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"La sentenza Thyssenkrupp e le conseguenze sulla prevenzione"
fonte www.puntosicuro.it / Responsabilità sociale
12/09/2012 - I fatti relativi all’ incidente
alla Thyssenkrupp (6 dicembre 2007) e la sentenza della Corte di Assise di
Torino pongono ancora oggi interessanti spunti di discussione e portano a
opinioni diverse riguardo agli esiti e alle conseguenze della sentenza sul
futuro della prevenzione in Italia.
In
particolare Gabriele Marra (Professore associato di diritto penale - Università di Urbino “Carlo Bo”), che aveva già presentato
sul sito di Olympus
(Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e
giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro) alcune note a margine
sul caso Thyssen, torna ad esprimere le sue opinioni critiche e ad
affrontare il tema attraverso un Working Paper dal titolo “
La prevenzione degli infortuni sul lavoro e
il caso Thyssenkrupp. I limiti penalistici delle decisioni rischiose nella
prospettiva delle regole per un lavoro sicuro”.
Nel
documento si ricorda che la
condanna per
omicidio volontario - per la precisione con “ dolo
eventuale” - dell’amministratore delegato della Thyssenkrupp è una “novità
assoluta nel quadro della prassi relativa all’accertamento delle responsabilità
conseguenti alla verificazione di eventi infortunistici nei luoghi di lavoro”.
In
particolare la decisione della Corte di Assise di Torino “imprime una
decisa svolta alla prassi della
responsabilità penale in materia di infortuni sul lavoro”.
Una
svolta che solo il tempo potrà dire se si tratta “di una deviazione momentanea,
oppure di una nuova rotta nel percorso che conduce all’effettiva sicurezza dei
luoghi di lavoro” e che comunque è oggi “una preziosa occasione per discutere
dei rapporti tra intervento penalistico e impianto delle regole per un lavoro
sicuro”. Una relazione dichiarata imprescindibile nella prospettiva di un
innalzamento dei livelli di sicurezza dei lavoratori e all’utilizzo del diritto
penale come “una delle possibili risorse alle quali attingere per risolvere
problemi sociali”.
L’intervento
si sofferma in particolare proprio sulle “possibilità ed i limiti di un maggior
livello di integrazione tra criteri di imputazione penalistica e disciplina extrapenale
di riferimento”.
La
sentenza afferma l’esistenza di “una
responsabilità
dolosa del vertice aziendale: decidendo di non intervenire per adeguare le
installazioni di sicurezza, l’amministratore delegato, prevedendo la
verificazione dell’evento, ha accettato il rischio che si verificasse la morte
degli addetti ad una delle linee produttive del suo stabilimento”. E questo
aspetto non esaurisce l’importanza della decisione: “non meno significative si
rivelano infatti le conclusioni dalla Corte
raggiunte in relazione ad altre accuse cristallizzate nel capo di imputazione,
riguardanti, tra l’altro, la colpa, per lo stesso fatto, del management
aziendale e la ravvisata responsabilità dell’ente (d.lgs.n. 231/2001)”.
Risulta
dunque evidente quanto le
decisioni
apicali siano “doppiamente rischiose: economicamente e giuridicamente”.
Circostanza che, secondo Marra, “aumenta il loro tasso di complessità e, così
facendo, non aiuta l’ordinamento a far valere, nei fatti, la sua giusta pretesa
di garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro”.
Infatti,
come afferma lo stesso magistrato Guariniello, da questi processi emerge
che si
gestisce lo stabilimento non solo da dentro i capannoni, ma anche standone
fuori, tra le mura di un consiglio di amministrazione dove si determinano le
condizioni di lavoro, con spese fatte o non fatte, prevenzioni attuate o
evitate per non spendere.
Riportiamo
alcune
critiche dell’autore alla
sentenza torinese.
Il
nodo rappresentato dall’
esistenza del
dolo eventuale viene sciolto “attribuendo esclusivo rilievo a
considerazioni deontologiche eminentemente penalistiche, il cui utilizzo è
giustificato dal fatto che la formale articolazione del processo decisionale
viene ritenuta dalla Corte una mera sovrastruttura, finalizzata in via
esclusiva ad occultare il filo rosso delle responsabilità”.
Viene
dunque in rilievo una scelta “che, se da un lato, altera la complessiva logica
preventiva che caratterizza l’intervento ordinamentale a favore della sicurezza
dei lavoratori, dall’altro rimuove un ostacolo di non poco conto per il
raggiungimento di scopi general-preventivi”. Il riferimento alla decisione e ai
suoi processi costringe “l’interprete, nella ricerca del momento
volontativo,
a confrontarsi con la specifica qualità del patrimonio informativo detenuto dal
decisore, con le reali indicazioni euristiche messe a sua disposizione dai
plurimi centri di competenza funzionale coinvolti nel processo decisionale e,
infine, con gli effettivi vincoli, della più varia natura, di cui ogni scelta
deve tener conto”.
In
particolare sarebbero stati trascurati alcuni “elementi qualificanti l’attuale
disciplina della sicurezza dei lavoratori: (i) l’incertezza con cui si
confronta chiunque sia gravato di obblighi di prevenzione del rischio; (ii) la dimensione
organizzativa che connota l’intero impianto regolamentare vigente in
materia”. Ad esempio con riferimento alla “sfuocata conoscenza fattuale
acquisita dall’organo apicale attraverso il contributo dei dirigenti preposti
al quotidiano controllo della fonte di rischio” e all’opaca “valutazione dagli
stessi operata in ordine alla probabilità del verificarsi dell’evento”.
Difficile,
secondo Marra, pensare dunque che la decisione sia stata presa anche a costo di
produrre il disastroso evento: “è, quindi, più corretto inquadrare il
comportamento del reo nella prospettiva della
colpa con previsione (art. 61, n. 3, c.p.)”.
Tra
l’altro viene ricordato il principio di diritto espresso da una recente
decisione della Corte di Cassazione che “ha ritenuto di inquadrare nel
paradigma della responsabilità
colposa il mancato approntamento delle misure di prevenzione indicate come
necessarie dallo stato attuale della tecnica: inadempimento giustificato, dal
datore di lavoro, con un richiamo all’antieconomicità dell’adempimento”.
Rimandando
il lettore alla lettura integrale del documento in oggetto - anche con
riferimento ai commenti relativi ai passaggi della sentenza correlati alla
“valutazione del rischio” e alle problematiche inerenti la riscontrata responsabilità
amministrativa della società – arriviamo alle
conclusioni.
Intanto
la non adeguata valorizzazione di alcuni profili e elementi, da parte del
giudice penale, introdurrebbe, secondo Marra, “una marcata discontinuità
rispetto alle cadenze disciplinari fissate dal legislatore extrapenale”
compromettendo “in prospettiva, talune delle condizioni da cui dipendono le
possibilità di assicurare un prevenzione effettiva e, quindi, un elevato
livello di protezione dei soggetti esposti ai rischi generati dall’esercizio di
attività d’impresa”.
E
di fronte ad eventi come quelli del 6 dicembre 2007 si dovrebbe cercare invece
di “compensare” l’irreversibilità degli eventi, “manifestando la genuina
esigenza di individuare presidii atti a garantire l’unica efficace forma di
protezione per l’incolumità individuale: la prevenzione”.
In
particolare “
allineare i criteri di
imputazione della responsabilità penale alle più avanzate indicazioni fornite
dalla disciplina extrapenale, pur preservandone le specificità
garantistiche, sembra un primo passo nella giusta direzione, che per essere
irrobustito necessita di un più serrato confronto tra i cultori dei diversi
settori disciplinari”.
In
questo senso la decisione sul caso
Thyssenkrupp dimostrerebbe “il rilievo che tale prospettiva può avere per
modificare prassi applicative sfuocate: che finiscono per sottostimare le
esigenze di prevenzione – posto che la responsabilità dolosa non è
ontologicamente incompatibile con la causazione di eventi riconducibili
all’infrazione di norme antinfortunistiche – o sovrastimano la necessità di
soddisfare istanze punitive”.
Se
la lettura della sentenza in Corte d’Assise fornisce ai futuri interpreti “un
serio canovaccio metodologico per aggiornare i modi di esercizio dell’azione
penale e i percorsi ermeneutici in sede giudiziale”, si è ancora lontani dal
poter considerare raggiunto il risultato sperato.
Secondo
l’autore “tra le maglie del ragionamento penalistico troppo peso è ancora
assegnato a bisogni emozionali di reazione e ai ripiegamenti retributivi che
questi comportano. Atteggiamento che se non prontamente corretto rischia di
innescare una micidiale sommatoria che ha come addendi gli
effetti antigarantistici a livello individuale e le
negative conseguenze sul piano del
miglioramento delle condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro”.
Olympus
- Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e
giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ La
prevenzione degli infortuni sul lavoro e il caso Thyssenkrupp. I limiti
penalistici delle decisioni rischiose nella prospettiva delle regole per un
lavoro sicuro”, a cura di Gabriele Marra - Professore associato di diritto
penale - Università di Urbino “Carlo
Bo”, Working Paper di Olympus 8/2012 (formato PDF, 337 kB).
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