News
"Stress: l’importanza della valutazione e i modelli teorici"
fonte www.puntosicuro.it / Salute
03/06/2014 - In relazione all’importanza di un’adeguata formazione in materia di stress da lavoro nel mondo del lavoro, torniamo a presentare gli interventi - raccolti nel
Rapporto Istisan 12/19 e pubblicati nel 2012 - che si sono tenuti al corso di formazione “
Gestione del personale, qualità della vita di lavoro e stress lavoro-correlato” organizzato nel giugno del 2011 dal Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria (AMPP) dell’ Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Dopo aver parlato della gestione dello stress organizzativo e delle ricerche sul
work stress ci soffermiamo oggi sul alcune riflessioni sulla
valutazione del rischio stress lavoro-correlato e sui
metodi teorici correlati.
In “
Valutazione dello stress lavoro-correlato: modelli teorici e
riflessioni sulla norma vigente”, a cura di Lucilla Livigni, Andrea Magrini
e Carmela Monteleone (Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi
Tor Vergata, Roma) e Antonio Bergamaschi (Istituto di Medicina del Lavoro,
Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma), si sottolinea come la valutazione
dello stress sia diventata oltre ad un adempimento obbligatorio “anche una
preoccupazione di tante realtà lavorative, poco abituate a confrontarsi con
questo tema, per alcuni aspetti ancora ‘oscuro’ e di difficile inquadramento”.
Dopo aver proposto alcune
definizioni dello stress lavoro-correlato, ad esempio attraverso quanto
contenuto nell’ Accordo
Europeo dell’8 ottobre 2004, si sottolinea che forse è arrivato il momento
di “dare avvio a modelli di prevenzione e gestione della salute e sicurezza –
ma anche a modelli organizzativi – che si occupino davvero di ridurre al minimo
gli effetti nocivi del processo lavorativo (in fabbrica, in ufficio, per la
strada) sulle persone che lo svolgono. Questo pur alla luce della viva
consapevolezza che si tratta di un percorso in salita, con strumenti spuntati,
e con risultati sicuramente migliorabili in futuro”.
Perché è importante valutare lo stress?
Al di là dell’obbligo normativo,
gli autori sottolineano il
cambiamento
nel lavoro di oggi e nella nostra società più in generale.
Infatti il lavoro che svolgiamo
oggi “può essere definito come demograficamente eterogeneo, fluido, socialmente
intenso, vario, cognitivamente impegnativo, con forte richiesta di assunzione
di responsabilità, disponibilità alla collaborazione, capacità di integrazione
di conoscenze diverse (Bagnara e Livigni, 2009)”. E si comprende “quanto possa
essere impegnativo, se non gravoso, in alcuni momenti della nostra vita,
rispondere a tutte queste richieste lavorative”.
Senza dimenticare che
l’Osservatorio Europeo sui Rischi Lavorativi dell’Agenzia Europea ha spesso
sottolineato anche altri aspetti: “la diffusione di nuove forme contrattuali
flessibili che riducono il rapporto di lavoro ad un arco temporale breve se non
brevissimo; l’ innalzamento dell’età
anagrafica della forza lavoro che impatta sulla capacità di adattamento
alle richieste esterne; una aumentata pressione lavorativa in termini di
raggiungimenti di risultati e obiettivi; un maggiore coinvolgimento emotivo per
la continua esposizione sociale e le responsabilità di ciascuno; una evidente e
sempre più diffusa difficoltà nel conciliare esigenze lavorative e familiari”.
E se oggi il “
cambiamento” è un filo conduttore della
nostra esistenza, lavorativa e non, nel
secolo scorso “i cambiamenti del
e nell’ambito lavorativo avevano un carattere di eccezionalità e di puntualità
che ne facilitava l’adattamento”.
Sono riportati inoltre alcuni
dati sull’aumento negli ultimi dieci anni del livello di stress lavorativo in
molti paesi europei e viene sottolineato un ulteriore motivo per cui occuparsi
dello stress: i
costi.
Si stima, ad esempio, che lo
stress lavoro-correlato “è costato nel 1999 e costa tuttora, alle imprese e ai
governi dell’UE, circa 20 miliardi di Euro, derivanti dalle assenze e dai
relativi costi per la salute”.
L’intervento, che vi invitiamo a
leggere integralmente e di cui noi riportiamo solo brevi stralci, si sofferma
su alcuni dei più importanti
modelli di
studio sullo stress lavorativo:
-
modello di Karasek: “uno dei primi, nonché uno dei più accreditati
modelli sullo stress
lavoro-correlato”, meglio conosciuto come “modello domanda/controllo”
(Karasek, 1979). “In base a tale modello lo stress lavorativo è la risultante
dell’interazione tra la richiesta lavorativa (job demand) e la libertà
decisionale (job control). Con l’espressione richiesta lavorativa si fa
riferimento a carichi e ritmi di lavoro, ovvero agli aspetti che richiedono un
certo sforzo fisico o psichico, mentre con l’espressione libertà decisionale si
indica la possibilità dell’individuo di gestire la domanda, distinta in
discrezionalità (skilldiscretion) e in autonomia di decisione (decision
authority)”;
-
modello di Cooper: “prende in considerazione sia variabili
squisitamente organizzative che caratteristiche individuali”. La complessità
del modello “lo rende fra i più attuali soprattutto alla luce delle nuove
modalità lavorative di oggi. In tale modello (Cooper e Marshall, 1976; Cooper e
Marshall, 1978; Sutherland e Cooper, 1988), le fonti di stress si presentano in
termini di pressioni derivate dall’ambiente, le quali possono essere suddivise
in cinque macro-categorie: le fonti intrinseche al lavoro, il ruolo
dell’organizzazione, lo sviluppo di carriera, le relazioni di lavoro, la
struttura e il clima organizzativo”;
-
modello teorico proposto dal NIOSH: come per il modello di Cooper
“riconosce l’importanza dell’interazione di variabili individuali e di
variabili contestuali. Il NIOSH definisce lo stress lavorocorrelato come una
“reazione fisica ed emotiva dannosa che si verifica quando le richieste del
lavoro non corrispondono alle capacità, alle risorse e ai bisogni del
lavoratore.
Spesso il concetto di stress
viene confuso con quello di sfida, ma a differenza della sfida che può motivare
il lavoratore ad acquisire nuove capacità nonché fornirgli energia dal punto di
vista fisico e psichico, lo stress può causare un impoverimento o un danno alla
salute”;
- modello interpretativo sullo
stress lavoro-correlato “proviene dalla riflessione del Nord Europa e introduce
l’interessante costrutto della
giustizia
organizzativa. In particolare, i Paesi Scandinavi sono stati i pionieri di
ricerche sulla giustizia organizzativa nonché i primi ad individuare possibili
associazioni tra quest’ultima e variabili organizzative. Studi recenti hanno
individuato quattro modi di percepire la giustizia organizzativa, in
riferimento all’allocazione degli
outcome
lavorativi (giustizia distributiva), in termini di correttezza dei processi
(giustizia procedurale), in riferimento alle relazioni interpersonali
(giustizia interazionale) e infine in termini di informazioni condivise
(giustizia informativa) (Colquitt, 2001). Ricerche mostrano come la giustizia
organizzativa sia positivamente associata al benessere organizzativo e in
particolar modo al
commitment, alla
soddisfazione e alla cittadinanza organizzativa. Altre ricerche suggeriscono
come, laddove manchi la percezione di giustizia organizzativa, si verifichino
conseguenze negative come turnver, burnout, assenteismo e comportamenti contro
produttivi”;
-
modello
management standards adottato dall’HSE (il cui questionario è stato
validato in Italia su 6.000 lavoratori di aziende afferenti a differenti
settori produttivi): “è molto interessante perché si basa su principi
supportati dalla letteratura scientifica in piena linea con l’Accordo Europeo
del 2004, e fornisce una guida per la valutazione
del rischio stress lavoro-correlato. Il modello individua sei fattori di
rischio stress lavoro-correlato: la domanda, il controllo, il supporto, le
relazioni, il ruolo e il cambiamento”.
Dopo questa presentazione di
modelli teorici di valutazione, veniamo infine ad alcune
conclusioni.
Gli autori non solo ricordano che
è condivisa “la difficoltà di definire in modo univoco lo stress
lavoro-correlato e di eleggere una unica metodologia di analisi come la
migliore attuabile”, ma sottolineano che sempre più spesso tale obbligo ricade
sulle spalle di un datore di lavoro “che si trova con fatica a far quadrare i
bilanci di realtà produttive, spesso piccole e piccolissime, che a mala pena
riescono a sopravvivere”. E dunque il rischio che si corre “è che da un lato la valutazione
dello stress lavorativo si riduca ad un ennesimo (e alquanto semplicistico)
adempimento normativo, dall’altro che sia strumentalizzata per portare avanti
rivendicazioni da parte dei lavoratori che non possono trovare la loro
gestione, né tanto meno risoluzione, in un documento di valutazione dei
rischi”.
E probabilmente l’approccio più
strategico a tale materia “potrebbe essere quello di sperimentare, con onestà
intellettuale e metodologica, percorsi e strumenti ancora imperfetti, nella
convinzione che solo la ricerca, la sperimentazione e l’applicazione
riusciranno davvero a migliorarli”. In fondo la valutazione
dello stress lavoro-correlato può rappresentare una
reale opportunità di miglioramento delle caratteristiche e condizioni
di lavoro “proprio alla luce del collasso del sistema economico e
lavorativo, ma anche sociale, in cui ci troviamo”.
Provare a “misurare” lo stress e
intervenire in ottica migliorativa – concludono – può essere “un modo per
recuperare una vocazione d’impresa, che
non si esaurisca solo nell’indice dei profitti, ma che si compia in un
orizzonte più vasto e più nobile che qualche imprenditore, definito utopista e
illuminato, aveva osato intravedere anni e anni or sono”.
Istituto Superiore di Sanità, “ Rapporto ISTISAN 12/19 – atti del corso “Gestione del
personale, qualità della vita di lavoro e stress lavoro-correlato”, a cura
di Felice Paolo Arcuri (Società di Studi Socio-economici e Organizzativi S3
Opus, Roma) e Silvana Caciolli (Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione
Primaria, Istituto Superiore di Sanità, Roma), Roma, 20-22 giugno 2011 (formato
PDF, 1.96 MB).
Tiziano Menduto
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1366 volte.
Pubblicità