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"Selezione dell’idoneità tecnico-professionale di imprese e autonomi"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
04/03/2015 -
E’ sotto gli occhi di tutti che
da ben 6 anni e mezzo l’ordinamento giuridico, che esprime in tutti i modi la
volontà di voler contrastare il fenomeno degli infortuni che avvengono nell’ambito
di lavori affidati in appalto, affida i criteri
minimi di verifica dell’idoneità
tecnico-professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi
al regime “transitorio” contenuto nell’art.26 c. 1 D.Lgs.81/08, che come noto prevede,
in attesa di un emanando - e non
ancora emanato - decreto, che il datore di lavoro committente debba (limitarsi
ad) acquisire il certificato di
iscrizione alla camera di commercio e l’autocertificazione dell’impresa
appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità
tecnico professionale [1].
Quanto al decreto che si sta attendendo, ovvero il “decreto di cui all’articolo 6, comma 8,
lettera g)”, esso è chiamato a “definire criteri finalizzati alla
definizione del sistema di
qualificazionedelle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’articolo 27” e
consisterà in un “decreto del Presidente della Repubblica” che sarà emanato una
volta “acquisito il parere della Conferenza per i rapporti permanenti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”.
Un decreto, questo, che doveva essere emanato - ma qui trattasi di mero “termine
ordinatorio” [2] che
non toglie validità al futuro decreto allorché verrà/venisse emanato - “entro dodici mesi dall’entrata in vigore”
del D.Lgs.81/08 (che risale al 15 maggio 2008).
In attesa di tale decreto,
abbiamo dunque al momento un regime che affida la selezione delle imprese ai
due documenti citati. Un regime che, verrebbe quasi da dire se si volesse
essere provocatori, fa quasi rimpiangere quello precedente, che prevedeva (art.
7 del D.Lgs.626/94) che il datore di lavoro committente dovesse verificare, “
anche
attraverso l'iscrizione alla camera di commercio…”, l' idoneità
tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi…”.
E’ chiaro che quel regime
(precedente) era caratterizzato da minore tassatività, e questo poteva
rappresentare una criticità per gli operatori, come accade in tutti i casi in
cui non è il legislatore stesso a fornire un elenco esaustivo degli elementi da
tenere in considerazione o degli adempimenti da effettuare.
Tuttavia non si può non
ricordare che sulla base di quell’
“anche” - che operava un implicito
rinvio alla necessità della verifica di “qualcos’altro”… - la letteratura
scientifica aveva ragionato su quali potessero essere i documenti che
garantissero maggiormente una buona selezione dell’idoneità: si pensi alle
check list che venivano suggerite da alcune Linee Guida interregionali sul 626,
alle analogie con i criteri di selezione previsti dall’allora decreto 494 (ora
Allegato XVII del testo unico) etc., cui comunque - va detto - continuano a riferirsi
ancora oggi numerose aziende committenti che non si accontentano
dell’autocertificazione e dell’iscrizione alla CCIA, dal momento che quello
contenuto nell’art. 26 c.1 del testo unico è, giustappunto, semplicemente un
regime
“minimo”.
Vorrei fare a questo punto
alcune riflessioni sull’attuale regime sotto il profilo strettamente
normativo-giuridico.
Al di là della banale
riflessione secondo cui stiamo ancora attendendo, in termini più complessivi,
l’emanazione di decine e decine di norme secondarie previste dal testo unico
(Decreti Ministeriali, Decreti Interministeriali, D.P.C.M., D.P.R., Accordi e
Intese Stato-Regioni, Indicazioni della Commissione Consultiva etc.), alle
quali se ne sono aggiunte anche altre a seguito delle modifiche apportate al decreto
81 nel 2013 dalla Legge 98 (Legge di conversione del Decreto
Fare), norme secondarie la cui mancata emanazione fa sì che restino
“congelate” e inapplicabili (o non bene applicabili) numerose norme primarie
dell’81 stesso, ciò detto risulta importante a mio parere fissare alcuni
paletti in materia di selezione dell’idoneità tecnico-professionale delle
imprese e degli autonomi nella vigenza dell’attuale regime transitorio.
La prima riflessione prende le mosse dall’espressione
che viene usata dalla legge nella frase che precede l’elenco dei due requisiti
minimi che abbiamo visto, che afferma che “l’idoneità tecnico professionale
delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi” deve essere verificata “
in relazione ai
lavori, ai servizi e alle forniture
da affidare in appalto o mediante contratto d’opera o di somministrazione”.
La legge impone dunque che tale
verifica venga svolta non solo e non tanto in valore assoluto, ma in valore
relativo rispetto a quelli che sono i lavori, i servizi o le forniture da affidare.
Questa considerazione è a mio
parere essenziale e non è senza conseguenze nella ricostruzione del sistema.
Perché, come sottolinea la giurisprudenza più recente, la dizione
“in relazione ai lavori…” contiene una
“
precisa regola di diligenza e prudenza che il committente dei lavori
dati in appalto è tenuto a seguire e, in particolare, l’obbligo di accertarsi
che la persona alla quale affida l’incarico sia,
non solo munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, come
si evince dal riferimento, comunque non esclusivo, al certificato della Camera
di Commercio,
ma anche della capacità
tecnica e professionale
proporzionata al tipo di attività che deve
esserle commissionata
e alle concrete modalità di espletamento della
stessa.” (Cassazione Penale,
Sez. IV, 27 agosto 2014 n. 36268)
Detto in altre parole, il fatto
che l’impresa esterna sia o meno idonea
in
relazione ai lavori che le vengono affidati dal committente non è qualcosa
che, una volta che quest’ultimo abbia acquisito la documentazione minima prevista
dalla legge, riguardi solo l’impresa esterna e possa essere visto solo come un
problema dell’appaltatore, ove tale condizione sia rilevabile.
Infatti, prosegue la Cassazione
nella sentenza del 2014 richiamata sopra, l’art. 26
“svolge funzione integrativa del precetto penale che sanziona il reato
di lesioni colpose ponendo a carico del
committente
l’obbligo di garantire
che anche
l’impresa appaltatrice che svolge attività nella sua azienda
si attenga a misure di prevenzione della
cui inosservanza lo stesso committente sarà chiamato a rispondere,
ove fosse
in grado di percepirne l’inadeguatezza.”
Vorrei essere chiara su un punto.
Il richiamo al fatto che l’obbligo
di verifica del committente include anche la necessità di valutare se la
capacità tecnica dell’impresa o dell’autonomo sia proporzionata al tipo di
attività da appaltare, non è ispirato alla volontà di neutralizzare il regime
di “tassatività” introdotto nel 2008 dal legislatore introducendo spazi per
interpretazioni che non tengano conto di tale tassatività, in quanto nessuno
vuole mettere in discussione che il regime minimo previsto dalla legge
costituisce al momento il presupposto minimo di legittimità nell’affidamento di
un appalto in termini di verifica dei requisiti di idoneità.
Come chiarito infatti anche dalla
Commissione Interpelli con la risposta a
Interpello
n. 3 del 13 marzo 2014, “la Commissione ritiene che, per il rispetto
degli adempimenti previsti dal comma 1 dell’art. 26 del D.Lgs.n.81/2008,
l’acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio,
industria e artigianato e dell’autocertificazione dell’impresa appaltatrice o
dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico
professionale, sono elementi sufficienti a soddisfare la valutazione
dell’idoneità tecnico professionale.”
Al contrario, il richiamo all’ampiezza
dell’obbligo del committente, che - come si diceva - comprende anche l’obbligo
di valutare se l’appaltatore possegga l’idoneità tecnico professionale in
relazione ai lavori da effettuare, è
semplicemente il richiamo ad un obbligo cogente (e in vigore dal 1994), ad un
criterio che
è già presente nella
normativa - peraltro in una norma penalmente sanzionata -
allorché essa impone una verifica
dell’idoneità
“in relazione ai lavori,
servizi…da affidare”.
E questo richiamo è, al contempo,
un invito - laddove ritenuto possibile ed opportuno dal committente - a
verificare anche elementi ulteriori rispetto a quelli previsti dal regime
minimo, la verifica dei quali permette peraltro al committente di poter “far
valere” a quel punto l’area dei rischi specifici dell’appaltatore come un’area
che configura rischi che sono propri di quest’ultimo in quanto soggetto dotato
di un’organizzazione di mezzi, di risorse umane e materiali, di competenza,
capacità, specializzazione etc. (art. 26 comma 3 quarto periodo [3]).
Il che ci porta alla seconda e
ultima riflessione.
Un’analisi della giurisprudenza
sul tema della verifica
dell’idoneità tecnico-professionale ci porta a notare che sono davvero
abbondanti le pronunce in cui ad una cattiva selezione dell’idoneità delle
imprese seguono
di fatto da parte del
committente delle “azioni” generate dalla necessità di “compensare” la mancata competenza
e specializzazione dell’appaltatore rispetto ai lavori da effettuare, con il
rischio per il committente di “entrare” nell’area dei rischi specifici
dell’appaltatore e quindi di assumersi responsabilità ulteriori rispetto a
quelle che gli competerebbero; circostanza accompagnata spesso dalla diretta
percepibilità da parte del committente stesso - e a volte dalla vera e propria evidenza
- della mancata idoneità
tecnico-professionale dell’appaltatore.
Questo per dire che l’affidamento
di un appalto o di un’opera ad un soggetto esterno
sostanzialmentenon idoneo sotto il profilo tecnico-professionale - al di là dell’aspetto
strettamente documentale - non è un atto destinato a restare sempre senza conseguenze
per il committente.
Propongo su questo punto due
esempi conclusivi tratti dalla giurisprudenza della Cassazione, di per sé molto
esplicativi.
Il primo esempio:
Cassazione
Penale, Sez. IV, 27 agosto 2014 n. 36268
Condannati il datore di lavoro e
il delegato alla sicurezza di una ditta committente (S.p.a.) per aver cagionato
lesioni personali gravi, in cooperazione colposa tra loro, ad un dipendente
della R. tp, un’impresa croata cui erano stati affidati lavori di carpenteria di
allestimento con saldatura relativi alla costruzione di una nave.
Al momento dell’infortunio il
lavoratore utilizzava
“un trapano radiale
a colonna di proprietà della società R. S.p.a. [committente] come tutti i
macchinari presenti” nel luogo in cui operava la ditta appaltatrice.
Il delegato alla sicurezza è
stato condannato per non avere compiutamente verificato l’idoneità
tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice in relazione ai lavori affidati
in appalto,
“in
quanto
era emerso che l’organizzazione
della società croata fosse approssimativa, che lo stesso imputato fosse a
conoscenza delle modalità con le quali “si lavora in Croazia”, che la R.
tp. non solo non aveva nominato il responsabile del servizio di prevenzione né
elaborato un adeguato documento di valutazione dei rischi, ma aveva un piano di
sicurezza definito fatiscente dall’ispettore del lavoro”.
In particolare, il delegato aveva
“omesso
di esaminare la documentazione relativa alla sicurezza del lavoro dell’impresa
appaltatrice” e non aveva
“esercitato
controlli e verifiche,
nonostante le maestranze utilizzassero
macchine e attrezzature dell’azienda appaltante, omettendo altresì di
verificare il grado di formazione e informazione dei dipendenti della R.tp.,
dopo aver scelto come contraente una società che aveva enormi falle nel sistema
di sicurezza”, laddove quegli
“avrebbe
agevolmente potuto verificare la carenza della formazione e informazione fatta
dalla R tp. ai propri dipendenti, specie in ordine all’utilizzo delle macchine
(pag.9), peraltro fornite dal committente. Entrambi i giudici di merito hanno
anche sottolineato come il manuale di uso del trapano fornito al lavoratore non
fosse stato tradotto.”
Dunque “
il ricorrente, già nella fase della scelta del contraente, aveva modo
di verificare le lacune dell’impresa croata sotto il profilo della sicurezza,
ritenendo che
carenze organizzative dell’appaltatorein tema di misure di sicurezza
agevolmente
percepibili coinvolgessero in quanto tali anche la responsabilità del
committente.”
La Cassazione conclude così: il
“dovere di diligenza del committente
non si esaurisce nella scelta di
un’impresa che sia
tecnicamente in
grado di eseguire il lavoro da commissionare, estendendosi alla verifica
dell’idoneità dell’impresa appaltatrice a svolgere determinate lavorazioni
in condizioni di sicurezza per i
lavoratori,
configurandosi quindi la
responsabilità del committente qualora sia verificato in concreto che fosse da
lui agevolmente percepibile il rischio derivante dall’inadeguatezza dell’organizzazione
dell’impresa appaltatrice sotto il profilo prevenzionistico.”
[4]
Secondo la Corte dunque non è corretta
“l’interpretazione secondo la quale la
verifica in merito all’idoneità tecnico-professionale debba intendersi limitata
alle competenze tecniche dell’’impresa appaltatrice.”
Il secondo esempio: Cassazione
Civile 11 giugno 2012 n. 9441
Un autoarticolato
entrato nell'area di proprietà della società E. per caricare delle merci veniva
fatto accostare ad una delle ribalte, collocate nell'area industriale condotta in
locazione dalla S., che curava la logistica dei prodotti della stessa E.
Allontanatosi l’autista dello stesso, un dipendente della Cooperativa M.,
procedendo al carico delle merci con un muletto meccanico si era infortunato.
La società P.,
che gestiva il servizio di ricezione, scarico e magazzinaggio del materiale
ricevuto dai clienti della S., lamentava che i Giudici non erano stati in grado
di dimostrare
“alcuna pregnante ingerenza
di essa ricorrente nelle attività svolte dalla subappaltatrice M., a cui la P.
aveva appaltato le attività di carico, scarico e movimentazione merci”; tuttavia
la Cassazione, nel rigettare tale ricorso, sottolinea come non sia l’ingerenza
ciò che è stato contestato alla P.
La P. si era
impegnata con una contratto con la S.
“a
tenere a disposizione risorse tecniche adeguate, comunque non inferiori a due
muletti retrattili, due muletti frontali, 3 transpallet manuali, 2 transpallet
elettrici”. Ma in realtà
“le risorse
tecniche che la P. si era obbligata a fornire nell'ambito del citato contratto
erano assolutamente inadeguate”. La P. inoltre non aveva “
apprestato la necessaria vigilanza in
occasione dell'esecuzione della manovra.”
E’ interessante
a questo punto il collegamento con la selezione dell’idoneità
tecnico-professionale effettuata dalla S. nei confronti di P. prima di affidarle
il servizio di ricezione e scarico dei materiali.
La Cassazione
sottolinea che
“
le risultanze processuali
non consentivano affatto di ritenere
che la P. si presentasse come
soggetto affidabile così da escludere che
incombesse
a carico di essa
appaltante l'obbligo di sorvegliare
lo svolgimento delle attività date in appalto in virtù dei principi generali in
materia.”
E la Corte conclude:
“
la valutazione dell'idoneità tecnica e
specifica dell'appaltatore, nonché la sua serietà professionale, ad eseguire
l'incarico a lui affidato, devono essere effettuate non astrattamente bensì in
concreto, vagliando oculatamente le risorse tecnico/organizzative
dell'appaltatore stesso. Né dall'incarto processuale si desume che la P.
godesse sul mercato di una fama tale da giustificare tale cieco affidamento.
Al contrario, nella istanza di
inibitoria a suo tempo presentata, la stessa P. si dipingeva come "società
di ridotte dimensioni" priva persino di copertura assicurativa”.
Dunque la
sentenza di condanna
non è stata
“affatto fondata su tale asserita
ingerenza, bensì sulla ritenuta
culpa
in eligendo e, successivamente, in vigilando riscontrata a carico della
società appaltante.”
Anna Guardavilla
[1] Ai
sensi dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000.
[2] La
funzione del termine “ordinatorio” è semplicemente quella di ‘ordinare’
un’attività amministrativa, indirizzandola verso determinate procedure ed
esiti; perciò, il non rispetto del termine non comporta il verificarsi di
decadenze e l’applicazione di sanzioni (es: art. 41 c. 4-
bis D.Lgs.81/08). All’inosservanza del termine “ordinatorio” dunque
non conseguono sanzioni o effetti sfavorevoli.
Il termine ordinatorio si distingue dal termine “perentorio”
che si ha quando un dato atto o una data attività devono essere compiuti entro
il lasso temporale di scadenza del termine stesso: se il termine non viene
rispettato, l’atto o l’attività, pur se eventualmente compiuta, risulta
inutile, nel senso che non viene considerata utile ai fini di certi effetti
favorevoli, con conseguente applicazione di sanzioni e produzione di effetti
sfavorevoli (es. art. 29 c.3 ult. periodo D.Lgs.81/08).
[3]
Art. 26 c. 3 quarto periodo D.Lgs. 81/08: “Le disposizioni del presente comma
non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese
appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”.
[4] La
Cassazione qui richiama come precedenti: Sez. 4, n. 10608 del 4/12/2012, dep.
7/03/2013, Bracci, Rv.255282; Sez.4, n. 3563
del 18/01/2012, Marangio e altro, Rv. 252672; Sez.4, n. 37840 del
1/07/2009, Vecchi e altro, Rv.245275; Sez.3, n.1825 del 4/11/2008,
dep.19/01/2009, Pellegrino e altro, Rv.242345; Sez.4, n.12348 del 29/01/2008,
Giorgi, Rv.239252; Sez.4, n.8589 del 14/01/2008, Speckenhauser e altro,
Rv.238965.
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