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"La valutazione del rischio da incidente stradale"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
01/07/2013 -
Incidenti stradali
ed infortuni sul lavoro sono eventi collegati tra loro molto più di quanto si
creda, anche se la statistica li classifica in maniera distinta.
Rispetto alle 920
morti bianche censite dall’INAIL nel 2011, gli infortuni mortali “in ambiente
di lavoro” sono stati 450: con una sostanziale stabilità rispetto al 2010 (-0,4%),
gli infortuni avvenuti “in strada” (in occasione di lavoro) sono stati 230, gli infortuni “in
itinere”
sono 240, in aumento del 4,8% sul 2010 con 11 morti in più.
Dal 2000, anno in
cui l’INAIL ha esteso la copertura assicurativa per gli infortuni subiti dai
lavoratori assicurati durante i loro vari spostamenti, i numeri hanno mostrato un
costante incremento, la quota di infortuni in itinere sul totale degli
infortuni è salita dal 7,3% del 2002 all’11,3% del 2011.
Un fenomeno che,
nonostante le dimensioni (oltre la metà dei lavoratori
muore sulla strada)
passa sotto silenzio e che nell’impegno attuato da imprenditori e sindacati nel
ridurre il numero complessivo degli infortuni sul lavoro, trova uno spazio di
attenzione ancora troppo basso. Anzi
forse è addirittura
sottostimato, in quanto questa tipologia di infortunio, secondo quanto previsto
dall’ articolo 12 del decreto legislativo 38/2000, viene riconosciuta
prevalentemente solo ai lavoratori che hanno un incidente utilizzando il mezzo
pubblico; che usano un mezzo di trasporto privato limitato all’inesistenza di
mezzi pubblici che colleghino l’abitazione del lavoratore al luogo di lavoro; che
gli orari dei servizi pubblici siano incompatibili o incongruenti con quelli
lavorativi; che la distanza minima del percorso non sia tale da poter essere
percorsa a piedi.
Si è fatto tanto in
azienda per ridurre i rischi sul posto di lavoro, basta guardare all’evoluzione
che hanno avuto i macchinari ecc., ma ci si è preoccupati poco del lavoratore che
esce dai cancelli dell’impresa o dalla porta dell’ufficio e si mette alla guida
di un veicolo (moto, auto, furgone, camion).
La sola patente di
guida di cui è dotato il lavoratore non è sufficiente per garantirlo dal
pericolo.
Servono interventi
di “loss prevention”(strumento/i per analisi di dati al fine di rilevare le
criticità) e “risk management” (processo/i per cui si misura e si stima il rischio
e successivamente sviluppare strategie per governarlo) che ogni azienda può
mettere in campo nell’ambito dell’organizzazione del lavoro,
serve soprattutto la stesura di un
documento di valutazione dei rischi dove il fattore strada sia preso in considerazione
per capire dove si possano trovare i problemi e le possibili azioni
d’intervento.
Vanno analizzati
quelli che possono essere i determinanti dell’incidentalità.
Ciò vale non solo
per le aziende che svolgono la loro attività prevalentemente su strada, come le
imprese di trasporto, ma anche per quelle ad elevata intensità di spostamenti, basti
pensare alle imprese del terziario, dove il lavoro non è unicamente stanziale
ma è mobile con contatti frequenti con i propri clienti. Proprio il settore dei
servizi, dopo i trasporti, evidenzia il maggior numero di infortuni sulla
strada.
Qualcuno può
obiettare che è difficile poter intervenire in un ambiente variegato come può
essere la strada.
L’esperienza
maturata negli anni ci dice come nella stragrande maggioranza dei casi sia il comportamento
dell’uomo la principale causa d’incidente stradale, per questo è necessario
incidere sui comportamenti e per ottenere ciò, dobbiamo motivare il guidatore a
nuove scelte, a nuove convinzioni per far crescere in lui gli atteggiamenti che
sono alla base di una reale sicurezza. Per far questo dobbiamo offrigli la
possibilità di fare nuove esperienze e di usufruire di un’organizzazione del
lavoro più adeguata.
Un comportamento
sbagliato, un errato stile di vita, la mancanza di conoscenza specifica rendono
vano ogni espediente tecnico sulla sicurezza. Ad esempio le azioni volte solo
al miglioramento degli standard di sicurezza degli autoveicoli (ABS, ESP, AIR
BAG, ecc.) hanno spesso prodotto risultati inferiori alle aspettative attese,
un’attenzione più rivolta all’educazione ed alla consapevolezza del conducente
le ha invece amplificate.
“L’uomo al centro”
è stato il punto di partenza di un progetto “ Sicurezza nel
trasporto pesante”
che ha visto la collaborazione dei mondi della sanità, assicurativo, del trasporto
e delle forze dell’ordine. Un’iniziativa innovativa che si è sviluppata su 4
aree di lavoro:
1. la conoscenza
del sé: sapere individuare le proprie capacità psico-fisiche, curare il proprio
corpo al fine di guidare in condizioni ottimali;
2. la conoscenza
delle regole: essere al corrente delle norme previste dal Codice della Strada e
di quelle comportamentali dettate dal buon senso;
3. la conoscenza
del veicolo: imparare ad utilizzare al meglio i sistemi di sicurezza attiva e
passiva di cui sono dotati i veicoli ed effettuare correttamente le
manutenzioni;
4. la conoscenza
delle criticità: imparare a condurre al meglio il veicolo, conoscere le
reazioni del mezzo nelle varie condizioni ambientali e stradali.
Il modello
progettuale ha dato ottimi risultati che sono stati monitorati grazie alla
collaborazione della Compagnia di assicurazione che ha assicurato la flotta di
TIR partecipante al progetto sperimentale. I risultati evidenziano una riduzione
del rapporto tra incidenti causati e mezzi assicurati dal 64,3% nel 2005 al
37,5% nel 2011, che in termini numerici di riduzione d’incidenti vuol dire
essere passati da quasi 2500 incidenti provocati dai 3.000 TIR assicurati del
2005, ai 1.900 dei 5.000 TIR assicurati nel 2011.
Gli ottimi
risultati in termini di riduzione del rischio/danno d’incidente e d’infortunio
hanno consentito risparmi tangibili sia sul fronte assicurativo pubblico che
privato, basti pensare al contenimento dei premi RCAuto dei veicoli o la
possibilità di ottenere dall’INAIL lo “sconto” denominato “oscillazione per
prevenzione” concesso alle imprese che eseguono interventi per il miglioramento
delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro, in aggiunta a
quelli minimi previsti dalla normativa in materia.
Oltre ai meri risparmi
economici (mezzi e merce), vanno sottolineati gli impagabili benefici sociali
(salute e condizioni di vita).
Tempi
di guida e tempi di lavoro
di Davide Venturi
“Sono
un
autotrasportatore
e mi
capita spesso di fare le mie ore di guida e poi di attendere anche molto tempo
per il carico e scarico da fornitori e destinatari. Come mi devo comportare per
stare nelle regole? E’ sufficiente che io rispetti gli orari di guida e i
riposi per la guida registrati dal cronotachigrafo?”
Le norme sull’orario di guida e di riposo per gli
autotrasportatori che guidano mezzi superiori alle 3,5 tonnellate nel trasporto
di merci e mezzi per il trasporto passeggeri atti al trasporto di più di 9
passeggeri (compreso il conducente) sono di origine comunitaria e comunque
risultano
piuttosto
complesse.
La distinzione
fondamentale riguarda due concetti in parte differenti, ma entrambi applicabili
all’ipotesi in esame: orario di guida e orario di lavoro.
Le norme di
riferimento sono le seguenti:
● Regolamento (CE)
n. 561/2006 che disciplina i periodi di guida, le interruzioni e i periodi di
riposo per i conducenti che effettuano il trasporto di merci e persone su
strada (il Regolamento è direttamente applicabile in Italia, senza necessità di
norma nazionale di attuazione);
● Direttiva
2002/15/CE sull’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano
operazioni mobili di autotrasporto, recepita nell’ordinamento italiano dal D.
Lgs. n. 234/2007.
In estrema sintesi,
per «periodo di guida» si intende: il periodo complessivo di guida che
intercorre tra il momento in cui un conducente comincia a guidare dopo un periodo
di riposo o un’interruzione fino al periodo di riposo o interruzione successivi
(Reg. n. 561/2006, art. 4). Il periodo di guida può essere ininterrotto o
frammentato. Il periodo di guida giornaliero non può superare le 9 ore giornaliere
(10 ore non più di due volte a settimana), ed inoltre non può superare le 56
ore settimanali (per un massimo di 90 ore ogni due settimane). Operano anche
le interruzioni
obbligatorie (ogni 4h30 min.) e i riposi obbligatori.
Invece, per «orario
di lavoro» si intende: ogni periodo compreso fra l’inizio e la fine del lavoro
durante il quale il lavoratore mobile è sul posto di lavoro, a disposizione del
datore di lavoro, esercita le sue funzioni o attività (art. 3, lett. a), D.Lgs.
n. 234/2007).
La durata dell’orario
di lavoro non può eccedere le 60 ore settimanali, comprese le ore di guida,
mentre la durata media settimanale non può eccedere le 48 ore settimanali medie
su un periodo di 4 mesi (elevabili a 6 mesi). Inoltre operano norme che
obbligano a un riposo intermedio dopo massimo 6 ore di lavoro, oltre a norme in
materia di durata massima dell’orario di lavoro notturno (massimo 10 ore di
lavoro ogni 24 ore, quando si lavorino almeno
4 ore tra le ore
00.00 e le ore 07.00).
Si comprende,
quindi, che il concetto di orario di lavoro è molto più ampio di quello di
tempo di guida, e che quest’ultimo sia dunque ricompreso nel primo, senza però
esaurirne la portata. E’ quindi possibile non superare i limiti di guida, pur
violando le norme sull’orario di lavoro.
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