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"Colpa e causalità in relazione al documento di valutazione dei rischi"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza sul lavoro
24/10/2014 - La normativa
interviene con lo
strumento
sanzionatorio penale a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
in due diversi momenti. Innanzitutto in via preventiva con norme precauzionali,
oggi raccolte per lo più nel D.Lgs. 81/2008, accompagnate da specifiche sanzioni
penali. E successivamente, laddove si verifichi un evento lesivo (lesione,
morte, malattia professionale), mediante gli artt. 590 e 589 del codice penale.
Tuttavia l’intera disciplina in materia di sicurezza sul lavoro tende alla
prevenzione di tali eventi lesivi e quando questi si realizzino “perché ciò
possa essere fonte di
responsabilità
penale – a titolo di colpa – è necessario che l’evento sia conseguenza
della
violazione della regola
precauzionale, che, dunque, assolve ad una duplice funzione: preventiva e
repressiva”. E si sottolinea che nella recente normativa, preso d’atto della
difficoltà di “eliminare tout court i pericoli connessi allo svolgimento
dell’attività lavorativa, ci si è concentrati sul controllo dei fattori di
rischio, attraverso l’introduzione dell’obbligo per il datore di lavoro di
redazione del documento di valutazione
dei rischi”.
Ad introdurre in questi termini
lo strumento sanzionatorio e la
valutazione
della colpa nel mondo della sicurezza, è un intervento che si è tenuto al
convegno, organizzato dall’ Ordine degli ingegneri della Provincia di Bergamo, “ La
prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro secondo la moderna strategia di
derivazione Europea” (Bergamo, 16 novembre 2012).
In “
La valutazione della colpa e l’accertamento del rapporto di causalità in
relazione al documento di valutazione dei rischi”, a cura della Dott.ssa
Ilaria Sanesi (Giudice Tribunale Penale di Bergamo), si indica che riguardo
alla reazione che “l’ordinamento riserva alla lesione dei beni dell’integrità
fisica e della vita che le norme precauzionali intendono proteggere,
l’intervento sanzionatorio è affidato a due fattispecie di diritto comune: gli
artt.590 e 589 c.p., dedicati, rispettivamente, alle
lesioni colpose e all’
omicidio
colposo”.
A questo proposito la relatrice
ricorda che se il
nesso di causalità e
colpa “sono concettualmente e ontologicamente distinti”, nella “materia
degli infortuni sul lavoro, in cui usualmente l’illecito si configura come
reato omissivo colposo, essi si presentano, tuttavia, strettamente connessi”.
Da un punto di vista pratico l’
accertamento che il giudice penale è tenuto
a compiere nei processi per infortunio sul lavoro “può così essere scandito:
- il giudice deve, in primo
luogo, accertare la causa materiale dell’evento lesivo, indipendentemente dalla
condotta dell’uomo che può avervi dato causa (la c.d.
causalità materiale);
- in secondo luogo, il giudice è
chiamato a verificare l’interferenza umana sulla produzione dell’evento,
accertando, in particolare, se la condotta dell’imputato o degli imputati abbia
avuto un’efficacia causale sul verificarsi dell’evento (la c.d.
causalità della condotta), accertamento
che nel reato omissivo interferisce con la problematica delle posizioni
di garanzia, dovendosi considerare se l’obbligo di tenere le condotte
omesse incombesse sull’imputato o sugli imputati;
- in terzo luogo, il giudice deve
valutare se il comportamento umano, rilevante nel determinismo dell’evento
lesivo, sia stato posto in essere in violazione delle regole cautelari,
generiche o specifiche, preordinate a evitare quell’evento (che, dunque, dovrà
rappresentare la concretizzazione del rischio che le regole cautelari miravano
a scongiurare), potendo, poi, l’agente prevedere che la sua condotta omissiva
avrebbe avuto quella o analoghe conseguenze lesive (è questo il profilo della
prevedibilità dell’evento), provocate invece dalla violazione della regola
cautelare (la c.d.
causalità della colpa);
- infine, il giudice deve
verificare se l’evento non si sarebbe verificato ponendo in essere la condotta
colposamente omessa, ossia se l’evento era evitabile ove l’imputato avesse
tenuto il comportamento positivo imposto dalle norme precauzionali, ovvio
essendo che, se l’evento fosse destinato a prodursi ugualmente, anche nel caso
in cui l’agente avesse attivato tutti gli interventi richiestigli, le
conseguenze dell’omissione non potrebbero essere a lui addebitate”.
Si ricorda che nella realtà alcuni
di questi passaggi vengono in rilievo “solo in materia di causalità omissiva,
quando l’infortunio derivi dalla violazione di un comando” (ad esempio non aver
valutato un determinato rischio, non aver formato adeguatamente il lavoratore,
non averlo dotato di dispositivi di protezione individuale, non aver adottato
determinate misure di sicurezza) e “non già della violazione di un divieto” (ad
esempio “aver ordinato ai lavoratori di riprendere il lavoro in un cantiere
sospeso, aver inserito sostanze vietate nel processo produttivo”).
L’intervento, che vi invitiamo a
leggere integralmente, si sofferma poi in specifico sulla “
causalità della condotta” e sulla “
causalità della colpa”.
Riguardo a quest’ultima si
sottolinea come “non ogni violazione della regola cautelare è idonea a
configurare una responsabilità del datore di lavoro per l’evento lesivo occorso
al lavoratore, ma occorre che quell’evento rientri nel novero di quelli che la
norma cautelare mirava a evitare, che, tradotto in termini di colpa, significa
che l’evento in concreto verificatosi, per essere addebitabile al soggetto
agente, doveva essere, secondo un giudizio ex ante, prevedibile ed evitabile
mediante l’osservanza della regola precauzionale violata”. E si indica che, con
specifico riferimento al documento di valutazione dei rischi, “il rapporto di
causalità non può essere desunto unicamente dall’omessa previsione del rischio
dell’evento lesivo nel relativo documento, dovendo tale rapporto essere
accertato in concreto”.
La relatrice a questo proposito
riporta diversi esempi. Ad esempio il caso di una sentenza di annullamento
della Suprema Corte, “relativa ad un infortunio determinato dal trascinamento
del braccio dell’operatrice nei rulli in movimento di un macchinario, in cui la
sentenza impugnata si era limitata ad affermare che, se il rischio fosse stato
valutato, l’infortunio si sarebbe evitato, senza accertare altre violazioni
colpose, quali la mancata adozione di misure precauzionali atte a scongiurare
tale rischio (neppure individuate in motivazione) o la mancata formazione della
lavoratrice”.
L’intervento si sofferma poi
sulla
rilevanza delle c.d. concause e
dell’errore umano.
In particolare sotto il profilo
delle c.d.
concause, “che è quello
che maggiormente viene in rilievo nei processi in materia di infortunio sul
lavoro, dove il problema non è tanto l’individuazione del meccanismo causale
che ha determinato l’evento lesivo, quanto quello del rilievo di fattori
ulteriori (l’ errore
del lavoratore, il difetto di funzionamento del macchinario)”, l’art.41, II
co. c.p. stabilisce che le
cause
sopravvenute escludono il rapporto di causalità, quando sono state da sole
sufficienti a determinare l’evento, ossia “quando si pongono al di fuori
delle normali e prevedibili linee di sviluppo della serie eziologica
attribuibile alla condotta dell’agente, costituendo un fattore eccezionale,
che, malgrado il più alto grado di previdenza e di prudenza, non sia evitabile
con alcuna misura precauzionale”.
Dunque perché sia possibile
escludere il
nesso di causalità “non
basta sia intervenuto nella produzione dell’evento un fatto illecito altrui –
tipicamente il comportamento erroneo del lavoratore - ma occorre che il fatto
stesso abbia i caratteri di una causa eccezionale, atipica, non prevista, né
prevedibile”. In particolare la colpa del lavoratore (l’ errore
umano) “eventualmente concorrente con la violazione della normativa
antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni”, “non
esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l’esistenza del
rapporto di causalità tra la violazione e l’evento morte che ne sia seguito può
essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del
lavoratore fu abnorme e che proprio quest’abnormità fu la causa all’evento,
dovendosi intendere per abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che,
per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni
possibilità di controllo e prevenzione (tale non potendo qualificarsi il
comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque
rientrante nelle sue attribuzioni e nel segmento di lavoro attribuitogli)”.
Concludiamo la presentazione di
questo interessante intervento, riportando quanto detto dalla relatrice sulle
tipologie dei
comportamenti erronei dei
lavoratori.
Infatti di fronte ad un
comportamento erroneo da parte del lavoratore, occorre distinguere tra:
- “
errori frutto di una inadeguata formazione o istruzione, di cui il
datore di lavoro è comunque chiamato a rispondere perché sono il risultato
della violazione di un obbligo di formazione specificamente impostogli
dall’ordinamento;
-
errori di mera disattenzione, di cui il datore di lavoro è
ugualmente chiamato a rispondere laddove le conseguenze lesive si sarebbe
evitate con l’adozione di misure precauzionali, avendo il soggetto garante
l’obbligo di prevenire anche i rischi, sicuramente prevedibili, derivante da
disattenzioni e imprudenze del lavoratore (si tratta dei casi oggetto di diverse
sentenze della Corte di Cassazione. Ad esempio il caso di un lavoratore “che,
alla guida di un carrello elevatore che trasporta rottami, attraversa un
reparto, anziché passare all’esterno, ed è travolto da un carrello su binari,
in cui la responsabilità del datore di lavoro viene individuata nel non aver
dotato il carrello, che una volta spinto si muoveva per inerzia, di segnalatori
luminosi e acustici, in presenza di segnalazioni relative ai rischi connessi
alla viabilità interna al
reparto, nel non aver valutato il rischio derivante da transito dei carrelli su
binario nel documento di valutazione dei rischi e nel non aver vietato il
transito interno al reparto”);
- “
errori derivanti dalla violazione da parte del lavoratore delle regole
precauzionali espressamente stabilite dal datore di lavoro, ove si tratterà
di verificare se tali erano regole, oltre ad essere state comunicate, erano
state comprese, se il lavoratore era stato messo in condizioni di metterle in
pratica, se erano regolarmente violate con la compiacenza del datore di lavoro,
se confliggevano con altre indicazioni ricevute dal datore di lavoro (ad
esempio sulla tempistica con cui eseguire il lavoro), se potevano valere anche
in una situazione di emergenza”.
“La valutazione della colpa e l’accertamento del rapporto di
causalità in relazione al documento di valutazione dei rischi”, a cura
della Dott.ssa Ilaria Sanesi (Giudice Tribunale Penale di Bergamo), intervento al
convegno “La prevenzione Infortuni nei luoghi di lavoro secondo la moderna
strategia di derivazione Europea” pubblicato sul sito dell’Ordine degli
ingegneri della Provincia di Bergamo (formato
PDF, 45 kB).
Tiziano Menduto
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