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"Sulla colpa professionale del RSPP"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
09/12/2013 -
Commento a cura di G. Porreca.
Sembra consolidarsi sempre
di più la posizione della Corte di Cassazione rispetto alla responsabilità
del RSPP nel caso di un infortunio accaduto in una azienda nella quale lo
stesso svolge la propria attività ed esercita il proprio controllo in materia
di salute e sicurezza sul lavoro. Il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, ribadisce infatti la suprema Corte, può essere ritenuto
(cor)responsabile del verificarsi di un infortunio per colpa professionale ogni
qualvolta questo sia riconducibile ad una situazione pericolosa che egli
avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla
segnalazione stessa avrebbe fatto seguito l’adozione da parte del datore di lavoro
delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione oppure se,
agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o
discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di
segnalare una situazione di rischio inducendo così il datore di lavoro ad omettere
l’adozione di una doverosa misura prevenzionale.
L’evento infortunistico e l’iter giudiziario
Il Tribunale ha
tratto in giudizio e condannati alla pena di giustizia, successivamente
confermata dalla Corte di Appello, il legale rappresentante di una società a responsabilità
limitata e datore di lavoro committente, il socio lavoratore responsabile
del servizio di prevenzione e protezione della società stessa ed il
Presidente di una Cooperativa, alla quale erano stati affidati con contratto i
lavori di movimentazione di materiali e di facchinaggio, nonché la raccolta
degli scarti e le pulizie del magazzino e del cortile, imputati del reato di
cui agli artt. 113, 40 cpv e 589 co. 1 e 2 c.p. per aver cagionato in
cooperazione tra loro e nelle rispettive qualità la morte di un lavoratore, per
negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per violazione delle norme in
materia degli infortuni sul lavoro. Era accaduto che il lavoratore, socio della
Cooperativa, mentre era intento a svolgere lavori di
molatura di materiali attraverso una molatrice, veniva investito dai
frammenti della mola stessa esplosa durante le operazioni di sbavatura dei
pezzi metallici riportando lesioni personali dalle quali derivava la sua morte.
I giudici di merito erano pervenuti alla pronuncia ed alla successiva conferma
della condanna evidenziando in particolare due profili di colpa a carico degli
imputati e cioè per aver utilizzato una macchina obsoleta, modificata ed
insicura e avere adibito alla macchina stessa il lavoratore poi infortunatosi,
privo di qualifica e non adeguatamente formato ed informato sui rischi di
utilizzo dell’attrezzatura, e per avere fatto svolgergli compiti non previsti
dal contratto di appalto.
Il responsabile
legale della società ed il RSPP sono stati condannati in particolare per non
aver verificato l' idoneità
tecnico-professionale del lavoratore in relazione ai lavori da svolgere e
per aver consentito o comunque non impedito che lo stesso utilizzasse la
molatrice in assenza di adeguato dispositivi di protezione e di sicurezza
nonché per non aver adeguatamente valutato ed eliminato i rischi concreti che
la molatrice presentava in violazione delle seguenti norme:
·
art. 86 D.P.R. n. 547/1955 in quanto non erano presenti sulla
molatrice cartelli che ne individuassero i limiti di utilizzo quali ad esempio
il diametro massimo della mola da montare in relazione al numero di giri
massimo;
·
art. 89 comma 1 e 2 del D.P.R. n. 547/1955 in quanto la cuffia di
protezione non presentava caratteristiche tali da resistere alla proiezione di
pezzi derivanti dalla rottura della mola ed inoltre non risultava conformata in
modo tale da circondare la massima parte periferica della mola stessa:
·
art. 91 D.P.R. n. 547/1955 in quanto la molatrice non risultava
dotata di poggia pezzi;
·
art. 35 comma 1 D. Lgs. n. 626/1994 in quanto la molatrice non
risultava idonea ai fini della sicurezza, poiché la mola veniva utilizzata a
velocità superiori rispetto alle condizioni stabilite dal costruttore;
·
art. 7 commi 1, 2 e 3 D. Lgs. n. 626/1994 per non aver documentato
di aver fornito informazioni circa i rischi specifici esistenti nella propria
impresa alla Cooperativa, per non aver adempiuto agli obblighi
di coordinamento delle misure di sicurezza previste nei contratti di
appalto e per non aver promosso gli obblighi di coordinamento circa le misure
di sicurezza di cui al comma 2;
·
art. 4 comma 5 lett. d) ed e) D. Lgs. n. 626/1994 per non aver
fornito al lavoratore infortunato informazioni specifiche circa il lavoro da
svolgere e per aver affidato compiti non previsti dal contratto di appalto non
valutando le capacità del lavoratore;
·
art. 37 del D. Lgs. n. 626 del 1994 per non aver documentato di
aver fornito al lavoratore infortunato una informazione specifica sui rischi
connessi all'utilizzo della molatrice;
·
art. 38 del D. Lgs. n. 626 del 1994 per non aver documentato di
aver fornito al lavoratore infortunato una formazione specifica sui rischi
connessi all'utilizzo della molatrice.
·
Il Presidente della Cooperativa invece è stato condannato per
avere agito in violazione delle seguenti norme in materia di igiene e sicurezza
sul lavoro:
·
art. 7 comma 2 del D. Lgs. n. 626 del 1994 per non aver adempiuto
agli obblighi di coordinamento delle misure di sicurezza con il datore di
lavoro della società committente;
·
art. 4 comma 5 lett. d) del D. Lgs. n. 626 del 1994 per non aver
fornito al lavoratore infortunato informative specifiche circa il lavoro da
svolgere.
Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione.
Avverso la decisione
della Corte di Appello i tre imputati hanno proposto ricorso a mezzo dei propri
difensori. Nel rigettare tali ricorsi e confermare la sentenza di condanna la
Corte di Cassazione, per quanto riguarda in particolare il ricorso presentato
congiuntamente dal responsabile legale della società committente e dal RSPP
della società stessa, ha tenuto a precisare che “
come condivisibilmente già ritenuto da questa Corte, se più sono i
titolari della posizione di garanzia ovvero dell'obbligo di impedire l'evento,
ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla
legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione
della suddetta posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una
cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale
posizione”. Il datore di lavoro, ha proseguito la Sez. IV, per la qualità
dallo stesso rivestita, appare sicuramente titolare di una posizione di
garanzia in quanto ex lege onerato dell'obbligo di prevenire la verificazione
di eventi dannosi connessi all'espletamento dell'attività lavorativa. Allo
stesso, infatti, compete in particolare l'istruzione dei lavoratori sui rischi
di determinati lavori con la conseguente necessità di adottare le dovute misure
di sicurezza ed il controllo continuo e pressante per imporre che i lavoratori
rispettino quelle norme e si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano
alla superficiale tentazione dl trascurarle.
Per quanto
riguarda la posizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione
la suprema Corte ha precisato che “
il
RSPP, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio,
ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione
pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi
presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del
datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta
situazione”. “Il RSPP”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “
è chiamato a rispondere qualora, agendo con
imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia
dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione
dl rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l'adozione di una
doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell'evento dannoso
derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può
assumere anche un carattere addirittura esclusivo”.
“Ciò perché”, ha ancora sostenuto ancora la Sez. IV
, “in tale evenienza l'omissione colposa al potere-dovere di
segnalazione in capo al RSPP, impedendo l'attivazione da parte dei soggetti
muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire
(con)causa dell'evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione
della condizione di rischio” con la conseguenza che “
qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o
inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o
abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, cosi, il
datore di lavoro ad omettere l'adozione di una doverosa misura prevenzionale,
ben può e deve essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del
combinato disposto dell'art. 113 c.p., e art. 41 c.p., comma 1 dell'evento
dannoso derivatone”. Senza contare, ha quindi concluso la suprema Corte,
che nel caso in esame è emerso, quanto all'organizzazione del lavoro, che era il
RSPP ad essere sempre presente in azienda, ad assegnare i compiti, a destinare
il personale alle macchine e ad avere contatti con la Cooperativa per
individuare il personale necessario assumendo così anche la figura
di dirigente o di preposto.
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