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"Inail: esposizione lavorativa a polveri di legno e prevenzione"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
11/06/2013 - Quella semplice sospensione di particelle di legno – la “
polvere di legno”
– che si disperde nell’aria durante la lavorazione del legno, in
quantità e qualità variabile in funzione della tipologia di lavorazione e
delle specie legnose impiegate,
può provocare o favorire la comparsa di tumori.
In particolare nel 1987 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato:
- nel
Gruppo 1 (cancerogeni per l’uomo) la fabbricazione di mobili e le lavorazioni da ebanista;
- nel
Gruppo 2B (possibili cancerogeni per l’uomo) le lavorazioni di falegnameria e carpenteria;
- nel
Gruppo 3 (non classificabili in relazione alla cancerogenicità per l’uomo) l’ industria del legname e le segherie.
E successivamente nel 1995 sempre la IARC ha valutato sufficiente l’
evidenza di cancerogenicità delle polveri di legno per l’uomo e le ha inserite nel Gruppo 1.
A ricordarci i rischi di queste polveri e a consigliarci specifiche misure di protezione è un
factsheet, un documento informativo di facile consultazione, elaborato dal Dipartimento Igiene del Lavoro dell’ Inail.
In “ Esposizione lavorativa a polveri di legno” l’Inail ricorda che in relazione alle conclusioni della IARC l’Unione Europea nel 1999 ha stabilito “un valore limite di esposizione a polveri di legno duro pari a 5 mg/m3 ponderato sul periodo di otto ore lavorative”. E se a tale limite si sono conformati gli Stati membri dell’Unione Europea, in diversi paesi sono stati adottati limiti ancora più bassi (ad esempio in Germania e in Francia).
In “ Esposizione lavorativa a polveri di legno” l’Inail ricorda che in relazione alle conclusioni della IARC l’Unione Europea nel 1999 ha stabilito “un valore limite di esposizione a polveri di legno duro pari a 5 mg/m3 ponderato sul periodo di otto ore lavorative”. E se a tale limite si sono conformati gli Stati membri dell’Unione Europea, in diversi paesi sono stati adottati limiti ancora più bassi (ad esempio in Germania e in Francia).
Il documento indica che in relazione ai rischi cancerogeni
dell’esposizione alle polveri di legno è necessario attuare una serie di
azioni preventive e protettive:
“utilizzo di macchinari dotati di impianti di aspirazione per il contenimento
delle polveri; periodica pulizia degli ambienti di lavoro; utilizzo di dispositivi di protezione individuale per le
vie respiratorie;
informazione e formazione dei lavoratori esposti; obbligo di sorveglianza
sanitaria preventiva e periodica; istituzione, aggiornamento e trasmissione
alle ASL competenti per territorio ed all’INAIL dei registri di esposizione
(art. 243 D.Lgs 81/2008)”.
Se la “
polvere di legno” è
formata da polveri in sospensione di diversa natura ma con una frazione di
polvere di legno duro, l’intera miscela dovrà essere considerata come “polvere
di legno duro”. E di questa “deve essere presa in considerazione solo la
frazione ‘inalabile’, cioè l’insieme di tutte le particelle che possono essere
inalate e trattenute nelle prime vie respiratorie, compresi naso e bocca”.
Il termine “legno duro” - traduzione letterale del termine inglese
“hardwood” - è utilizzato per indicare il legno proveniente da alberi di
Latifoglie: “la corretta classificazione delle loro proprietà cancerogene è da
determinarsi su base botanica al di là dell’elenco non esaustivo proposto dalla
IARC”.
Quali patologie può provocare
ai lavoratori la polvere di legno?
L’esposizione a polveri di legno “provoca carcinoma dell’etmoide e dei
seni paranasali, broncopneumopatia cronica ostruttiva, bronchite cronica
enfisematosa, asma bronchiale, alveoliti allergiche estrinseche, ODTS
(sindrome tossica da polveri organiche), dovuta probabilmente ad inalazione di
sostanze farmacologicamente attive”. E i potenziali effetti dannosi sulla
salute “sono determinati dalla penetrazione e dalla deposizione delle
particelle nelle vie aeree secondo diversi meccanismi fisiopatogenetici che
spesso agiscono in associazione (meccanismi fisici, meccanismi tossici e
meccanismi allergici)”.
Secondo alcuni studiosi i
responsabili
dell’azione cancerogena sono le “sostanze originariamente presenti nelle
polveri di legno che dovrebbero agire direttamente sui bersagli biologici,
altri danno maggiore importanza alla coesposizione ipotizzando che le polveri
di legno fungano da veicolo trasportatore di altre sostanze quali ad esempio la
formaldeide usata nella produzione di truciolati e compensati”.
Se la UE ha stabilito un
valore
limite di esposizione a polveri di legno duro pari a 5 mg/m3 ,
il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) “fissa per le
polveri di legno (duro, tenero e cedro rosso) un RELs (Recommended Exposure
Levels) pari a 1 mg/m3. Mentre
l’ACGIH adotta un TLV-TWA di 1 mg/m3 per tutte le specie
tranne per il cedro rosso.
Si ricorda che l’Italia si è adeguata al limite stabilito dalla UE con
il D.Lgs. 66/2000 ed in seguito con il D.Lgs. 81/2008 “specificando che la
valutazione di conformità a 5 mg/m3
deve essere effettuata tramite il campionamento personale della frazione
inalabile.
Nel 2003 la Commissione Scientifica per i Limiti di Esposizione
Occupazionale (SCOEL) dell’UE ha poi raccomandato che “non si deve distinguere
tra legni duri e teneri”.
Vediamo quali
lavorazioni
producono polveri di legno.
Innanzitutto si produce polvere di legno tutte le volte che il legno “viene segato,
perforato, tagliato, piallato, levigato e carteggiato. Il lavoratore può
inalare polveri di legno anche quando pulisce i macchinari con aria compressa,
pulisce a secco i pavimenti ed effettua dei lavori di manutenzione sulle
macchine in presenza di polveri depositate. La
mansione della carteggiatura è quella più a rischio di esposizione
a polveri, soprattutto perché rispetto alle altre lavorazioni la posizione
dell’operatore è in genere più vicina al punto di generazione delle
particelle”.
Il documento suggerisce alcuni
interventi
preventivi da mettere in atto per assicurare che il livello di esposizione
a polveri di legno sia il più basso possibile:
- “
separazione delle lavorazioni (confinare in locali separati le
operazioni che emettono polveri di legno da quelle che non ne emettono, allo
scopo di limitare il numero di persone esposte);
-
scelta delle macchine (acquistare macchine, nuove o usate che siano
provviste di dispositivi di aspirazione localizzata sui punti dove si genera la
polvere);
-
ventilazione per aspirazione localizzata. Evitare sistemi di
aspirazione che prevedono il riciclo dell’aria;
-
idonei DPI;
-
pulizia giornaliera dei locali e delle macchine con sistemi
d’aspirazione muniti di filtri assoluti in espulsione o muniti di bocche
aspiranti collegate alla rete di aspirazione centralizzata. Non utilizzare mai
pistole ad aria compressa;
-
formazione ed informazione;
-
organizzazione del lavoro;
-
sorveglianza sanitaria preventiva e periodica”.
Concludiamo ricordando che nel documento è presente una tabella
relativa alla
concentrazione di polvere
generata durante alcune lavorazioni del legno mediata su 20 aziende del
Lazio della seconda lavorazione del legno: “i campionamenti personali sono
stati effettuati utilizzando il conetto quale selettore per la frazione
inalabile”.
in particolare sono proposti i risultati dei campionamenti relativi ad
alcune mansioni:
- sezionamento legname (3,2 mg/m3);
- piallatura e profilatura (3,4 mg/m3);
- carteggiatura e spolvero (5,3 mg/m3);
- assemblaggio e montaggio (1,6 mg/m3).
Dipartimento Igiene del Lavoro dell’INAIL, “ Esposizione lavorativa
a polveri di legno”,
factsheet, edizione 2012 (formato PDF, 1.00 MB).
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lavorativa a polveri di legno”.
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