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"La responsabilità del datore per l’uso di una scala non a norma"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
01/12/2014 -
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Il datore di
lavoro è responsabile dell’infortunio accaduto ad un lavoratore dipendente
durante l’uso di una scala non rispondente alle disposizioni di legge in
materia di salute e di sicurezza sul lavoro la quale, benché non di sua
proprietà, è risultata essere comunque disponibile per il lavoratore medesimo. E’
quanto emerge da questa recente sentenza della Corte di Cassazione. La scala in
effetti era stata lasciata nel magazzino gestito dall’azienda dal locatore
precedente e il datore di lavoro nulla aveva fatto per segnalare di non usarla o
per vietare che comunque fosse utilizzata. La Corte suprema ha individuato nell’accaduto
il nesso di causalità fra l’omissione ascritta al datore di lavoro e l’evento
infortunistico e ha giudicato non anomalo il comportamento del
lavoratore infortunato per avere usata la prima scala che ha trovata a
portata di mano senza averne cercata un’altra più sicura per assolvere alle sue
mansioni.
Il caso, l’iter giudiziario e il
ricorso in Cassazione
Il Tribunale
ha dichiarato il datore di lavoro di una società responsabile del delitto di
lesioni personali ex art. 590, commi 1°, 2° e 3° cod. pen. commesso per colpa
generica e per la violazione di specifiche norme antinfortunistiche in danno di
un lavoratore dipendente della società stessa il quale si era infortunato, riportando
ferite nella regione frontale e fratture alla gamba destra giudicate guaribili
in un tempo superiore a giorni 40, cadendo a terra dalla scala sulla quale era
salito per prelevare materiale stoccato a circa 168 cm di altezza, caduta
dovuta alla mancanza, alle estremità inferiori dei due montanti ed alle
estremità superiori della scala, del dispositivi antisdrucciolevoli nonché dei
ganci di trattenuta. Il Tribunale ha condannato, quindi, l'imputata alla pena
di giorni venti di reclusione, concesse le attenuanti generiche dichiarate
equivalenti alla contestata aggravante, nonché al risarcimento dei danni in
favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede.
La Corte d'Appello ha successivamente
confermata la pronunzia di primo grado per cui il datore di lavoro, per tramite
del difensore, ha ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della
sentenza impugnata. Lo stesso ha lamentato fra l’altro che la Corte d'Appello
avrebbe giudicato la parte offesa assolutamente credibile benché fosse stata in
realtà smentita dagli altri testi che avevano riferito, al contrario, che la
scala in questione, al momento del fatto, si trovava non all'interno ma all'esterno
del magazzino aziendale, che nessun dipendente inoltre aveva mai usato detta scala
e che la società aveva invece messo a disposizione scale idonee
e conformi alle prescrizioni antinfortunistiche, effettivamente rinvenute durante
le indagini all'interno dello stesso magazzino. L’imputata si è lamentata
altresì del diniego della richiesta della nuova escussione testimoniale del
lavoratore infortunato affinché lo stesso potesse fornire spiegazioni delle
contraddizioni in cui era incorso nelle precedenti deposizioni, al fine di
negare la propria colpa esclusiva nella produzione dell'evento.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla
Corte di Cassazione ed è stato pertanto rigettato. La sentenza della Corte
d’Appello è stata ritenuta dalla suprema Corte del tutto immune dai vizi
lamentati. Dalla istruttoria compiuta era emerso infatti che la scala in ferro,
le cui difformità dalle prescrizioni dettate dalla normativa antinfortunistica
erano risultate incontestabili, era stata trovata dall'operaio infortunatosi
appoggiata su di uno scaffale, pur non facendo parte della dotazione originaria
dell'azienda. Molto verosimilmente l'attrezzo di lavoro era stato lasciato dal
precedente locatario nel magazzino, ove la società si era di recente
trasferita. Era fuori di dubbio comunque, ha ribadito la Sez. IV, che la scala
dovesse ritenersi nella disponibilità del dipendenti della società di cui l’imputato
era legale rappresentante, pur potendo essi servirsi anche di scale a libro e
di scale
conformi alle prescrizioni di sicurezza, attesa la mancanza di espresso
divieto di servirsene tramite cartelli apposti sulla stessa che ne inibissero
l'uso.
“
La responsabilità colposa dell'imputata”, ha quindi sostenuto la
Sez. IV
, “discendeva quindi dal fatto di
non aver preventivamente controllato le obiettive condizioni della scala e di
averne consentito l'impiego nell'azienda benché non a norma anziché eliminarla,
non apparendo circostanza assolutamente imprevedibile, attesi gli evidenziati
riscontri fattuali, che i dipendenti ne potessero occasionalmente far uso”.
“
Né era possibile escludersi”, ha
quindi proseguito la suprema Corte, “
il
nesso di causalità tra le omissioni ascritte all'imputata e l'evento. Il fatto
che l'operaio infortunatosi, pur risalendo al medesimo una condotta imprudente
ed avventata (che comunque il datore di lavoro è tenuto a scongiurare in
ottemperanza alle norme dì prevenzione antinfortunistica), avesse usato la
prima scala esistente a portata di mano senza averne cercata un'altra più
sicura per assolvere alle proprie mansioni, non integrava un comportamento
anomalo od imprevedibile od ontologicamente avulso dalle incombenze allo stesso
demandate nell'azienda”.
Per quanto riguarda,
infine, la doglianza legata al rifiuto da parte della Corte di Appello di
riascoltare il lavoratore, la suprema Corte ha concluso mettendo in evidenza che
i Giudici di seconda istanza avevano ribadita l'assoluta non necessità di
procedere alla nuova escussione testimoniale della parte offesa la cui
deposizione già resa era stata ritenuta del tutto attendibile.
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