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"L’articolo 2087 del codice civile e gli obblighi del datore di lavoro"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
12/05/2014 -
Commento
È presa in esame dalla Corte di Cassazione in questa sentenza la
violazione dell’art. 2087 del codice civile riguardante l’obbligo del datore di lavoro di adottare tutte le
misure che,
secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica
dovessero risultare necessarie per tutelare la integrità fisica dei
lavoratori. Nella stessa sentenza è stato ribadito dalla Corte di
Cassazione Civile che le misure di prevenzione degli infortuni,
finalizzate ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono
dirette a tutelare i lavoratori non solo dagli incidenti legati alla sua
disattenzione ma anche da quelli dovuti alla loro imperizia, imprudenza e negligenza.
Il datore di lavoro dal canto suo, ha ribadito la Corte di Cassazione,
risponde dell’infortunio occorso ad un lavoratore dipendente non solo
quando non ha adottato le misure necessarie ma anche se non ha
provveduto a verificare che le misure stesse fossero messe in atto
indipendentemente dal comportamento dei lavoratori a meno che questi non
abbia compiuto delle abnormità e non abbia tenuto un comportamento,
rispetto alle sue mansioni, esorbitante, imprevedibile e inopinabile.
Il fatto e l’iter giudiziario
Il titolare di un’azienda
agricola essendo accaduto nella stessa un infortunio ad un suo dipendente,
deceduto mentre prestava la propria attività lavorativa per essere stato
incornato da un toro all'interno di una stalla, adiva il Tribunale chiedendo
allo stesso di accertare che l’accaduto fosse avvenuto per colpa esclusiva o,
quanto meno concorrente e prevalente, del lavoratore. Il Tribunale, in
accoglimento della domanda del titolare dell’azienda, dichiarava l'esclusiva
responsabilità del lavoratore nella causazione dell'infortunio mortale di cui
era rimasto vittima. Il giudice, infatti, ha osservato che a quest'ultimo
andava addebitata una mancanza di prudenza nell'esercizio della sua mansione,
certamente non in linea con la comune esperienza e con quella sua personale e
specifica, essendo emerso dalla incontestata ricostruzione dell'incidente che
lo stesso era accaduto per avere il lavoratore assunto una posizione, addossata
alla parete, che aveva consentito all'animale di vibrargli con la testa un
colpo violento e mortale all'addome, fatto questo che avrebbe potuto essere
evitato solo se si fosse posto, come altri e come egli stesso in precedenti
occasioni aveva fatto, alla sinistra dell'animale, sì da poter sfuggire
agevolmente ai movimenti dello stesso. Il Tribunale ha osservato altresì che,
dalle testimonianze assunte, era emerso che nell'ambito aziendale era presente
un altro tipo di impianto che avrebbe consentito, ove adoperato, di bloccare
l'animale per la testa e che soltanto per una ritenuta maggiore comodità si era
soliti ricorrere al box dove si era verificato il sinistro.
La
Corte di Appello, accogliendo il ricorso presentato dalla moglie
dell’infortunato, ha successivamente dichiarato invece che l'infortunio sul
lavoro si era verificato per esclusiva
responsabilità
del datore di lavoro condannando in solido le eredi di quest’ultimo, nelle
more deceduto, al risarcimento, in favore del'appellante, del danno biologico,
del danno non patrimoniale ed alla rifusione delle spese funerarie in ragione
di un terzo, determinando il tutto nella somma di complessivi €.93.242,68,
oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dal giorno dei decesso del
lavoratore ed al pagamento delle spese del doppio grado.
Il ricorso e le
motivazioni
Le eredi del datore di lavoro
hanno proposto
ricorso per cassazione
evidenziando che la Corte di Appello, nonostante fosse stato accertato dal
c.t.u. che il sistema utilizzato dall'azienda per eseguire l'esame
antitubercolinico sui bovini era quello generalmente adottato presso gli allevamenti
zootecnici e che, come era stato evidenziato dal primo giudice, era stato
il lavoratore a provocare l'infortunio mortale ponendosi tra l'animale ed il
muro, aveva comunque ritenuto violato l'art. 2087 c.c. per non avere il datore
di lavoro adottato tutte le misure che, secondo le particolarità del lavoro,
l'esperienza e la tecnica, risultassero necessarie per tutelare l'integrità
fisica del lavoratore, riconoscendo così alla citata norma codicistica la
natura di fonte di responsabilità oggettiva, in contrasto con i principi
affermati dalla giurisprudenza in materia. In ogni caso, hanno messo in
evidenza altresì le ricorrenti, la sentenza impugnata non aveva considerato che
la responsabilità del datore di lavoro viene comunque meno in presenza di comportamenti
abnormi o imprevedibili o di rischio elettivo, elementi che hanno
caratterizzato il caso in esame.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato
ritenuto infondato dalla Corte di
Cassazione che lo ha pertanto rigettato. Secondo la Corte suprema la sentenza
impugnata è risultata rispettosa dei principi più volte affermati in materia
dalla stessa Corte e dal giudice delle leggi secondo cui “
seppure è vero che l'art. 2087 c.c. non introduce una responsabilità
oggettiva del datore di lavoro, è altrettanto vero che, per la sua natura di
norma di chiusura del sistema di sicurezza, esso obbliga il datore di lavoro
non solo al rispetto delle particolari misure imposte da leggi e regolamenti in
materia anti infortunistica, ma anche all'adozione di tutte le altre misure che
risultino, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica,
necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratore, salvi i casi di
comportamenti o atti abnormi ed imprevedibili del lavoratore medesimo, ma non
di colpa di quest'ultimo”. “
In
sostanza”, ha così proseguito la Sez. Lavoro, “
le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro,
tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono
dirette a tutelare il lavoratore non solo
dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli
ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la
conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio
occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure
protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto
effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun
effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del
lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del
medesimo imprenditore da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri
dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, necessariamente riferiti al
procedimento lavorativo ‘tipico’ ed alle direttive ricevute, così da porsi come
causa esclusiva dell'evento”.
La suprema Corte ha altresì
messo in evidenza che nel caso in esame era stato ampiamente accertato,
attraverso le qualificate testimonianze dei veterinari presenti all'infortunio,
la c.t.u. espletata e le ulteriori circostanze da essa emerse, quali la
presenza di strutture di immobilizzazione dell'animale o di box in tubulari
metallici con aperture alle due estremità, adottate presso altri allevamenti
della zona, che l'infortunio, seppure in parte dovuto ad imprudenza del
lavoratore, poteva essere evitato adottando le medesime misure allestite in
altri allevamenti della zona, valutando inoltre che l'art. 15 del D.P.R. n.
547\55 stabilisce che lo spazio destinato al lavoratore deve essere tale da
consentire il normale movimento della persona in relazione al lavoro che essa
deve compiere. Giustamente quindi, secondo la Cassazione, la Corte territoriale,
sulla scorta di tali accertamenti e di tali considerazioni, aveva ritenuto
sussistente la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. escludendo che la
semplice imperizia o imprudenza del lavoratore fosse idonea ad escludere il
nesso causale tra il verificarsi del danno e la responsabilità
dell'imprenditore, imprudenza nella specie certamente da escludersi considerata
la dinamica dell'incidente e le ridotte dimensioni del box.
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