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"Imparare dagli errori: quando manca la linea vita nei lavori in quota"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
21/02/2013 - I casi di infortuni presentati nei precedenti articoli di “Imparare dagli errori”, dedicati alle cadute dall’alto, mostrano inequivocabilmente come i
lavori in quota nel comparto edileespongano
i lavoratori a rischi molto elevati per la loro sicurezza. E come il
corretto utilizzo di sistemi e dispositivi anticaduta possano prevenire o
diminuire la gravità di eventuali infortuni. Ne abbiamo parlato con
riferimento alla carenza di pianificazione delle misure di sicurezza o, più specificatamente, al mancato uso di imbracature (o imbragature) e cinture di sicurezza.
Oggi ci soffermiamo in particolare sulle
linee di ancoraggio e sulle
linee vita, intese come insieme di ancoraggi temporanei o stabili ai quale si agganciano gli operatori durante i lavori in quota.
Gli esempi di incidenti che presentiamo sono tratti dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
I casi
Un
primo caso è relativo ad un incidente avvenuto nel 2005 su una
copertura.
Un lavoratore sta operando su una copertura, costituita da “lastre
in fibrocemento posate direttamente su travetti prefabbricati a circa
sei metri d'altezza”, per riparare alcune lastre. Insieme ad un collega,
cammina direttamente sulle lastre senza sistemi di ripartizione del
carico. Entrambi sono dotati di imbracatura collegati alla stessa linea
vita già esistente. A seguito della rottura di una lastra, entrambi
cadono fino al pavimento in quanto la fune correlata alla linea vita si
spezza.
Dalle indagini successive si evince che la fune era in pessime condizioni.
Dunque al di là del camminare su lastre non portanti, la scheda evidenzia la presenza di una
linea vita deteriorata per mancanza di manutenzione.
Il
secondo
caso riguarda attività di
sostituzione
di una copertura del tetto di un capannone costituito da lastre di cemento
e amianto.
Il
tetto è composto da queste lastre e da tre lucernari in traslucido che
permettono alla luce di entrare nel capannone: la sostituzione riguarda le
lastre intorno ai lucernari.
Un
lavoratore, titolare di un’impresa edile, si trova sopra il tetto del capannone
a circa 10 metri di altezza dal suolo. Probabilmente, per passare da una parte
all’altra dei pannelli da sostituire, sotto i quali esiste una solida struttura
in cemento, cammina sopra le parti in traslucido. Tali pannelli, non essendo
portanti, cedono sotto il peso del lavoratore che precipita all’interno del
capannone. Il decesso avviene qualche ora più tardi in conseguenza del trauma
cranico riportato in seguito alla caduta. Oltre a tale trauma sono stati
riscontrati anche trauma toracico chiuso, contusione polmonare e fratture
costali.
Le
indagini mostrano che per effettuare il lavoro di sostituzione, il lavoratore
“non aveva predisposto
nessuna opera
provvisionale per evitare la caduta come un ponteggio (o tavolato
sottostante) allestito al'interno del capannone o una rete anticaduta e non aveva con sé
nessun dispositivo di protezione individuale. cioè una cintura di sicurezza
collegata ad una linea salvavita sopra il tetto sul quale lavorava”.
Tra
l’altro “il proprietario del capannone non aveva predisposto un piano per
l’amianto, non aveva dato comunicazione all’autorità competente dell’inizio dei
lavori (i quali avrebbero organizzato adeguate opere per la sicurezza dei
lavoratori nel cantiere) e l’azienda incaricata per tale lavoro non aveva le
caratteristiche e le capacità tecniche necessarie per il lavoro che era stato
assegnato”.
In
questa serie interminabile di carenze e adempimenti mancati, si rileva la
mancanza di percorsi attrezzati per operare in sicurezza.
Il
terzo caso è relativo ad una
caduta attraverso un lucernario.
Un
operaio, sul tetto del capannone artigianale, sta trasportando, aiutato da un
collega, un pannello di rivestimento in lamiera che deve essere posizionato
sopra i lucernai presenti e ricoperti solamente da onduline in vetroresina non
portante.
Ad
un certo punto l’operaio appoggia un piede in corrispondenza di un lucernaio
protetto dalla sola lastra in vetroresina che immediatamente si rompe sotto il
suo peso. L’operaio passando attraverso l’apertura del lucernaio precipita sul
pavimento in cemento del fabbricato posto 10 metri più in basso riportando
“politrauma cranico facciale, addominale e toracico scheletrico con shock
emorragico” che ne causa la morte.
“Non
era installata, al momento dell’infortunio, la linea vita a cui agganciarsi
tramite la cintura di
sicurezza
munita di regolare gancio e sistema di trattenuta (stopper). Gli operai
autonomamente preferivano agganciarsi ai ganci metallici predisposti sui pannelli
di cemento armato del tetto e che erano stati usati per la movimentazione degli
stessi durante la costruzione del fabbricato. L’infortunato quel giorno non
indossava idonea cintura di sicurezza anche se gliene era stata fornita una in
dotazione. All’interno del capannone non era stato allestito il ‘sottopalco’
previsto per la tipologia di lavori che si stavano eseguendo”.
Anche
in questo caso una panoramica molto ricca di carenza, a partire dalla mancanza
di una linea vita sul tetto e sottopalchi sotto i lucernai.
Infine
una
quarto caso sempre relativo alla
mancanza di linee vita.
Una
lavoratore si trova sul tetto di una palazzina per eseguire manutenzione alla
copertura in tegole. Ad un certo punto scivola lungo la falda del tetto e cade
oltre il bordo precipitando a terra (9 metri più in basso) riportando un
politrauma che ne causa la morte.
Il
lavoratore “non aveva allestito ponteggio o altro sistema di trattenuta come
una linea vita; non indossava calzature antinfortunistiche ma scarpette da
tennis a suola liscia. La situazione meteorologica aveva reso la superficie
delle tegole ghiacciata e scivolosa”.
La prevenzione
Si
possono rilevare, nei casi presentati oggi e in quelli che presenteremo in
futuro, problemi di mancanza, di non utilizzo o carente manutenzione di idonee
linee vita.
Diamo
ora qualche informazione più estesamente sulle linee e sui
punti di ancoraggio, senza soffermarci solo sulle
linee vita o sistemi di ancoraggio
conformi alla norma EN 795.
Riprendiamo,
a questo proposito, alcune definizioni tratte dal sito
coperturasicura.toscana.it, un sito istituto dalla Regione Toscana:
-
“
lavoro in quota: attività
lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad
altezza maggiore di 2 m rispetto ad un piano stabile;
-
linea di ancoraggio: linea
flessibile tra ancoraggi strutturali a cui si può applicare il dispositivo di
protezione individuale [UNI EN 795] o elemento di collegamento specificato per un
sottosistema con dispositivo anticaduta di tipo guidato [UNI EN 363];
-
linea di ancoraggio flessibile:
elemento di collegamento specificato per un sottosistema con dispositivo
anticaduta di tipo guidato. Una linea di ancoraggio flessibile può essere una
corda di fibra sintetica o una fune metallica ed è destinata ad essere fissata
ad un punto di ancoraggio superiore [UNI EN 363];
-
linea di ancoraggio regolabile:
linea di ancoraggio con collegato un dispositivo di regolazione della fune.
[UNI EN 12841];
-
linea di ancoraggio rigida: elemento
di collegamento specificato per un sottosistema con dispositivo anticaduta di
tipo guidato. Una linea di ancoraggio rigida può essere una rotaia o una fune
metallica ed è destinata ad essere fissata ad una struttura in modo che i
movimenti laterali della linea siano limitati [UNI EN 363]”.
Concludiamo
questa breve panoramica informativa con alcune indicazioni - riportate dalla
Regione Veneto/ Azienda
U.L.S.S. 15 “Alta Padovana” nel documento “ Io non ci casco -
Manuale operativo per chi lavora in altezza” – relative ai
criteri generali da adottare nella disposizione dei punti di ancoraggio:
-
“la fase di installazione degli ancoraggi deve avvenire ovviamente in condizioni
di sicurezza;
-
i punti di ancoraggio, quando possibile, vanno posizionati sempre più in alto
del punto di aggancio sull’imbracatura per limitare lo spazio di una eventuale
caduta. Ancoraggi posti al di sotto del livello dell’imbracatura determinano
spazi di caduta libera maggiori;
-
il passaggio da un ancoraggio all’altro nella fase di lavoro o il primo
aggancio nella fase di accesso in quota, deve avvenire evitando che l’operatore
non risulti agganciato o protetto;
-
possono essere previsti più punti di ancoraggio, anche di tipologia diversa, da
utilizzare contemporaneamente e sequenzialmente per garantire le migliori
condizioni di trattenuta dell’operatore;
-
gli ancoraggi devono essere sottoposti a prove di resistenza con la metodologia
indicata nelle norme tecniche di riferimento”.
Nelle
prossime tappe di “Imparare dagli errori” ci soffermeremo sulle
caratteristiche, sui vantaggi e difetti delle varie tipologie di ancoraggio.
Pagina
introduttiva del sito
web di INFOR.MO.:
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero
1432,
98a,
357 e
2961 (archivio incidenti 2002/2010)
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