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"La non responsabilità del DdL per infortunio occorso al lavoratore "
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
15/09/2014 -
Commento a cura di Gerardo Porreca.
E’ interessante questa sentenza della Corte
di Cassazione in quanto, ribaltando le decisioni assunte dai giudici di merito,
ha annullata la sentenza di condanna emanata dagli stessi nei confronti
dell’amministratore di una società, ritenuto responsabile dell’infortunio
occorso ad un lavoratore dipendente, allineandosi così con quelli che sono gli
indirizzi forniti dal legislatore con il D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 il quale ha
previsto nella organizzazione del sistema sicurezza sul lavoro di una azienda,
specie per quelle di grosse dimensioni, uno scalettamento di mansioni,
incarichi e responsabilità che, a partire dal datore di lavoro, deve estendersi
alle figure intermedie quali il dirigente, il preposto, i capi settore ecc.
fino ad arrivare al lavoratore stesso che dalle norme in materia di salute e di
sicurezza sul lavoro è ritenuto figura attiva nella prevenzione e nella
realizzazione delle misure di salute e di sicurezza.
L’amministratore e il legale rappresentante
di una società, ha affermato infatti la suprema Corte, specie se la stessa è di
ampie dimensioni, non può essere, solo perché riveste tale carica, ritenuto
automaticamente penalmente responsabile, perché se così fosse si verterebbe in
una inammissibile ipotesi di responsabilità oggettiva, di ogni violazione degli
obblighi antinfortunistici, comunque determinatasi, se per l’assolvimento degli
stessi, per il rispetto delle cautele e delle misure, pur previamente
approntate, in relazione alla attività svolta nel caso concreto, abbia
specificatamente investito dei preposti che
sono perciò tenuti a far osservare le regole di condotta all’uopo imposte.
Il
fatto
Il Tribunale ha dichiarato il legale
responsabile di una società cooperativa colpevole del delitto p. e p. dall'art.
590, secondo e terzo comma, cod. pen. per avere cagionato, per colpa generica e
specifica, consistita nella violazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni sul lavoro, delle lesioni personali gravi ad un dipendente della
società medesima e lo ha condannato, concesse le attenuanti generiche, ritenute
prevalenti sulla contestata aggravante, alla pena (sospesa) di giorni 15 di
reclusione. Secondo la ricostruzione del fatto che si legge in sentenza il
lavoratore, recatosi in un reparto diverso da quello al quale era addetto per
prendere documenti che gli servivano per effettuare un inventario, aveva ivi
notato che sul nastro trasportatore si erano bloccate delle casse e, allo scopo
di far andare avanti la produzione e anche per un gesto di gentilezza nei
confronti di un’operaia del reparto che doveva altrimenti provvedervi, era
salito su di una scala che era legata alla parete in modo tale da impedire che
fosse aperta a forbice e nello scendere dalla stessa però scivolava e cadeva a
terra, sia pure in posizione verticale, procurandosi le lesioni riportate.
Al datore di lavoro si rimproverava la
violazione dell'art. 35, comma 4, lett. a) del D. Lgs. n. 626/1994, per non
avere preso le misure necessarie affinché l'attrezzatura di lavoro fosse
installata in conformità alle istruzioni del fabbricante e
utilizzata correttamente e per avere consentito in particolare che la scala a
forbice, dell'altezza di 3,20 m, rimanesse fissata alla parete con una catena
al fine di evitarne lo scivolamento, laddove essa avrebbe dovuto essere invece
usata solo una volta che fosse stata completamente aperta e con i quattro
appoggi a contatto con il suolo.
Secondo la Corte d'appello, che ha
confermata la sentenza di condanna, si poteva ritenere sufficientemente
dimostrato che le modalità di utilizzo della scala non erano conformi a quelle
raccomandate nel manuale d'istruzioni della casa produttrice che prevedeva
solamente un utilizzo mediante posizionamento della scala a forbice onde
consentire una maggiore stabilità all'attrezzo. Quanto al nesso di causalità
era stato rilevato dai giudici del gravame che lo scivolamento del
lavoratore infortunato, pur magari
dovuto anche ad una sua imprudenza, non si sarebbe verificato o non si sarebbe
verificato con le stesse conseguenze dannose se la scala fosse stata appoggiata
correttamente e stabilmente a forbice con i quattro appoggi tutti fissati al
suolo, in quanto, in tal caso, del tutto verosimilmente il lavoratore avrebbe
avuto la possibilità di reggersi o appigliarsi ad un sostegno fisso, oltre che
al muro che, in tal caso, avrebbe fiancheggiato, per così dire, la scala
stessa, una volta correttamente appoggiata con le due parti dì fianco al muro
medesimo.
Gli stessi giudici della Corte territoriale
avevano osservato, altresì, che la manovra fatta nell'occasione dalla persona
offesa, pur non rientrando nelle mansioni proprie del lavoratore, non si poteva
considerare una manovra del tutto anomala ed eccezionale in quanto si versava
in un contesto sicuramente non esorbitante dal complessivo processo lavorativo
della ditta tanto più che già in passato altri avevano fatto la stessa cosa e
che sempre lo stesso lavoratore era stato già chiamato altre volte dal suo
direttore o caporeparto a compiere analoghe operazioni di manutenzione.
Per quanto sopra detto quindi non si poteva negare, secondo la Corte, la
responsabilità del legale rappresentante della società non essendo emersa una
struttura dell'azienda di tale complessità da doversi presumere l'esistenza di
una delega implicita in materia di prevenzione infortuni, né essendo
sufficiente a tal fine, in assenza di apposita delega, il mero fatto che un
altro soggetto svolgesse le funzioni di responsabile del servizio di
prevenzione e protezione.
Il
ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la decisione della Corte di Appello
l’imputato per mezzo del proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione
sulla base di alcune motivazioni dirette a contestare l'affermazione della sua
penale responsabilità. Con un primo motivo l’imputato ha denunciato in sintesi
un vizio di contraddittorietà della sentenza impugnata per avere da un lato
dato atto che l'azienda si estendeva su oltre 10.000 metri quadrati, che
occupava 1.000 operai ed era organizzata in vari reparti, affidati alla
responsabilità di capi reparto, e dall'altro ritenuto che l’organizzazione
dell’azienda non era particolarmente complessa, tale da fare, in ipotesi,
reputare come implicita una ripartizione dì funzioni e, quindi, una tacita
delega. L'organizzazione aziendale, ha sostenuto il ricorrente, non poteva non
ritenersi di per sé complessa stante anche la profonda diversità delle
lavorazioni eseguite (macellazione, selezione delle carni, caricamenti, etc.) e
che pertanto, in tale situazione, la delega al direttore di stabilimento e ai
vari preposti era necessaria, esplicita o comunque implicita nella ripartizione
delle funzioni.
Secondo l’imputato quindi averlo ritenuto
responsabile penale in riferimento ad un momentaneo uso di una scala a norma si
è risolto in buona sostanza nella prospettazione di un profilo di
responsabilità oggettiva, tanto più che si trattava di un incidente che, per le
modalità richiamate, evidenziava connotazioni di assoluta banalità e
occasionalità. Lo stesso imputato ha lamentato, altresì, che la sentenza
impugnata aveva peraltro omesso di prendere in esame la doglianza circa il
fatto che la persona offesa aveva nella circostanza eseguita un'operazione
lavorativa che non avrebbe dovuto eseguire in assenza del responsabile del
reparto, momentaneamente allontanatosi, preposto anche a rimuovere
l'inconveniente che si era verificato sulla linea di produzione. Il
responsabile legale della società ha fatto osservare inoltre nel ricorso che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di Appello e cioè che secondo il
manuale di istruzioni predisposto dalla casa costruttrice della scala il suo utilizzo
dovesse avvenire esclusivamente nella posizione di apertura a forbice, nel
documento di istruzioni dell’attrezzatura si poteva invece ricavare facilmente
che l’utilizzo della stessa poteva avvenire in entrambe le modalità e, cioè,
aperta a forbice o semplicemente appoggiata alla linea di produzione. Lo stesso
faceva notare infine che l'incidente si era verificato non per l'oscillazione
della scala ma perché l'operaio, nonostante calzasse scarpe antisdrucciolo, era
scivolato per cui la causa era da individuare in un accadimento fortuito che
avrebbe potuto verificarsi anche con la scala aperta a forbice.
Le
decisioni della Corte di Cassazione
Le motivazioni addotte dal ricorrente sono
state ritenute dalla Corte di Cassazione fondate. La suprema Corte ha tenuto a
chiarire in merito che “
l'amministratore
e legale rappresentante di una società, specie se di ampie dimensioni non può
essere, solo per tale carica rivestita, automaticamente ritenuto penalmente
responsabile (si verterebbe in una inammissibile ipotesi di responsabilità
oggettiva) di ogni violazione degli obblighi antinfortunistici, comunque
determinatasi, ove per l'assolvimento degli stessi, per il rispetto delle
cautele e delle misure, pur previamente approntate, in relazione a quella
attività svolta nel caso concreto, abbia specificamente investito dei preposti,
che sono perciò tenuti a far osservare le regole di condotta all'uopo imposte”.
“
Non può riconoscersi penale
responsabilità all'amministratore”, ha infatti proseguito la Sez IV, “
che,
avendo approntato tutte le misure richieste, abbia delegato un preposto alla
organizzazione ed all'espletamento di specifica attività, ove il preposto sia
persona tecnicamente idonea e capace, che abbia volontariamente accettato
l’incombenza, nella consapevolezza degli obblighi che vengono su di lui ad
incombere, e che sia fornita di idonei poteri determinativi e direzionali al
riguardo, e sempre che il datore di lavoro, nel più generale contesto della
posizione di garanzia che a lui fa capo, non si esima, comunque, dall'obbligo
di sorvegliare ed accertare che il preposto usi concretamente ed effettivamente
dei poteri all'uopo conferitigli, dando concreta attuazione alle disposizioni
impartite e alle misure volta a volta dovute”.
Tale obbligo di
vigilanza, ha peraltro precisato la suprema Corte, non può estendersi sino
a richiedere la continua presenza sul luogo del datore di lavoro, se amministratore
di società di notevoli dimensioni, in ognuna delle singole circostanze
episodiche in cui il lavoro viene svolto dai dipendenti. «
In tema di infortuni sul lavoro”, ha ancora ribadito la Sez, IV, “
il legale rappresentante di una società di
notevoli dimensioni non è responsabile allorché l'azienda sia stata
preventivamente suddivisa in distinti settori, rami o servizi ed a ciascuno di
questi siano stati in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, nonché
dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la completa
gestione degli affari inerenti a determinati servizi”.
La suprema Corte ha ritenuto ancora di
rammentare che l'art. 1, comma 4-bis, del D. Lgs. n. 626/1994, così come
modificato dal D. Lgs. n. 242/1996, nel disporre che “
il datore di lavoro che esercita le attività di cui ai commi 1, 2, 3 e
4 e, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, i dirigenti e i
preposti che dirigono o sovraintendono le stesse attività, sono tenuti
all'osservanza delle disposizioni del presente decreto,
comporta, secondo interpretazione
pacificamente acquisita nella giurisprudenza di questa S.C., che i
collaboratori del datore di lavoro (dirigenti e preposti), al pari di
quest'ultimo, sono da considerare, per il fatto stesso di essere inquadrati
come dirigenti e preposti e, nell'ambito delle rispettive competenze ed
attribuzioni, destinatari iure proprio dell'osservanza dei precetti
antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc”.
Nel caso in esame non si può dubitare, ha proseguito la Sez. IV, che il
comportamento doveroso la cui violazione è addebitata all’imputato e cioè
quello di assicurarsi che l'utilizzo della scala a forbice avvenisse in modo
conforme alle prescrizioni della casa produttrice, rientrasse tra i compiti
propri del preposto al singolo reparto, senza peraltro evidentemente richiedere
alcun impegno di spesa né il dispiegamento di poteri organizzativi esorbitanti
quelli che possono ritenersi impliciti nella stessa articolazione in reparti e
nel correlato organigramma.
Per quanto riguarda l’ uso
scorretto dell’attrezzatura, ha quindi concluso la suprema Corte, è
risultato inequivocabilmente acclarato in giudizio che l'evento si era determinato
in via del tutto accidentale e in forza di una dinamica che in realtà prescinde
del tutto dalla posizione della scala essendosi trattato, infatti, di un mero
scivolamento dell'operaio nel discendere dalla scala, sfortunata evenienza che
non autorizza a ritenere che sia stata anche solo occasionata o favorita dal
fatto che la stessa fosse appoggiata al muro anziché aperta a forbice.
Per i motivi sopraindicati la Sez. IV penale
della Corte di Cassazione ha quindi, ai sensi dell'art. 620 lett. l cod. proc.
pen., annullata la sentenza impugnata senza rinvio per insussistenza del fatto.
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