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"Il datore di lavoro di diritto e il datore di lavoro di fatto"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
12/01/2015 -
Commento a cura di Gerardo Porreca.
È un chiaro
richiamo all’applicazione dell’art. 299 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 quello
che emerge da questa sentenza della Corte di Cassazione la quale si è
espressa in merito ad un ricorso presentato da due coniugi, l’una, la
moglie, nella qualità di
rappresentante legale di una società e l’altro, il marito, quale
dirigente di un cantiere edile presso
il quale era accaduto un infortunio sul lavoro ad un dipendente della
società medesima verificatosi per non avere rispettato le norme di
sicurezza sul lavoro. L’individuazione dei destinatari degli obblighi
imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha
sostenuto la suprema Corte nella sentenza, deve fondarsi non già sulla
qualifica rivestita dai soggetti interessati bensì sulle funzioni in
concreto dagli stessi esercitate che comunque
prevalgono sulle funzioni formali.
Sostanzialmente nella circostanza la responsabile legale della società,
in applicazione del citato articolo 299 del D. Lgs. n. 81/2008 e
s.m.i., è stata individuata quale datore di lavoro ex lege di diritto ed
il coniuge quale datore di lavoro di fatto essendo emerso dagli atti che questi effettivamente ed in concreto provvedeva a dirigere i lavori in cantiere.
Il fatto e il ricorso in cassazione
La Corte di appello ha confermata una sentenza con la quale
il Tribunale ha ritenuti la rappresentante legale di una ditta, quale datore di
lavoro, e il responsabile della sicurezza della ditta medesima colpevoli del
reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa
antinfortunistica in danno di un lavoratore dipendente dell’impresa stessa e,
concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata
aggravante, li ha condannati alla pena di due anni e sei mesi di reclusione.
Dal capo di imputazione e dalla sentenza impugnata è emerso che il giorno
del'infortunio, mentre il lavoratore si trovava a livello del sesto piano a
smontare i singoli elementi metallici di un ponteggio per poi rimontarli in
un’altra parte del cantiere e con la mano destra cercava di afferrare il braccio
della carrucola, distante circa 70 cm, che doveva trasportare l'elemento al
piano terra, si sporgeva troppo, e, perso l'equilibrio, precipitava al suolo da
un'altezza di circa 14 metri, decedendo quasi nella immediatezza.
Ad entrambi
gli imputati, marito e moglie, veniva contestato di avere
omesso di vigilare e di pretendere che il lavoratore utilizzasse i
presidi antinfortunistici, in particolare la cintura
di sicurezza con bretelle collegate alla fune di trattenuta. Entrambi gli
imputati, tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per
cassazione. L’imputata., a propria difesa, ha sostenuto che i giudici di merito
non avevano tenuto conto del suo legittimo affidamento sulla condotta del
marito coimputato, responsabile della sicurezza e gestore effettivo
dell'impresa, ai sensi dell’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008 con il quale è
stato codificato il principio
di effettività in base al quale occorre fare riferimento alle mansioni
svolte in concreto e non alla qualificazione astratta del rapporto.
Il coimputato
da parte sua ha impostata la propria difesa su diversi motivi; con il primo dei
quali ha lamentata la contraddittorietà della motivazione laddove la Corte di
merito gli aveva attribuito la qualità di dirigente di fatto che lo stesso
avrebbe assunto mantenendo una autonomia decisionale e gestionale inerente
all'attività della ditta, mentre lo stesso ricopriva invece, il ruolo di responsabile
del servizio
di prevenzione e di addetto, come impiegato tecnico, alle funzioni di
raccordo tra la società ed i lavoratori. Lo stesso ha contestata la motivazione che aveva individuato un suo
profilo di colpa nella omessa formazione ed informazione del lavoratore senza
consentire l'escussione del teste a difesa sul punto, e di non avere fornito
allo stesso una idonea cintura di sicurezza che aveva invece utilizzata nei
giorni precedenti all'incidente. Ha messo in evidenza, altresì, il comportamento
abnorme del lavoratore infortunato che avrebbe deciso di smontare il ponteggio
verso la fine della giornata lavorativa senza aver ricevuto alcuna disposizione
in tal senso.
Le decisioni della Corte di Cassazione
I ricorsi
sono stati ritenuti dalla Corte di Cassazione infondati e quindi rigettati.
Giustamente, secondo la Sez. IV, la Corte di Appello ha affermato, con
motivazione conforme ai principi della giurisprudenza di legittimità, la
sussistenza della posizione di garanzia di entrambi gli imputati, l’una come
legale rappresentante della ditta alle cui dipendenze lavorava l’infortunato
deceduto e l’altro, coniuge della prima, come datore di lavoro di fatto,
in conformità agli elementi probatori emersi dagli atti processuali. La
motivazione, ha sostenuto la suprema Corte, è stata in linea con la
giurisprudenza della Corte stessa secondo la quale in tema di infortuni sul
lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascun
garante risulta per intero destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, fino
a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della
singola posizione di garanzia.
Nel contesto
della sicurezza del lavoro, ha precisato la Corte di Cassazione, diverse sono le posizioni di garanzia e
quindi di responsabilità collegate ai diversi rischi che si presentano in
relazione alle differenti situazioni lavorative. Certamente la prima e
fondamentale figura è quella del datore di
lavoro, il quale ha la responsabilità della organizzazione aziendale o
dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa, come
definito dall’art. 2, lett. b) del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in vigore dal
15 maggio 2008, il quale ha recepita la definizione contenuta nel precedente
assetto normativo e quella fatta propria dalla giurisprudenza.
Di rilievo,
ha precisato la Sez. IV, è l'obbligo imposto al datore di lavoro di fornire al
prestatore d'opera dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti
nell'ambiente in cui questi è destinato ad operare e sulle misure di
prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività, nonché
l'ulteriore obbligo di promuovere la cooperazione ed il coordinamento ai fini
dell'attuazione delle misure precauzionali, attraverso l'elaborazione di un
unico documento di valutazione dei rischi da allegare al contratto d'opera che
indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre
al minimo i rischi
da interferenze. In tal senso, ha proseguito la Sez. IV, il datore di
lavoro ha l’espresso obbligo di formare e di addestrare il lavoratore
all'impiego delle attrezzature e di informarlo dei rischi ai quali questi è
esposto durante il relativo uso, obbligo che gli deriva dagli artt. 36 e 37 del
citato decreto legislativo.
Di grande
interesse e rilevante nel caso in esame, ha ancora sostenuto la Sez. IV, è
l'art. 299 del citato decreto legislativo sull’
esercizio di fatto di poteri direttivi il quale contiene una delle
più importanti novità introdotte nel sistema penale. La norma prevede, infatti,
che titolari delle posizioni di garanzia individuate nell'art. 2, comma 1,
lett. b), d) ed e) debbono essere considerati anche i soggetti i quali, pur
sprovvisti di regolare investitura, esercitino in concreto i poteri giuridici
riferiti a ciascuno dei soggetti ivi menzionati. Le qualifiche richiamate
nell’art. 299 sono quelle di datore di lavoro,
dirigente e preposto, già nominate senza però essere bene delineate nel D.P.R.
n. 547/1955 oggi abrogato, che incarnano distinte funzioni e distinti livelli
di responsabilità. La Corte ha sottolineato in merito che la previsione di cui
al citato art. 299 ha natura meramente ricognitiva del principio di diritto
affermato dalle Sezioni Unite e consolidato, secondo il quale “
l'individuazione
dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli
infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì
sulle funzioni in concreto esercitate
, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto,
ossia alla sua funzione formale”.
Alla luce di
tali principi, ha quindi concluso la suprema Corte, ed alla luce delle
significative prove acquisite in merito alla esistenza all'interno del
cantiere, ove si è verificato l'incidente, di un grave e concreto rischio
afferente l'omessa informazione dei lavoratori e l'omessa adozione da parte
degli stessi delle cinture di sicurezza sui ponteggi, è agevole arrivare alla
conclusione della indubbia responsabilità del datore di lavoro. Con riferimento
invece alla responsabilità del coimputato i giudici di merito hanno ritenuto
che lo stesso si fosse ingerito attivamente nella gestione della sicurezza del
lavoro e che la circostanza, emergente dal documento di valutazione dei rischi
che fosse anche stato nominato responsabile del servizio di prevenzione e
protezione avesse costituito una ulteriore conferma della gestione in sostanza
della impresa.
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