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"Chi ha l’obbligo di verificare l’idoneità di una attrezzatura di lavoro?"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
29/07/2013 -
Commento a cura di G. Porreca
Non sta al lavoratore verificare
l’idoneità di una attrezzatura di lavoro
messa a sua disposizione dal datore di lavoro ma
spetta anzi a questi assicurarsi che la stessa risponda ai requisiti di
sicurezza sul lavoro e non costituisca altresì una fonte di pericolo. È
quanto emerge da questa sentenza della Corte di Cassazione penale.
Attribuire la colpa al lavoratore, ha sostenuto la stessa, per non avere
verificato che lo strumento messogli a disposizione dal datore di
lavoro non costituisse una fonte di pericolo deve ritenersi infatti un
assioma destituito di un fondamento giuridico. L’attrezzatura nella
circostanza in esame era una scala a pioli dalla
quale è caduto il lavoratore mentre la utilizzava che è poi risultata
essere non rispondente ai requisiti di sicurezza previsti dalla
normativa vigente in materia di sicurezza sul lavoro.
Il caso, l’iter
giudiziario e il ricorso in Cassazione.
Un operaio dipendente di una società ha subito un infortunio
mortale per essere precipitato, da un'altezza di circa sei metri, mentre in
un cantiere posto all'interno di una nave utilizzava una scala
precaria per salire su di un blocco metallico.
Il Tribunale ha assolto il legale rappresentante della
società dai reati di cui ai capi a) - D.P.R. n. 164 del 1956, art. 8 e art. 77,
lett. c - ed e) - art. 113 c.p., e art. 589 c.p., comma 2 - perché il fatto non
sussiste e dai reati di cui ai capi b) - art. 389, lett. c) in relazione al
D.P.R. n. 547 del 1955, art. 18 - e c) - D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 35,
comma 4, lett. c) - per non avere commesso il fatto nonché il delegato
per la sicurezza ed il capocantiere dal reato di cui al capo e) perché il
fatto non sussiste e quest'ultimo, inoltre, dal reato di cui al capo d) - D.
Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, lett. b - per non avere commesso il fatto. La
Corte d'Appello, a seguito dell'impugnazione proposta dal Procuratore Generale
e dalle parti civili, ha successivamente confermata la decisione di primo
grado.
Il Procuratore Generale e le parti civili hanno proposto
ricorso per cassazione sostenendo che
la Corte territoriale era incorsa in macroscopica violazione della legislazione
antinfortunistica, richiamata nel capo d'imputazione (D.P.R. n. 547 del 1955,
D.P.R. n. 164 del 1956 e D. Lgs. n. 626 del 1994) in quanto la dotazione di
sicurezza delle scale e il loro uso risultavano minutamente regolato dalla
legge per cui il datore di lavoro e i soggetti che rivestivano un ruolo di
responsabilità dovevano garantire il rispetto delle indicate norme
precauzionali. Il P. G. ha messo in evidenza, altresì, nel ricorso che la Corte
d’Appello, stravolgendo l'assetto, aveva assolto gli imputati assumendo che
l'uso di quella scala non era stato da loro autorizzato. Era emerso, infatti, che
gli operai non avevano facoltà di scegliere una scala diversa, essendo stata
messa a loro disposizione solo quella che aveva causato l'incidente. La
possibilità di utilizzare un più sicuro mezzo detto "manuticella" era
risultata alquanto remota anche perché l'azienda doveva prenderla in locazione
onerosa. Era emerso, anche per ammissione dello stesso imputato, che l'
uso
di scale non a norma era assai diffuso. Al contrario di quanto affermato
nella sentenza della Corte territoriale, ha sostenuto poi il P. G., non
spettava agli operai utilizzatori verificare l'idoneità della scala risultando,
al contrario, essere obbligo del datore di lavoro di predisporre e mettere a
disposizione mezzi di ascesa sicuri e conformi alle indicazioni e che inoltre,
in ogni caso, l'istruttoria aveva escluso che gli operai avessero il potere di
sindacare l'uso dello strumento messo loro a disposizione.
La Corte territoriale, secondo il P. G., era incorsa in
vistoso vizio motivazionale nel non essersi resa conto del pericolo occulto
rappresentato dalle
modalità di aggancio
instabile della scala ricordando che solo il comportamento
imprevedibile del lavoratore, in quanto abnorme, ovvero del tutto anomalo,
esorbitante dagli incarichi di lavoro od incompatibile con la lavorazione,
interrompe il nesso di causalità e non già il verificarsi d'incidenti dovuti ad
errori ed utilizzo di strumenti inadeguati, che il garante avrebbe dovuto
prevenire. Le parti civili in più hanno fatto presente nel loro ricorso che
l'uso della scala non era dipeso da una scelta autonoma degli operai e che
inoltre, da quanto risultato dalle indagini, nel magazzino non vi erano
all'epoca scale più sicure né che fosse possibile richiedere le cosiddette “
manuticelle”.
Le decisioni della suprema
Corte di Cassazione.
La Corte
di Cassazione ha ritenuto entrambi i ricorsi manifestamente fondati. La stessa
ha posto in evidenza che la Corte territoriale era incorsa in
plurimi rilevanti travisamenti delle
risultanze probatorie essendo risultato, infatti, che l'unica scala che avrebbe
dovuto essere utilizzata era proprio quella, predisposta sul luogo sin dal
giorno prima, dalla quale tragicamente è caduto il lavoratore e che l'uso delle
cosiddette "
manuticelle"
era di assai difficile realizzazione in quanto non in dotazione e ne avrebbe
dovuto essere autorizzato il noleggio. Non era quindi risultato veritiero che
gli operai avevano la possibilità di richiedere, ove lo avessero voluto, le “
manuticelle” o, comunque, strumenti più
sicuri per salire e che gli stessi avevano il potere di richiedere l'utilizzo
di mezzi di lavoro diversi rispetto a quelli messi loro a disposizione
dall'azienda. Le altre scale presenti all’epoca presso il magazzino
dell’azienda, tra l’altro, erano del tutto uguali a quella utilizzata e,
pertanto, prive anche del pur minimo accorgimento volto ad assicurarne la
sicurezza essendo delle semplici scale
a pioli senza corrimano e agganci che impedissero lo scivolamento.
Ciò posto,
ha proseguito la Sez. IV, “
non v'è dubbio
che il datore di lavoro e chi per lui non possa pretendere di essere esonerato
da penale responsabilità per gli infortuni procurati utilizzando strumenti di
lavoro insicuri, impropri, o, comunque, inadeguati, lasciati nella
disponibilità degli operai” ed ha citato in merito la sentenza della stessa Corte
di Cassazione Sez. Fer. n. 32357 del 12/8/2010 che riguardava proprio l’uso
di una scala. L’aver messo a disposizione dei lavoratori delle scale come
quella che ha dato origine al tragico incidente ha costituito, secondo la
suprema Corte, una indubbia violazione oltre che delle norme cautelari
generiche, di quelle specifiche, puntualmente individuate nel capo
d'imputazione in quanto era priva di agganci che ne impedissero oscillazioni
(D.P.R. n. 164 del 1956, art. 8 e art. 77, lett. c), era priva di strumenti
antisdrucciolo (art. 389, lett. c, in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art.
18) e non era stato predisposto un posizionamento sicuro e, comunque, tale da
impedire oscillazioni (D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 3, comma 4, lett. c, e art.
35, lett. b).
“
Attribuire la colpa del lavoratore di non
aver verificato che lo strumento messogli a disposizione dal datore di lavoro
non costituisca fonte di pericolo”, ha proseguito la suprema Corte, “
deve ritenersi assioma destituito di
giuridico fondamento. Esattamente al contrario, il lavoratore, il quale,
peraltro, è tenuto ad eseguire i compiti che gli vengono ordinati, deve poter
fare affidamento sulla circostanza che il datore di lavoro gli abbia messo a
disposizione strumenti non costituenti fonte di pericolo”.
Anche con
riferimento all’avanzata ipotesi di una eventuale abnormità nella condotta
del lavoratore il giudice dell'appello non sembra avere fatto, secondo la
Cassazione, una corretta applicazione dei principi di diritto consolidatisi nel
corso degli anni in sede di legittimità, stante che il nesso di causalità tra
la condotta colposa del datore di lavoro (avere messo a disposizione strumento
non idoneo), ed il conseguente evento mortale non è stato spezzato da alcun
elemento esterno o comportamento imprevedibile del lavoratore o di terzi,
essendo occorso l'infortunio durante una fase ordinaria di lavoro. “Anche a
volere ritenere”, ha quindi concluso la Sez. IV, “
che allo stesso possa aver concorso una manovra erronea del lavoratore
deve escludersi, secondo la logica comune, che nel caso in esame una tale
manovra possa considerarsi avulsa dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e,
pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente
al contrario trattasi, invece, d'incidente mortale occorso nell'esercizio e a
causa dello svolgimento dell'attività lavorativa, come tale del tutto
prevedibile e prevenibile”.
Alla luce
di quanto sopra detto e chiarito
la
Corte di Cassazione ha quindi annullata la sentenza impugnata con rinvio
alla Corte di Appello di provenienza perché individuasse una più adeguata
motivazione.
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