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"Imparare dagli errori: spazi confinati, rischio chimico e azoto"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
06/03/2014 - La rubrica “ Imparare
dagli errori” si è soffermata più volte sugli incidenti e sulla prevenzione
in relazione alle attività nei
luoghi di
lavoro confinati.
Tuttavia non l’abbiamo mai fatto focalizzando
i problemi del rischio chimico a partire dalle
sostanze inquinanti, dagli agenti chimici pericolosi che in questi
spazi confinati possono essere un pericolo anche letale per i lavoratori.
Spesso l’analisi delle cause e
delle dinamiche degli incidenti in questi ambienti non solo evidenzia una
carenza di misure di prevenzione, di procedure di lavoro e di gestione delle
emergenze. Denota anche una mancanza di formazione e una
scarsa consapevolezza del rischio e dei pericoli degli agenti
chimici con cui si può entrare in contatto.
Per favorire questa
consapevolezza ci occupiamo del
rischio
chimico negli ambienti confinati con l’ausilio dei documenti messi a
disposizione dall’ ULSS 5 dell’Ovest
vicentino in relazione a una campagna
di promozione e controllo sulle misure messe in atto dai Datori di Lavoro
(DdL) a seguito dell'entrata in vigore del DPR
177/2011 relativo alla Prevenzione degli Infortuni negli Ambienti
Confinati. In particolare con l’aiuto del documento “
La valutazione e la prevenzione del rischio chimico negli ambienti
confinati: un caso storico di rischio chimico per la sicurezza” a cura di Lucio
Ros (SPISAL ULSS 9), Alberto Brocco (SPISAL ULSS 21), Celestino Piz (SPISAL
ULSS 6) e Franco Zanin (SPISAL ULSS 6).
Il documento, che elenca per ogni
sostanza o situazione di rischio chimico una casistica esemplificativa di
incidenti, indica che i rischi “nella maggior parte dei casi sono determinati
dalla presenza di un’atmosfera asfissiante, cioè incompatibile con la vita
umana, che può agire con modalità diverse incidendo sull’assunzione (anossia
anossica), sul trasporto (anossia anemica), sull’utilizzazione a livello
cellulare (anossia istotossica) dell’ossigeno”.
E in particolare l’atmosfera
asfissiante si può avere per:
- “carenza di ossigeno a seguito
del suo consumo o sostituzione;
- inalazione/assorbimento di
sostanze tossiche con conseguente intossicazione acuta”.
In questa puntata di “Imparare
dagli errori” ci occupiamo in modo particolare dei
problemi relativi all’impiego dell’azoto.
Gli incidenti
Nel
primo caso un addetto di cantina “introduce la testa nello
sportello posto inferiormente ad un’autoclave vuota che aveva contenuto vino
protetto da azoto. Rimane svenuto con il capo all’interno dell’autoclave.
Tempestivamente soccorso (con respirazione bocca a bocca) riporta effetti
reversibili”.
Nel
secondo caso “in un’azienda farmaceutica, nel corso del collaudo di
un nuovo serbatoio miscelatore viene immesso azoto gassoso, anziché aria, a
causa di un errore di etichettatura della pipe-line. In un successivo
intervento all’interno del serbatoio due addetti rimangono vittime della
carenza di ossigeno. Uno dei due era entrato per soccorrere l’altro”.
Nel
terzo caso “durante il collaudo con azoto di una tubazione in
pressione, posta all’interno di un cunicolo, l’addetto entra per verificare la
presenza di una perdita udibile, ma muore a causa dell’atmosfera
sotto-ossigenata”.
Il
quarto caso è relativo all’ingresso di un lavoratore in una “cisterna
utilizzata per il trasporto di prepolimeri in granuli in atmosfera satura di N2
presente come antiossidante. Evento mortale”.
Nel
quinto caso “un operaio, entrato all’interno di un serbatoio che
era stato lavato con azoto, sviene per la carenza
di ossigeno. Due compagni che lo soccorrono senza Apparecchio di Protezione
delle Vie Respiratorie muoiono nell’inutile tentativo di salvarlo”.
Il
sesto caso riguarda due lavoratori che per consumare il pasto al
riparo dal freddo “si introducono in un box per la conservazione delle mele in
atmosfera modificata con azoto. Muoiono entrambi per asfissia”.
Infine un
settimo caso: “in una cantina, svuotata un’autoclave con flusso
d’azoto, dopo aver lasciato passare un certo tempo ritenuto sufficiente per
l’allontanamento dell’azoto residuo, un lavoratore si introduce attraverso
l’apertura, posta a ca. 1,5 m da terra, per un’operazione di
controllo/manutenzione. Dopo qualche istante, si adagia privo di sensi sul
fondo dell’autoclave. Un collega si introduce per soccorrerlo ma rinuncia
immediatamente sentendo difficoltà di respiro. Un terzo lavoratore entra,
riesce a tirare fuori il collega ma subito dopo sviene all’interno
dell’autoclave. Altri soccorritori non riescono ad estrarlo. Si decide quindi
di immettere aria compressa vicino al volto dell’infortunato. Quando arriva il
soccorso medico viene applicata la maschera ad ossigeno al lavoratore.
Successivamente con l’intervento dei VV. F. la persona viene estratta
dall’autoclave. I tre infortunati subiscono danni reversibili”.
La sostanza
L’azoto (N2) è un “gas
incolore, inodore, non infiammabile, non reattivo, non tossico. È di gran lunga
il gas che provoca più infortuni per asfissia, non essendo né percepito il
pericolo né avvertita la presenza. La maggior parte dei casi di incidente
riportati da EIGA-Assogastecnici riguardano questo gas (14 su 22 casi totali)”.
In particolare l’azoto, contenuto
nell’atmosfera al 78%, è pesante all’incirca come l’aria e “di conseguenza non
tende né a stratificarsi verso il basso né a sfuggire verso l’alto; se è freddo
rispetto all’atmosfera ovviamente si accumula in basso”.
Inoltre un litro di azoto
liquido, “in condizioni normali di temperatura e pressione, sviluppa 680 litri
di gas. Questo comporta che in un ambiente di 10 m3 la
concentrazione di O2 si riduce al 15%”.
L’azoto viene utilizzato come “liquido
criogenico nell’industria alimentare, chimica, metallurgica”. È usato come “gas
inerte per equilibrare la pressione di altri gas sciolti in liquidi contenuti
in autoclave, come gas inerte di copertura di liquidi per impedirne
l’ossidazione atmosferica, come conservante nel confezionamento di alimenti per
evitare l’ossidazione. Utilizzato anche come gas di lavaggio di reattori,
silos, autoclavi per vino, ecc…”.
Di azoto parla anche il “ Manuale
illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi
dell’art. 3 comma 3 del dpr 177/2011” nell’allegato 6 “
Sostanze tossiche e asfissianti e incidenti tipo”. Allegato che
ricorda come, tra gli effetti del gas, ci siano: “stato d’incoscienza,
debolezza e senso di soffocamento”.
La prevenzione
Per la prevenzione rimandiamo
innanzitutto ai molti articoli di PuntoSicuro e in particolare alle diverse
puntate di “ Imparare
dagli errori” dedicate ai rischi
chimici negli spazi confinati.
Concludiamo tuttavia questa prima
puntata con un breve approfondimento del rischio di asfissia e di avvelenamento
in riferimento a quanto contenuto nel documento dell’ASL di Bergamo dal titolo “ Istruzioni
operative per lavori in ambienti confinati”.
Il “
rischio di asfissia (ovvero mancanza di ossigeno) si può avere a
causa di:
- permanenza prolungata e/o
sovraffollamento, con scarso ricambio di aria;
- reazioni chimiche di
ossidoriduzione di sostanze (ad esempio, combustione con rilascio di anidride
carbonica, di ammoniaca, di acido cianidrico, di acido solfidrico)”.
Mentre il
rischio di avvelenamento per inalazione o per contatto epidermico
può dipendere ad esempio da:
- gas, fumi o vapori velenosi
normalmente presenti (ad esempio, residui in recipienti di stoccaggio o
trasporto di gas);
- gas, fumi o vapori velenosi che
possono penetrare da ambienti circostanti (ad esempio, rilascio di monossido di
carbonio), in relazione all’evaporazione di liquidi o sublimazione;
- solidi normalmente presenti (ad
esempio, serbatoi e recipienti);
- gas, fumi o vapori velenosi che
possono improvvisamente riempire gli spazi, o rilasciarvi gas, quando agitati o
spostati (ad esempio: acido solforico, acido muriatico, zolfo solido).
Link relativo allo spazio web dell’ULSS 5 con i materiali per la prevenzione negli
ambienti confinati.
Tiziano Menduto
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