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"Storie di infortunio: l’ultimo giro di giostra"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
17/06/2014 -
Il Centro regionale di Documentazione per la
Promozione della Salute della Regione Piemonte ( Dors) raccoglie storie d'infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi
PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la
convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione
indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione. In questa
storia, dal titolo “L’ultimo giro di giostra” (a cura di Giampiero Bondonno,
Savina Fariello Servizio Pre.S.A.L. della Asl BI), un lavoratore viene
ritrovato esamine sulla sommità di un carro semovente automatico, schiacciato
tra il carro e una trave in cemento armato della volta del magazzino.
Che cosa
Un manutentore che si occupa di
installazione di impianti per magazzini automatizzati viene ritrovato esamine
sulla sommità di un carro semovente automatico, schiacciato tra il carro e una
trave in cemento armato della volta del magazzino. Il lavoratore stava
svolgendo delle operazioni di manutenzione
all’interno di un magazzino automatizzato in un’azienda tessile.
Chi
Giuseppe era un lavoratore
italiano di 41 anni con esperienza pluriennale nel campo della manutenzione di
magazzini automatizzati. Circa sei anni prima aveva lavorato all’installazione
dello stesso magazzino come dipendente della ditta costruttrice. Nonostante la
chiusura della ditta, aveva continuato a occuparsi della manutenzione dei
magazzini automatizzati presenti sul territorio italiano per conto della ditta
che era subentrata alla ditta costruttrice.
Dove e quando
L’infortunio mortale è avvenuto
in Piemonte nel febbraio 2008 all’interno di un capannone industriale di
un’azienda tessile. In un locale seminterrato è installato un magazzino
automatizzato denominato “impianto magazzinaggio e smistamento pezze”.
L’impianto è installato nel
magazzino a pianta rettangolare, costituito da tre lunghi corridoi paralleli
ove sono collocate le scaffalature per il deposito delle pezze di tessuto e da
altri tre corridoi trasversali ai primi.
Esiste poi un quarto corridoio,
parallelo ai primi tre e non interconnesso con gli altri, lungo il quale si
muove un carrello a percorso fisso.
All’interno dell’impianto operano
tre carri semoventi tipo AGV (Automatic Guided Vehicles) alimentati
elettricamente da una batteria ricaricabile sistemata a bordo. Una centralina
gestita dal software dell’impianto produce il segnale elettromagnetico che
guida i tre carri tramite un conduttore annegato nel pavimento di cemento; in
questo modo i tre carri AGV si possono muovere liberamente all’interno del
magazzino.
Questi tre carri svolgono la
funzione di “magazzinieri”, prelevando le pezze depositate nei contenitori di arrivo
in magazzino mediante il carrello a percorso fisso, e provvedono a depositarle
sugli scaffali del magazzino. Svolgono poi l’operazione contraria quando le
pezze devono essere prelevate per la spedizione ai clienti.
È importante sottolineare che il
personale dell’azienda tessile inserisce via terminale nel software
dell’impianto le richieste sia di immagazzinaggio, sia di prelevamento delle
pezze. Pertanto, il personale non può né determinare quale carro realizzerà
materialmente l’ordine impartito, né vedere i movimenti dei carri.
Il responsabile del magazzino (un preposto
dell’azienda tessile) aveva contattato la ditta per la quale Giuseppe lavorava
perché si era verificato un malfunzionamento nelle operazioni di carico e
scarico delle pezze. Uno dei tre carri semoventi automatici senza conducente
installati all’interno del magazzino non funzionava poiché non riceveva il
segnale a radiofrequenza utilizzato per la trasmissione dei dati operativi.
Come
Quella mattina Giuseppe è
arrivato presso lo stabilimento tessile alle 6:30 (dall’analisi della scheda
d’intervento che ha compilato) ed è andato subito nel magazzino per eseguire
l’intervento di manutenzione richiesta. Gli altri lavoratori dell’azienda
tessile hanno visto e incontrato Giuseppe, intento alle sue faccende, sia in
magazzino che in altre zone dello stabilimento fin verso le dieci e mezza,
dieci e quarantacinque. Dopo quell’ora nessuno l’ho ha più visto sino a quando
il preposto dell’impianto lo ha trovato schiacciato tra una trave ribassata del
soffitto e la parte superiore del carro semovente.
“Ero sceso per avvertire Giuseppe
che il suo responsabile non riusciva a contattarlo al telefonino. Erano circa
le 11:30 e ho notato il carro numero 1 fermo nel mezzo del magazzino. Appena mi
sono avvicinato ho visto Giuseppe schiacciato tra il soffitto e il carro e ho
chiamato i miei colleghi per tentare di liberarlo”.
Il corpo di Giuseppe era sulla
sommità della cabina elettrica/elettronica del carro AGV identificato con il
numero 1. Il carro si trovava in uno dei corridoi trasversali del magazzino,
per la precisione il secondo partendo dalla zona di accesso al magazzino.
Questi corridoi sono percorsi dai carri AGV per collegarsi con i corridoi più
lunghi dove sono collocati gli scaffali di deposito delle pezze. Nello
specifico il carro era fermo nello spazio tra due corridoi lunghi, come se
stesse andando da uno di questi verso un altro.
Al momento del sopralluogo il
carro numero 1 era fermo, in condizione di allarme, con il corpo di Giuseppe
incastrato tra i montanti metallici della cabina e una trave ribassata in
cemento armato, sporgente dal piano di soffitto del magazzino. La distanza tra
la sommità della struttura del carro e la trave era di circa 20 cm.
Sotto il corpo di Giuseppe si
intravedeva un’attrezzatura di lavoro e dei fili elettrici che andavano a una
scheda elettronica del carro. Il riparo in lamiera del quadro elettronico di
bordo macchina del carro non era inserito nella sua sede ma si trovava in una
zona del magazzino, come se fosse stato tolto per poter lavorare sul quadro.
Dopo che i Vigili del Fuoco hanno
liberato il corpo di Giuseppe, si è constatato che la strumentazione nascosta
dal corpo era un oscilloscopio portatile di proprietà della ditta di
manutenzione e usato da Giuseppe e che i cavi collegavano l’oscilloscopio a una
scheda elettronica del carro.
Perché
Giuseppe aveva terminato le
operazioni di manutenzione e dopo aver compilato la scheda d’intervento, si
accingeva a lasciare il magazzino. Probabilmente si è accorto di aver
dimenticato l’oscilloscopio portatile sulla parte superiore del carro AGV n. 1
e, per andare a riprenderlo, è entrato nell’area segregata e pericolosa
dell’impianto con il magazzino funzionante in modalità automatica.
Giuseppe si è diretto verso il
carro AGV n. 1 che era fermo in attesa di missioni nel primo corridoio nella
zona di sinistra del magazzino ed è salito sulla parte posteriore del carro.
Non ha utilizzato la scaletta in dotazione che avrebbe interrotto il
funzionamento in automatico del carro, ma si è arrampicato appoggiando i piedi
sulla cornice inferiore del quadro elettrico e aiutandosi con la scaffalatura
posta alla sua sinistra. In quel momento il carro era fermo nella posizione A
della planimetria allegata.
Poiché l’impianto funzionava in
automatico è probabile che il carro AGV n. 1 abbia ricevuto una missione e si
sia messo in movimento dirigendosi verso la prima rotatoria, identificata con B
in planimetria, cogliendo di sorpresa l’infortunato e costringendolo ad
aspettare il successivo arresto per scendere.
Secondo la ricostruzione
effettuata esaminando i tracciati informatici, il carro si è diretto, verso la
prima rotatoria con Giuseppe bloccato a un’altezza di circa 1,40 – 1,50 m dal
suolo, ha effettuato una rotazione sul suo asse di 90° e si è immesso nel
corridoio centrale, dirigendosi verso la seconda rotatoria. Dopo aver percorso
pochi metri nel corridoio centrale, il carro doveva passare sotto una trave
ribassata, con una distanza di circa 20 cm dal limite superiore di ingombro del
carro AGV n. 1. Giuseppe, non potendo vedere in quanto di spalle rispetto al
senso di marcia, ha urtato la trave con la schiena e, piegandosi in avanti, si
è incuneato tra la sommità del carro e la trave, rimanendo schiacciato. A causa
dello sforzo, il carro è slittato verso destra e ha perso il segnale della
traccia annegata nel pavimento, fermandosi nella posizione C.
Il corpo di Giuseppe è rimasto
incuneato e bloccato nella posizione D dove è morto.
Cosa si è appreso dall’inchiesta
Giuseppe è potuto entrare nella
zona pericolosa con i tre carri AGV operanti in modalità automatica, in quanto
il magazzino era completamente difforme, per quanto riguarda la sicurezza degli
operatori, a quanto specificato nel manuale d’uso e manutenzione.
Infatti, esistevano molte
elusioni e bypass delle sicurezze che permettevano l’ingresso, la sosta e il
transito in tutte le aree definite pericolose (e quindi obbligatoriamente da
proteggere e segregare) dal manuale d’uso e manutenzione dell’impianto.
La verifica dell’impianto ha
permesso di evidenziare diverse mancanze, elusioni e violazioni delle norme di
sicurezza e, in particolare:
·
l’unica fotocellula posta a protezione
dell’ingresso pedonale della zona magazzino era danneggiata e non funzionava.
Si poteva quindi entrare in qualsiasi momento nella zona pericolosa del
magazzino, senza che i carri AGV interrompessero il movimento in automatico.
Per non interrompere il funzionamento del magazzino la fotocellula danneggiata
era inoltre elusa come specificato di seguito;
·
la centralina di sicurezza posta nel quadro
principale dell’impianto era manomessa mediante un collegamento, in gergo
“cavallottamento”, realizzato con due fili elettrici. In questo modo l’impianto
di magazzinaggio funzionava in qualsiasi modalità operativa (automatico e
manuale) ed era inibita la protezione perimetrale rappresentata dalla
fotocellula danneggiata indicata sopra. L’elusione della fotocellula,
permetteva l’accesso dei lavoratori all’interno dell’area con i carri in
movimento con il conseguente rischio di investimento. Era così preclusa
l’attuazione delle procedure di sicurezza, previste nel manuale d’uso e
manutenzione dell’impianto, relative all’ingresso sicuro (a carri fermi)
all’interno dell’area pericolosa;
·
nel magazzino erano stati installati due quadri
elettrici per l’alimentazione e la gestione operativa dell’impianto. Il quadro
principale, nella zona d’ingresso del magazzino, serviva per accendere e
spegnere l’impianto, consentendo l’accesso in sicurezza nelle aree pericolose.
Il secondo quadro, derivazione del principale, si trovava all’interno dell’area
pericolosa del magazzino. Dalle indagini svolte si è accertato che il quadro
principale non era utilizzato e tutta la gestione del magazzino era effettuata
impiegando il quadro secondario. I lavoratori non avevano alcuna possibilità di
operare in condizioni di sicurezza in quanto i collegamenti tra i due quadri
elettrici erano elusi o mancanti e quindi tutte le sicurezze che, secondo
il progetto dell’impianto, dovevano essere gestite dal quadro principale non
erano utilizzabili. In questo modo l’intero magazzino era privo di qualsiasi
tutela nei confronti dei lavoratori, consentendo l’accesso nelle zone
pericolose con l’impianto funzionante.
È verosimile che l’impianto abbia
funzionato senza le sicurezze previste dal costruttore fin dalla sua
installazione. Infatti, le manomissioni e le esclusioni effettuate
sull’impianto erano complesse e probabilmente sono state realizzate da persone
specializzate e non dai manutentori dell’azienda utilizzatrice.
La pericolosità dell’impianto è
stata sottovalutata ignorando le possibili casistiche d’infortunio. È probabile
che la ditta utilizzatrice abbia valutato solamente le attività attuate dai
propri dipendenti all’interno del magazzino trascurando gli interventi di
manutenzione che si sarebbero svolti. A sostegno di questa tesi si evidenzia
che erano stati installati sui carri AGV dei dispositivi supplementari di
sicurezza a “costa sensibile”, in grado cioè di bloccare immediatamente il
carro in movimento, se urtati dal lavoratore in transito. Dispositivi che, se
l’impianto fosse stato installato secondo progetto, erano ridondati con le
sicurezze perimetrali ma nel caso specifico rappresentavano l’unica sicurezza,
contro il rischio di investimento per i lavoratori del magazzino. Non sono
stati considerati i rischi per i manutentori dell’impianto, (ad esempio
cesoiamento, schiacciamento, ecc…) nel caso di accesso all’area pericolosa del
magazzino.
Infine, nelle procedure di
manutenzione, non erano state considerate le relazioni tra i diversi operatori
dell’impianto e le relative responsabilità. In particolare, si è lasciato
Giuseppe in solitudine all’interno del magazzino non preoccupandosi di
interrompere il ciclo lavorativo, ossia le richieste inviate dal personale
della ditta tessile al software dell’impianto, creando involontariamente la
situazione di pericolo che ha causato l’infortunio
Indicazioni per la prevenzione
Se si fossero rispettate
pienamente le misure di prevenzione progettate dal costruttore, l’impianto
sarebbe risultato sicuro per i lavoratori.
La valutazione del rischio da
parte dall’azienda che installa un impianto nel proprio stabilimento, deve
prendere in considerazione i rischi sia per i propri dipendenti sia per chi si
occupa della manutenzione dell’attrezzatura.
Le indicazioni per la prevenzione
emerse da questo infortunio raccomandano di valutare l’impianto considerando il
suo effettivo utilizzo in azienda e i rischi a esso correlati. In particolare,
occorre tenere in considerazione gli usi previsti e imprevisti, nonché le attività
di manutenzione necessarie per il mantenimento dell’impianto in condizioni di
sicurezza.
È necessario, inoltre, stilare
una procedura per gestire le operazioni di manutenzione che preveda che nessuno
possa intervenire da solo sull’impianto e che l’impianto, durante il permanere
delle persone nell’area pericolosa, sia completamente non operativo.
Come è andata a finire
“A distanza di alcuni mesi, sono
andato a verificare se le sicurezze progettuali dell’impianto fossero ancora
funzionanti come avevamo prescritto. Il magazzino era in uso
e le sicurezze idonee ed
utilizzate. Bastava veramente poco per impedire una tragedia…”.
Fonte: Dors.
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