma molto molto
efficaci se bene impiegate:
- organizzazione della azienda e definizione dei modi di lavoro
- crescita del personale.
Nel
caso della manutenzione
il controllo dei rischi passa attraverso un mix dei due fattori che dovrà
essere tarato diversamente in funzione della azienda che si prende in
considerazione (cambiano i rischi e la loro entità, la organizzazione aziendale
esistente, gli strumenti tecnici a disposizione della manutenzione, i modi di
lavoro ecc.). Resta il fatto importante che la logica da applicare, secondo chi
scrive, è semplice e univoca, per cui può essere adottata in ogni azienda,
sebbene a valle di pesanti correttivi.
Quello
che vogliamo rimarcare è che si tratta di un problema ampio che deve essere
affrontato tutto insieme, accettando di affrontarne la complessità; soluzioni a
macchia di leopardo possono risolvere un problema ma spesso a scapito della
introduzione di nuovi rischi in situazioni “contigue”.
E,
aggiungiamo, la questione deve essere affrontata prima considerando
l’organizzazione e quello che si può ottenere intervenendo su questa leva, poi
verificando se la parte residua di questioni lasciata direttamente dalle
persone potrà da queste essere correttamente gestita, naturalmente a valle di
un percorso di crescita professionale.
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