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"Fare sicurezza in tempi di crisi"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
26/09/2013 - Quello che scrivo non è una novità assoluta, però vale davvero la
pena meditare sulle interrelazioni fra i termini che compongono il
titolo: sicurezza, management, organizzazione, disciplina, educazione.
Credo che ancora si faccia una certa confusione, spesso sottintesa
nella mente dei manager: la sicurezza e la salute sul lavoro vengono
viste come un qualcosa “al lato” della concreta vita della azienda,
qualcosa che è altrove, rispetto al vero cuore aziendale. Qualcosa di
estraneo, quindi, al vero impegno del management.
Non è una questione di sottovalutazione della importanza della
sicurezza, qui non parliamo di criminali o di indifferenti. È una
valutazione, come dicevo spesso sottintesa, della collocazione della
sicurezza in azienda, come dicevo al di fuori del cuore pulsante che
distribuisce la linfa essenziale per la vita e la prosperità della
azienda stessa.
Questa è una questione da
ribattere subito:
la sicurezza, e non
solo, è parte integrante del modo di “vivere” l’azienda e il lavoro, e come
tale è inscindibile da tutti gli altri fattori che compongono la vita
lavorativa. L’impegno alla produzione, l’impegno alla qualità, l’impegno alla
riduzione degli sprechi non possono sussistere separati dall’impegno alla
sicurezza.
Questa è una lezione che noi
formatori abbiamo saputo trasmettere poco: abbiamo sempre individuato la
sicurezza come un diritto, come un bene, ma non proprio come un
elemento integrante del lavoro. Infatti
quando parliamo ci limitiamo spesso a considerare aspetti di sicurezza,
appunto, tenendoli (anche noi) slegati dal resto della realtà aziendale.
Non ci dobbiamo stupire che poi
chi ci ascolta, a partire dai lavoratori sino al datore di lavoro, segua la via
che noi implicitamente gli abbiamo mostrato.
La vita in azienda
Vivere in azienda, vivere
l’azienda, quali possono essere le motivazioni effettive. Premesso che il
diritto al lavoro è sancito dalla costituzione, è anche evidente che non si
lavora per piacere ma, principalmente, per necessità di un sostentamento che ci
permetta di vivere. E l’azienda in cambio ha diritto di chiedere il nostro
impegno per il raggiungimento di quelli che sono i suoi obiettivi economici.
Però, nonostante premesse ben
chiare, il modo di lavorare degli individui cambia da persona a persona,
mescolando a diverso grado due componenti:
- impegnarsi a fare con
attenzione e diligenza le azioni che l’azienda ci richiede;
- fare quanto nelle nostre
capacità per perseguire gli obiettivi che l’azienda si è data.
Abbiamo appena detto che non
esiste il bianco o il nero, ma che il comportamento di ognuno è una miscela dei
due comportamenti estremi descritti sopra. Ovviamente se non esiste qualche
forma di contenzioso fra azienda e collaboratore.
Come si può notare in questo
paragrafo non compare ancora la espressione sicurezza & salute sul lavoro.
Perché, come detto, non è cosa a sé stante ma parte integrante della vita
lavorativa, sia in termini di comportamenti
predefiniti da rispettare, sia in termini di impegno verso gli obiettivi
aziendali di riduzione degli infortuni e delle malattie professionali.
Quindi la vita in azienda è un
tutto unico, che dovrebbe anche essere
armonico nel portare avanti senza contrasti le varie istanze, che spesso
provengono da soggetti diversi, almeno nella loro declinazione pratica.
Le regole fondamentali: le aspettative della azienda
Le regole fondamentali per la
vita di una azienda sono quelle che dovremmo portare con noi quando veniamo a
farne parte. Quelle che esistono da prima, dall’essere parte di una società
basata (si dovrebbe sperare) su determinati principi morali condivisi.
Cosa ci hanno insegnato da
bambini: l’
educazione. Quindi si
presume che in azienda entrino persone educate e rispettose del prossimo,
chiunque esso sia nelle gerarchie aziendali. Dovrebbe essere così, ma spesso
non è così. È un bell’handicap.
Altra cosa che ci hanno
insegnato: il rispetto degli ordini di chi è superiore di grado, di posizione
…, la
disciplina insomma. È evidente
che anche questo sarebbe immediatamente replicabile in azienda, mentre invece
viene spesso considerato non un dovere ma quasi un favore.
Forse chi scrive è parte di una
generazione vecchia, in cui questi concetti venivano inculcati ai bambini. Ma
se andiamo in azienda oggi ci rendiamo conto che sono concetti presenti solo in
minima parte.
Allora ripartiamo dai
fondamentali, quelli che una normale
azienda dovrebbe dare per acquisiti quando assume una persona:
- rispetto verso tutte le persone
con cui si entra in contatto;
- mantenimento
dell’ordine all’interno dei luoghi di lavoro;
- cura dei beni materiali della
azienda;
- rispetto delle gerarchie,
disciplina e obbedienza agli ordini dei propri superiori e alle disposizioni
aziendali in genere;
- attenzione a quanto l’azienda
mette in campo a livello
informativo e formativo;
- attenzione agli interessi della
azienda;
- …
Sono queste le
basi di buon comportamento su cui si
dovrebbe poter costruire il resto, ovvero ciò che è specifico della vita
aziendale e che già abbiamo citato sopra: produzione, tutela degli assett
aziendali, sicurezza …
I fattori comportamentali: la sicurezza tra educazione e disciplina
I tre termini del titolo visti in
ottica sicurezza & salute sul lavoro. Altrimenti: come educazione e
disciplina possono contribuire in forte misura alla sicurezza.
In sostanza si tratta di due
aspetti simili ma indipendenti; simili perché si tratta di rispettare regole,
più o meno definite. Indipendenti perché impattano su aspetti diversi.
L’
ordine, è la base di un modo di lavorare privo di imprevisti. Non è
solo non lasciare materiali vari “in mezzo”, ma anche riporre le cose al loro
posto, e che tale posto sia considerato il posto giusto da tutti. Vuol quindi
dire pensare, prestare attenzione, ma anche dialogare con i colleghi e i
superiori per ottimizzare il modo di lavorare, per ridurre sprechi e fatica per
tutti. E se consideriamo che ogni nostra azione, specie se non routinaria
(cercare “disperatamente” qualcosa di indispensabile che non si trova),
rappresenta per definizione una opportunità di incidente, allora è evidente che
già di per sé
l’ordine è sicurezza.
La
disciplina è, invece, quel comportamento che consente, a chi pensa
come debba essere fatta in sicurezza una determinata azione, di avere
confidenza che le sue indicazioni saranno rispettate, sia che le abbia
comunicate a voce, sia che le abbia messe per scritto. La disciplina è anche
ciò che consente di essere confidenti che una determinata azione sarà
effettuata allo stesso modo da due persone diverse. Se consideriamo che agire
differentemente a fronte della medesima situazione, specie se ripetitiva, è
come minimo uno spreco, e che lo stress e la fatica derivanti dal lavorare
“male” sono una nota causa di infortuni, anche qui abbiamo chiuso il cerchio.
Naturalmente non è solo questo il beneficio …
La disciplina porta con sé anche
il
rispetto delle gerarchie (se
manca questo elemento cade la disciplina); qui vorremmo spendere una parola su
situazioni, a nostro attivo estremamente distruttive, che purtroppo si
incontrano spesso in azienda: quei pettegolezzi sul fatto che il capo non sia
un buon tecnico, sul fatto che il capo sbaglia, sul fatto che “il capo non
capisce nulla … se fossi io a decidere!” … tutte mancanze di rispetto gratuite
che non portano mai a una presa di posiziona costruttiva. Non che nel verso
opposto non ci siano gli stessi problemi: capi che mascherano i propri errori
attribuendoli ai collaboratori, capi che dicono cose diverse in funzione degli
interlocutori … Sembra quasi che l’interesse personale sia l’unico da
perseguire, e che non ci sia la minima attenzione per l’interesse aziendale.
Non è sempre così, ma vi
invitiamo a pensare a questi fenomeni e a guardarvi intorno in azienda; nella
vostra azienda.
Ma sapete quanto sono devastanti
questi modi di fare per la salute e la sicurezza sul lavoro? La
perdita di credibilità delle persone,
qualunque sia il loro ruolo, comporta che si perde fiducia nelle informazioni
che trasmettono o nei comandi che impartiscono; tutto diventa oggetto di
continue discussioni con perdite di efficienza che sono devastanti … sempre che
l’efficacia ne esca salva. Questo poi, sul tema di sicurezza e salute, su cui
tutti ritengono di avere diritto di parlare a ruota libera, è ancora più
dannoso, perché così si creano gli alibi per non rispettare le regole impartite
dalla azienda.
Quelli che abbiamo descritto sono
elementi di una normale educazione personale che, ripetiamo, dovrebbero essere
dati per scontati, ma scontati non sono. Ma chi deve provvedere a
ripristinarli? La risposta giusta sarebbe: la società. La risposta concreta,
l’unica praticabile, è: l’azienda. Se questa vi pare come una dolorosissima
sconfitta del nostro sistema educativo, ebbene non possiamo che concordare. Se
questa vi pare una ingiustizia verso le aziende, concordiamo ancora. Ma siamo
soggetti pratici, se c’è qualcosa che non funziona nel nostro sistema azienda,
e nessuno fa niente, allora ci tocca agire in prima persona.
I fattori della conoscenza: la sicurezza fra attenzione, comprensione e
decisione
Sino ad ora abbiamo parlato di
educazione e disciplina, cioè di comportamenti codificati in cui l’aspetto
decisionale in senso ampio è poco presente; è presente, e molto, la volontà
individuale, è quasi assente l’aspetto di ragionamento razionale e analitico.
Pertanto quello che abbiamo
considerato è solo una componente, peraltro fondamentale, delle caratteristiche
della persona. L’altra, ovviamente, è la capacità di analisi e di giudizio.
Giova qui considerare se
educazione, ordine, rispetto, disciplina ecc. … diano elementi sufficienti a
garantire che la vita di un individuo in azienda risponda alle esigenze della
azienda e dell’individuo stesso.
Qui concentriamoci sul concreto:
immaginiamo una realtà aziendale, assolutamente ipotetica, ove tutto è
governato dalla ripetizione, ovvero qualunque situazione si ripete più volte ed
esiste quindi il modo di definire a priori il comportamento migliore da tenere
nella medesima. Quindi basta analizzare la situazione, definire le regole
esplicite, richiamare le regole implicite e contare sulla disciplina. Solo
alcuni saranno coinvolti nella scelta di quale sia il modo più corretto di una
determinata azione. Questa, pure estremizzata, rappresenta la condizione di una
azienda che, per esempio, esegue montaggi in serie di piccoli prodotti con
lotti estremamente elevati.
Pensiamo ora al caso opposto: una
azienda la cui mission è quella di risolvere problemi di qualche genere portati
dai propri clienti. I problemi sono sempre diversi fra loro, quindi le azioni
da intraprendere non saranno mai del tutto note a priori; si potranno forse
stabilire regole per famiglie di azioni (per esempio lavori
elettrici) ma non potremo prevedere come una determinata azione, che in
realtà è una reazione a un bisogno non noto a priori, debba essere svolta. Qui
evidentemente molti si troveranno a dover decidere, e le decisioni dovranno
seguire una logica ben solida, onde evitare errori catastrofici.
La prima domanda è: quante sono
in una azienda le persone interessate a questo ragionamento? Nella tipologia di
azienda di cui stiamo parlando rappresentano una percentuale considerevole
della popolazione. Per focalizzare pensate ad una azienda che esegue service su
impianti industriali, prevalentemente presso il cliente, e che nella maggior
parte dei casi manda squadre di due addetti. Al di là che uno dei due diventi preposto
di fatto per sicurezza e salute, c’è anche la questione altrettanto importante,
che impatta sul cliente, di come eseguire l’intervento, anzi, all’inizio, di
capire quale sia l’intervento giusto; e queste cose le capisce chi è sul campo,
non chi è in ufficio a 3000 chilometri di distanza! Quindi è il soggetto che
sul campo decide, quello che senza saperlo si fa carico dell’elenco che abbiamo
posto all’inizio di questo articolo.
Dunque, di fronte a una
situazione nuova, piena di potenziali pericoli per la sicurezza, per la
continuità di produzione (del cliente), per l’ambiente, per la salvaguardia dei
beni del cliente (macchine, impianti), per l’immagina della mia azienda, cosa
posso fare? Non mi resta che decidere quale sia la serie di azioni da mettere
in campo, tenendo conto di quanto, di tutto quanto appena detto; contemporaneamente.
Non si tratta, invero, di fattori indipendenti; anzi sono fattori strettamente
correlati fra loro, intrecciati in modo inestricabile.
Allora, quale è lo strumento che
possiamo usare? La risposta ovvia: il cervello, il nostro cervello, quello con
cui ci troviamo ad affrontare la situazione. Ma dobbiamo ricordare che il
cervello opera sia in forma implicita (l’istinto) che esplicita. E l’istinto ci
aiuta poco su problemi complessi e poco noti. Siamo costretti a ragionare
esplicitamente, e per ragionare dobbiamo avere a disposizione i corretti
strumenti. Quali sono?
Alla fine qualunque scelta
effettuata sul lavoro, e non solo, è figlia di una sorta di
valutazione costi/benefici, che nel
nostro settore si chiama
valutazione dei
rischi. Non valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute, la
valutazione dei rischi di cui parliamo riguarda tutti gli elementi
precedentemente citati.
Quindi possiamo fare una
equivalenza, almeno per le situazioni
anomale e impreviste che si presentano nel mondo del lavoro: ragionare per
decidere una azione (contromisura a fronte di un problema) = sviluppare un
ragionamento di valutazione dei rischi.
Il problema generale è noto
(l’impianto è fermo e non produce per un guasto), l’obiettivo è ovvio
(rimettere in marcia l’impianto al più presto), la strada migliore risulterà
quella che emergerà come tale dalla valutazione
dei rischi.
Qui, al di là dei fattori di
diligenza, ordine e disciplina che abbiamo citato prima applicati a situazioni
determinate, esiste un altro aspetto che potremmo chiamare
diligente applicazione dei metodi stabiliti e insegnati dalla azienda
a coloro che possono trovarsi a fronteggiare certe situazioni. Qui la diligenza
è davvero essenziale perché ragionare con superficialità, o non ragionare affatto,
in certi casi può condurre a danni del tutto inimmaginati al momento della
scelta.
Ora non vogliamo parlare di
metodi per non appesantire, ribadiamo per l’ennesima volta che in ogni
approccio alla valutazione del
rischio
i
due fattori base sono la gravità dell’evento e la probabilità che
l’evento si verifichi; poi a nostro avviso ogni metodo va bene.
Conclusione: il legame con la crisi
In un tempo di ricchezza, di
risorse strabordanti rispetto alle necessità immediate, di scarsa o nulla
capacità di comprendere quanto la situazione fosse gonfiata rispetto alla
realtà vera ma nascosta, ci siamo lasciati andare ad un modo di affrontare i
problemi quasi come se le risorse fossero infinite, se non nell’immediato
almeno nel medio termine.
Evidentemente di fronte al cambiamento
di scenario è necessario un forte cambiamento di rotta da parte di ogni
azienda, se vuole sopravvivere. Le risorse si riducono, anche le persone spesso
diminuiscono di numero. E con queste condizioni dobbiamo comunque non abbassare
il livello di tutela dei fattori vitali per la sopravvivenza della azienda;
salute e sicurezza sono solo uno di questi.
Contemporaneamente ci rendiamo
conto che in questa società così mutata, dove già molto si è investito
nell’ammodernamento degli assett industriali, questo prima della crisi,
ovviamente, il fattore maggiormente da sviluppare è quello
umano. Da errori
involontari, da distrazioni talvolta giustificabili, da mancanza di
competenza e dedizione, da pura e semplice mancanza di educazione emergono inefficienze, tensioni interpersonali
ma anche gravi errori che possono portare danni corrispondenti.
Non credo che la situazione di
necessità delle aziende, necessità di un forte contributo da parte dei
collaboratori, sia così chiara. Ma possiamo affermare che se quello non ci sarà,
vedremo ancora molti ma molti fallimenti. Ma non basta la buona volontà,
servono quegli elementi che abbiamo cercato di evidenziare, sebbene l’elenco
debba necessariamente considerarsi parziale.
Possiamo affermare che la crisi
ha messo in evidenza uno scarso impegno (nei passati due decenni) da parte
della società e delle aziende nello sviluppo delle risorse umane con
riferimento al contesto lavorativo. Questo è un grosso handicap a cui le
aziende devono rimediare rapidamente, quanto meno per le generazioni che oggi
già lavorano.
Allo stato toccherebbe invece
operare a favore dei giovani e dei giovanissimi destinati ad entrare nel
mercato del lavoro industriale italiano nei prossimi decenni; se ci sarà quel
mercato del lavoro!
Alessandro
Mazzeranghi
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