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"Il rischio organizzativo e la valutazione del rischio stress"

fonte www.puntosicuro.it / Salute

06/02/2014 - “ Il quarto gruppo di fattori di nocività comprende tutte quelle condizioni che possono determinare degli effetti stancanti: monotonia, ripetitività, ritmi eccessivi, saturazione dei tempi, posizioni disagevoli, ansia, responsabilità, frustrazioni, e tutte le altre cause di effetti stancanti diverse dal lavoro fisico”. A riprendere questa frase storica tratta dal lavoro di Ivar Oddone, medico e docente universitario di psicologia del lavoro a Torino, uno dei precursori della medicina del lavoro, è la Società Nazionale degli Operatori della Prevenzione ( SNOP) che interviene sul suo sito in merito al “ Rischio organizzativo: un tema antico da riprendere”.
 
Rischio organizzativo che, come mostrato anche da PuntoSicuro, è elemento importante di diversi programmi europei per la riduzione dello  stress lavoro-correlato: molti interventi di prevenzione agiscono a livello organizzativo e l’oggetto specifico della valutazione è l'esposizione del gruppo più che dell'individuo.

Al di là del richiamo storico al modello dei “quattro gruppi di fattori di nocività”, è evidente, continua la nota della SNOP, che il D.Lgs. 81/2008 “ha aperto formalmente agli obblighi di prevenzione anche sul versante del ‘ rischio organizzativo’ (anche se alcuni di noi giustamente pensano che il ‘tutti i rischi’ avrebbe dovuto essere applicato ben prima!) così come una lettura più attenta dell’articolo 28, avrebbe dovuto portarci verso analisi più puntuali (e magari soluzioni) su lavoro e salute in questa società che cambia: precarizzazione, internazionalizzazione, invecchiamento della popolazione al lavoro, vecchi e nuove questioni di genere”.
 
Oggi infatti abbiamo un mondo del lavoro complesso e spesso doloroso: “ precarietà e solitudine, abuso di psicofarmaci e tempi di lavoro, crisi e suicidi, spending nella sanità e nella scuola, caporalati”, ... Senza dimenticare le “modifiche del mercato del lavoro, il costo umano della flessibilità e della precarizzazione estrema, la caduta della solidarietà tra i lavoratori e la crescente disorganizzazione sindacale (e politica) sul territorio, l’individualismo spinto sino alla solitudine, la perdita di valore del lavoro manuale e di servizio (pensiamo alla scuola o alla sanità), i tagli nella pubblica amministrazione, i licenziamenti, la ‘fretta’ imposta dal mantenimento di commesse a basso costo ad esempio nell’edilizia o nei servizi (manutenzione, pulizia…)”. Tutti elementi apparentemente esterni che “sono entrati con prepotenza” nel dibattito intorno al rischio stress lavoro correlato e al rischio organizzativo e “ne costituiscono l’asse portante”.
A questo si aggiunge – continua la SNOP – “l’italica passione per i muri di carta, l’impreparazione e la deresponsabilizzazione di troppi datori di lavoro (pur su un tema quello ‘organizzativo’ che è il ‘cuore’ di tutto), la mancanza di partecipazione dei lavoratori (pur sostenuto nell’Accordo Europeo del 2004), il contributo defilato sulla realtà dei medici competenti , il ruolo ‘ingegneristico’ e delegato di tanti consulenti (tabelle e numeri senza vita)”.
 
E riguardo alla valutazione del rischio stress nei luoghi di lavoro la posizione della Commissione consultiva propone “solo alcuni esempi di indicatori” che “sono stati presi come oro colato e finiti nelle varie check list. Queste ultime anche le più qualificate e gettonate, sono strumenti di analisi oggettiva e come tale vanno utilizzate senza demonizzazioni, ma se non vengono individuati gruppi omogenei corretti divengono un modo soggettivo arbitrario di poche figure non rappresentative di tutto. Così come la sola soggettività ci da l’analisi del percepito ma sottostima altro dell’organizzazione. Dobbiamo correggere prima l’organizzazione e non solamente tamponare i lavoratori fragili”.
 
La nota sottolinea che il mondo del lavoro è estremamente diversificato e quindi la valutazione dei rischi psico-sociali e da stress “devono essere estremamente personalizzate e non possono non partire da un binomio oggettivo/soggettivo”.
A questo proposito per semplificare “possiamo grossolanamente parlare di 3 grandi mondi diversi che vivono fattori di stress profondamente diversi:
- “in alcuni ambiti manifatturieri e commerciali la crisi è grande: cassa integrazione, perdita del lavoro, della identità professionale, della solidarietà, diminuzione dell’orario, dello stipendio,… sono gli elementi centrali dello stress da lavoro o meglio da non lavoro;
- in altri ambiti di servizi, della pubblica amministrazione vi sono altri fattori: spending review, precarietà, demotivazione, mancanza di sostegno sociale in ambiti di importanza sociale (tipicamente nella scuola o nella sanità, nel trasporto, nei lavori di sportello...), il rapporto con utenti esasperati per mille motivi (comprese le code, i ticket, il taglio dei servizi..) la mancanza di innovazione tecnologica, le carenze di personale”...
- in ambiti manifatturieri, di servizio (pulizia, manutenzione, mense, etc), agricoltura, edilizia e commerciali che continuano ad operare malgrado la crisi dove soprattutto permangono i vecchi problemi” (illegalità, appalti al massimo ribasso, orario e carichi di lavoro, monotonia e ripetitività, ...).
 
Se “la tendenza dominante è l’enfasi su una valutazione tranquillizzante e un impegno molto minore verso miglioramenti praticabili e condivisi”, molti spunti importanti di cambiamento sono emersi da alcune situazioni innovative. Ad esempio:
- “ modifiche dei turni di lavoro tenendo conto del problema sicurezza per le donne, delle criticità familiari, a volte una maggiore flessibilità o una minore rigidità dell’orario porta a grandi miglioramenti;
- valorizzazione della formazione e delle competenze: potere dire la propria su un processo produttivo o organizzativo da una azienda produttiva ad un servizio sanitario;
- sostegno e miglioramento della comunicazione in tutti i lavori di cura, di attenzione sociale (sanità, servizi socio-sanitari, scuola, lavoro di sportello, carceri, etc);
- innovazione tecnologica, investimento in sicurezza, in ergonomia (attrezzature, sedili non solo nell’ufficio ma anche nelle casse dei supermercati o nei lavori di montaggio, sollevatori…)”.
 
Invitando ad una lettura integrale dell’intervento della SNOP, che fa riferimento a criticità delle ASL e al tentativo di promuovere un Piano nazionale sul rischio organizzativo, vengono riportati in conclusione altre esperienze positive e spunti di lavoro innovativi:
- “lo sportello RLS e lavoratori aperto in alcune ASL (soprattutto dove c’è anche una figura specialistica in psicologia) e un investimento anche usando i fondi sanzioni per aperture tardo-pomeridiane/serali;
- una forte programmazione di promozione e indagini in settori critici e importanti (ad esempio alcune ASL in Lombardia) quali sanità, scuola, grande distribuzione, banche…;
- una collaborazione diretta e con reciproca segnalazione di casi con l’area delle Direzioni del Lavoro che si occupano di applicazione dei contratti (ad esempio ASL Verona). I nostri servizi devono capire infatti la complessità dei cambiamenti e delle regole (o non regole) del mondo del lavoro e la collaborazione con chi quotidianamente si occupa di controversie e contratti è fondamentale per capire cosa è legittimo e cosa no nei rapporti di lavoro. Le maggiori criticità sono lì e questi operatori delle DTL sono un osservatorio privilegiato su crisi, mancati pagamenti, ferie non godute, orari di lavoro esorbitanti, progressioni di carriere anomale, controversie di vario tipo… eventi sentinella del rischio organizzativo;
- una collaborazione con gli altri punti del territorio dove il disagio si manifesta (sportelli sindacali, centri di igiene mentale, unità ospedaliere di medicina del lavoro, ambulatori… l’accompagnamento dei casi singoli, l’individuazione di cluster per prevenire e intervenire in situazioni critiche…).
 
 
SNOP, “ Rischio organizzativo: un tema antico da riprendere” (formato PDF, 432 kB).
 
 
 
RTM
 

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