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"Stress, fra fattori scatenanti e risarcimenti difficili"
fonte www.insic.it / Salute
21/05/2012 - Non sempre lamentare una condizione lavorativa stressante può portare ad un
riconoscimento del danno da stress lavoro-correlato, nemmeno quando fra i fattori scatenanti c’è un surplus di lavoro a causa di un’azienda sotto organico.
Sono le conclusioni cui perviene la Cassazione, con sentenza 4324/2012: un lavoratore lamentava di aver subito un forte stress lavorativo, a causa delle condizioni lavorative stressanti e a causa degli ambienti insalubri nei quali si trovava ad operare. In particolare, l’azienda, sotto organico, avrebbe determinato un surplus di lavoro eccessivo che avrebbe ingenerato lo stress per il quale il lavoratore chiedeva un adeguato risarcimento.
La Corte ha confermato l’impostazione seguita dai tribunali di primo e secondo grado, secondo i quali le carenze di organico e le deficienze dell'ambiente di lavoro lamentate dal ricorrente, erano largamente presenti in non poche realtà lavorative e, pertanto, le condizioni di lavoro conseguenti non erano connotate da anomalia e gravità tali da poter costituire causa di danno.
La sentenza testimonia quindi che non è sempre facile per il lavoratore provare il danno da stress.
Se la prova delle condizioni lavorative insalubri e della mancanza di organico non bastano, quali fattori causano effettivamente disagio psicofisico e possono essere addotti per ottenere un suo riconoscimento?
Risponde in parte, un’indagine recentemente condotta dalla Provincia di Bologna, ha fatto luce sulla diffusione dello stress in azienda ed ha monitorato la percezione del rischio stress lavoro-correlato nelle aziende del territorio.
Sono state coinvolte 13 aziende pubbliche e 144 private. I risultati, seppur a valenza “territoriale” possono essere letti secondo una chiave di lettura più ampia.
Tra i fattori di stress principali in realtà lavorative anche molto differenti fra loro, ai primi posti, dopo l’invecchiamento attivo del personale, si piazza la scorretta organizzazione dei turni di lavoro, specie quelli notturni e festivi, seguita dalla mancanza di un adeguato turnover. La mancanza del turnover, in particolare, comporta un aumento dei carichi di lavoro oppure, quando il turnover avviene in modo troppo veloce e variabile, ostacola i neoassunti nell’adeguarsi al proprio lavoro.
Inoltre, un dato significativo che emerge dalla ricerca, è la percezione del fenomeno da parte dei soggetti della prevenzione: in alcuni casi, nelle aziende monitorate il coinvolgimento di RLS e RSPP nella identificazione e valutazione del rischio stress rimane su un “livello formale” con scarsa partecipazione effettiva nell’adempimento degli obblighi di valutazione. Le aziende, in gran parte si fermano alla fase iniziale della valutazione, e solo alcune di esse hanno apprestato effettive misure correttive del rischio stress.
Sono le conclusioni cui perviene la Cassazione, con sentenza 4324/2012: un lavoratore lamentava di aver subito un forte stress lavorativo, a causa delle condizioni lavorative stressanti e a causa degli ambienti insalubri nei quali si trovava ad operare. In particolare, l’azienda, sotto organico, avrebbe determinato un surplus di lavoro eccessivo che avrebbe ingenerato lo stress per il quale il lavoratore chiedeva un adeguato risarcimento.
La Corte ha confermato l’impostazione seguita dai tribunali di primo e secondo grado, secondo i quali le carenze di organico e le deficienze dell'ambiente di lavoro lamentate dal ricorrente, erano largamente presenti in non poche realtà lavorative e, pertanto, le condizioni di lavoro conseguenti non erano connotate da anomalia e gravità tali da poter costituire causa di danno.
La sentenza testimonia quindi che non è sempre facile per il lavoratore provare il danno da stress.
Se la prova delle condizioni lavorative insalubri e della mancanza di organico non bastano, quali fattori causano effettivamente disagio psicofisico e possono essere addotti per ottenere un suo riconoscimento?
Risponde in parte, un’indagine recentemente condotta dalla Provincia di Bologna, ha fatto luce sulla diffusione dello stress in azienda ed ha monitorato la percezione del rischio stress lavoro-correlato nelle aziende del territorio.
Sono state coinvolte 13 aziende pubbliche e 144 private. I risultati, seppur a valenza “territoriale” possono essere letti secondo una chiave di lettura più ampia.
Tra i fattori di stress principali in realtà lavorative anche molto differenti fra loro, ai primi posti, dopo l’invecchiamento attivo del personale, si piazza la scorretta organizzazione dei turni di lavoro, specie quelli notturni e festivi, seguita dalla mancanza di un adeguato turnover. La mancanza del turnover, in particolare, comporta un aumento dei carichi di lavoro oppure, quando il turnover avviene in modo troppo veloce e variabile, ostacola i neoassunti nell’adeguarsi al proprio lavoro.
Inoltre, un dato significativo che emerge dalla ricerca, è la percezione del fenomeno da parte dei soggetti della prevenzione: in alcuni casi, nelle aziende monitorate il coinvolgimento di RLS e RSPP nella identificazione e valutazione del rischio stress rimane su un “livello formale” con scarsa partecipazione effettiva nell’adempimento degli obblighi di valutazione. Le aziende, in gran parte si fermano alla fase iniziale della valutazione, e solo alcune di esse hanno apprestato effettive misure correttive del rischio stress.
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