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"Sulla responsabilità del DDL per carenze antinfortunistiche strutturali"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
14/05/2012 -
Le conclusioni alle quali è pervenuta la
Corte di Cassazione in questa sentenza discendono in sostanza da una corretta applicazione
del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., contenente il Testo Unico in materia di salute
e di sicurezza sul lavoro, e delle disposizioni in particolare riguardanti la
individuazione dei soggetti responsabili in casi di carenze antinfortunistiche
non già occasionali e meramente operative
bensì strutturali e addebitabili a scelte aziendali di fondo o a scelte
a carattere generale della politica aziendale.
Già in precedenza la suprema Corte aveva
avuto modo di affermare che anche a
fronte di una regolare delega
il datore di lavoro non potrebbe essere esente da responsabilità allorché le
carenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro siano legate a scelte di carattere generale
della politica aziendale ovvero a carenze strutturali rispetto alle quali
nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi ad un delegato
alla sicurezza.
L’evento
infortunistico e l’iter giudiziario.
Il Tribunale, riconoscendo la responsabilità di due fratelli soci
di una società li ha condannati per il reato di omicidio colposo commesso con
violazione delle norme sulla sicurezza
del lavoro in danno di un lavoratore dipendente nonché al risarcimento del
danno nei confronti delle parti civili. La sentenza è stata successivamente
riformata parzialmente dalla Corte d'appello che ha rideterminate le pene concedendo a tutti
e due gli imputati le attenuanti generiche. Per quanto riguarda la dinamica
dell’infortunio mentre il lavoratore si trovava sul tetto in eternit di un
capannone per sostituire alcune lastre danneggiate è caduto al suolo a seguito
della rottura di una di queste lastre decedendo. Agli imputati era stato mosso
l'addebito, nelle loro vesti di datori
di lavoro, di non aver apprestato le cautele atte a garantire la sicurezza
della lavorazione e di non aver formato il dipendente in ordine allo specifico
incarico demandatogli, trattandosi di un operaio con qualifica di falegname.
Il
ricorso alla Corte di Cassazione.
I due imputati hanno fatto ricorso per cassazione sostenendo il
primo di aver rassegnate le dimissioni in epoca anteriore al fatto, sebbene
esse non fossero state accettate, e che non si era intromesso in alcun modo
nella direzione dell'attività lavorativa che era affidata a suo fratello. Lo
stesso ha sostenuto inoltre che il giorno dell’infortunio era assente dalla
scena del fatto in quanto convalescente per un precedente incidente e che,
contrariamente a quanto indicato in sentenza, all'interno dello stabilimento si
era provveduto ad innalzare un ponteggio
per sostituire alcune lastre di copertura del tetto che erano state danneggiate
dalle intemperie. L'operazione di riparazione, ha sostenuto ancora il secondo imputato,
era stata compiuta dalla vittima operando dall'interno del capannone e senza
salire sul tetto e che al termine dei lavori il ponteggio era stato smontato
per cui arbitrariamente il lavoratore infortunato si era portato
successivamente sul tetto, forse per recuperare alcuni attrezzi che vi aveva
deposto, e, posto un piede su una lastra in eternit che si era rotta, era
caduto al suolo. Secondo lo stesso quindi il lavoro era stato eseguito in
sicurezza e la vittima, con la sua condotta arbitraria e sconsiderata, aveva innescato
un fattore causale interruttivo del nesso causale.
Le
decisioni della Corte di Cassazione.
I ricorsi sono stati ritenuti fondati però solo per quanto
riguarda la motivazione in ordine ai profili risarcitori. Circa le responsabilità
penali invece la Sez. IV ha posto in evidenza che, ai sensi dell'articolo 2087
c.c., gli imputati, nella loro veste di datori di lavoro, erano entrambi
gravati da posizione di garanzia ed inoltre che il lavoratore era operaio
generico addetto alla falegnameria, mansione del tutto diversa da quella
inerente alla riparazione del tetto, per la quale non aveva alcuna formazione
specifica. “
D'altra parte”, ha proseguito
la Corte suprema, “le modalità della lavorazione in corso erano dettate dalla
scelta aziendale di risparmiare compiendo in proprio un'attività di ripristino
rischiosa ed estranea alle mansioni dei dipendenti” per cui “s
i è dunque in presenza di una scelta
strutturale e non contingente che coinvolge, conseguentemente, la
responsabilità di tutti gli imputati” compreso il fratello assente, nella
sua qualità di socio e consigliere, e che non aveva posto in essere alcuna delega di
funzioni.
In merito al comportamento del lavoratore la Sez. IV ha sostenuto,
inoltre, che sebbene non fosse emerso chiaramente il motivo per il quale la
vittima si era portata nuovamente sul tetto, non vi era dubbio che tale
condotta aveva avuto luogo in relazione al compito affidatogli dai datori di
lavoro e che in ogni caso, anche se il lavoratore infortunato fosse tornato sul tetto
di sua iniziativa, il fatto non era da considerare eccezionale o imprevedibile
e tale da escludere la responsabilità dei datori di lavoro, in quanto si era trattato
di attività connessa alla riparazione in quota che gli era stata affidata,
oltre al fatto che era stato accertato un grave deficit di formazione,
informazione e vigilanza da parte dei datori di lavoro stessi nei confronti di
un dipendente privo di competenze specifiche.
“
Risulta quindi
correttamente argomentata l'inferenza finale”, ha proseguito la Sez. IV, in
quanto “
le lavorazioni avvenivano in modo
pericoloso ed incauto per effetto di una dissennata scelta aziendale volta a minimizzare
i costi procedendo in economia, in assenza di impalcature e procedure
appropriate nonché utilizzando personale per nulla formato a governare
l'altissimo rischio connesso alla circolazione su un tetto costituito da
fragili lastre di eternit”. “
Trattandosi
non di fatto occasionale ma di scelta aziendale”, ha quindi concluso la
suprema Corte, “
correttamente è stata
ravvisata la responsabilità di tutti i ricorrenti”.
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