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"L’organo di vigilanza è sempre tenuto a impartire la prescrizione?"
di PuntoSicuro / Normativa
25/07/2011 -
La Corte di Cassazione penale con questa complessa ed
articolata sentenza conferma, a distanza di un anno, le conclusioni alle quali
la stessa era già pervenuta in precedenza con un’altra sentenza, la n. 26758 del
12/7/2010 Sez. III, in merito al potere o al dovere dell’organo di vigilanza di
impartire la prescrizione di cui al D. Lgs. 19/12/1994 n. 758 ed alla
procedibilità o meno dell’azione penale nel caso in cui lo stesso organo di
vigilanza non abbia inteso impartire la prescrizione
medesima. E’ una posizione quella assunta ed oggi ribadita dalla Corte di
Cassazione con riferimento all’applicazione del citato D. Lgs. n. 758/1994, che
come è noto introdusse circa venti anni fa delle sostanziali modifiche al
sistema sanzionatorio in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, che ha
fatto molto discutere in quanto ha “stravolto” quelli che sono sempre stati gli
indirizzi sull’argomento forniti dalla stessa suprema Corte fin dalla entrata in
vigore del citato decreto legislativo e riscontrati in numerose sue precedenti
espressioni. Più volte in passato, infatti, la Corte di Cassazione ha avuto modo
di sostenere che quello di ricevere un provvedimento di prescrizione da parte
dell’organo di vigilanza fosse un diritto del contravventore e che in carenza
dell’applicazione di tutte le procedure amministrative previste dal D. Lgs. n.
758/1994 la procedibilità dell’azione penale potesse essere bloccata avendo
dovuto il Pubblico Ministero al quale è pervenuta la notizia di reato restituire
la comunicazione all’organo di vigilanza con l’invito ad applicare le
disposizioni del citato D. Lgs. n. 758/1994 riguardanti le procedure oblative
previste nella fase amministrativa del procedimento penale.
Il caso ed il ricorso in Cassazione
L’amministratore di una società è stato imputato del reato di cui
all’articolo 14 comma 1 del D. Lgs. n. 66 del 2003 per non aver sottoposto due
lavoratori
notturni alle prescritte visite mediche iniziali e periodiche nel lasso di
tempo in cui essi erano in forza come portieri di notte presso un hotel di
proprietà della società. All'esito del dibattimento il Tribunale lo ha
dichiarato colpevole del reato ascrittogli e, concesse le circostanze attenuanti
generiche ex articolo 62 bis c.p., lo ha condannato alla pena di euro 2.100,00
di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali; con pena sospesa,
subordinata all'adempimento dell'obbligo del pagamento della somma liquidata a
titolo di risarcimento del danno. La Corte ha condannato, altresì,
l’amministratore stesso al risarcimento dei danni in favore della parte civile
costituita liquidandoli nella misura complessiva di 5.000,00 euro nonché alla
refusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile
stessa, liquidate nella misura complessiva di euro 1.500,00.
Avverso questa pronuncia l'imputato, adducendo diversi motivi, ha proposto
ricorso per Cassazione. Come primo e principale motivo l’imputato, citando a
sostegno della propria tesi una decisione presa dalla Sez. III della stessa
Corte di Cassazione nell’ambito della sentenza
n. 34900 del 17/9/2007, ha sostenuto che nella circostanza è stata
riscontrata una mancata attivazione della procedura di regolarizzazione, come
previsto dall’articolo 20, comma 1 del D. Lgs. 19/12/1994 n. 758 il che avrebbe
comportato una improcedibilità dell'azione penale.
Le decisioni della suprema Corte
La Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso ha fatto presente che
l’indicato orientamento giurisprudenziale è stato recentemente sottoposto a
revisione con una sentenza più recente della stessa Sez. III, la n.
26758 del 12/7/2010. La stessa ha fatto osservare ed ha ribadito che la tesi
sostenuta dalla difesa del ricorrente della improcedibilità dell’azione penale
in caso di mancanza della prescrizione di regolarizzazione da parte dell'organo
di vigilanza con l'assegnazione al trasgressore di un termine per adempiere, non
è più accettabile benché trovi effettivamente conforto nella precedente sentenza
della suprema Corte dallo stesso citata. Se così fosse, ha sostenuto la Sez. IV,
si verificherebbe la grave conseguenza che in tutti i casi in cui nessuna
prescrizione di regolarizzazione fosse stata data dall'organo di vigilanza
(l'ipotesi più evidente è quella del datore di lavoro che non sia più tale per
cessazione dell'azienda) si determinerebbe una situazione di "blocco" in termini
di non emendabile improcedibilità dell'azione penale ed in sostanza una
situazione di irrimediabile paralisi dell'azione penale con il conseguente non
manifesto dubbio di legittimità costituzionale di un tale assetto normativo per
violazione dell'articolo 112 della Costituzione che sancisce l'obbligatorietà
dell'azione penale.
La Sez. III quindi, in considerazione di un sostanziale contrasto dei due
citati precedenti giurisprudenziali, ha preso lo spunto di ridisegnare il
complessivo quadro normativo di riferimento. Ha quindi ribadito che per le
contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro punite con la pena
alternativa dell'arresto o dell'ammenda il legislatore ha previsto con gli
articoli dal 19 al 24 del D. Lgs. n. 758/1994, un particolare procedimento ad
opera dell'organo di vigilanza, in qualità di polizia giudiziaria (articolo 55
c.p.p.), che precede quello penale ovvero si innesta in esso come una parentesi
incidentale che comporta la sospensione del procedimento penale stesso e ciò al
fine di perseguire una specifica conformazione alle prescrizioni
antinfortunistiche impartite dall'organo di vigilanza a chi le abbia violate.
Ove il contravventore adempia a tali prescrizioni beneficia di una particolare
misura premiale consistente nell'oblazione in via amministrativa (pagamento di
una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la
contravvenzione commessa) in misura più favorevole di quella dell'oblazione
prevista in generale per le contravvenzioni punite con la sola pena dell'ammenda
pari alla terza parte del massimo dell’ammenda (articolo 162 c.p.) o per le
contravvenzioni punite con una pena alternativa (articolo 162 bis c.p.: metà del
massimo della pena dell'ammenda).
L'organo di vigilanza, nel comunicare al P.M. la notizia di reato,
impartisce (o meglio può impartire) al contravventore un'apposita prescrizione
per eliminare l'infrazione accertata e, verificata la conformazione ad essa,
ammette il contravventore all'oblazione in sede amministrativa mediante il
pagamento di un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione
commessa. Il procedimento penale in tal caso, in base all’articolo 23 dello
stesso D.
Lgs. n. 758/1994, è sospeso in attesa che siano poste in essere (da parte
del contravventore) le specifiche misure di sicurezza e di igiene del lavoro,
prescritte dall'organo di vigilanza, con possibilità di oblazione del reato in
caso di adempimento.
Nel D. Lgs. n. 758/1994 è previsto anche il caso in cui la notizia di reato
perviene direttamente al P.M. ed è quest'ultimo ad investire l'organo di
vigilanza "
per le determinazioni inerenti alla prescrizione che si renda
necessaria allo scopo di eliminare la contravvenzione" (articolo 22, comma
1). In tal caso l’organo di vigilanza, entro sessanta giorni dalla data in cui
ha ricevuto la comunicazione, è tenuto ad informare il pubblico ministero delle
proprie determinazioni (articolo 22, comma 2) e pure in questa ipotesi il
processo è sospeso fino a quando l'organo di vigilanza informa il pubblico
ministero che non ritiene di dover impartire alcuna prescrizione (perché ad es.
si tratta di contravvenzioni a condotta esaurita ovvero perché l'indagato ha già
provveduto spontaneamente ad eliminare la violazione), ed è sospeso comunque
fino alla scadenza del termine di cui all'articolo 22 comma 2, ossia sessanta
giorni dalla comunicazione del P.M., se l'organo di vigilanza omette di
informare il pubblico ministero delle proprie determinazioni inerenti alla
prescrizione (articolo 23, comma 2).
In quest’ultima evenienza è indubitabile, sostiene la suprema Corte, che
una determinazione dell'organo di vigilanza possa essere quella di non adottare
alcuna prescrizione perché ciò è espressamente contemplato dall'articolo 23
comma 2 nella parte in cui prevede: "
il procedimento riprende il suo corso
quando l'organo di vigilanza informa il pubblico ministero che non ritiene di
dover impartire una prescrizione”. Potendo ora l’organo di vigilanza,
prosegue la Sez. III, non adottare alcuna prescrizione quando è investito dal P.
M., non è ragionevole pensare che invece lo stesso debba farlo quando è lui a
comunicare al P. M. la notizia di reato per cui “
deve ritenersi che l'organo
di vigilanza, ove sia quest'ultimo ad informare il P.M., possa fin dall'inizio
determinarsi a non adottare alcuna prescrizione (perché, ad es., non c'è nulla
da regolarizzare, o perché la regolarizzazione c'è già stata ed è congrua) e
quindi possa limitarsi a comunicare la notizia di reato al P.M. vuoi con
l'indicazione espressa di non aver impartito alcuna prescrizione al
contravventore, vuoi meramente senza alcuna indicazione di prescrizioni
impartite al contravventore; ciò che parimenti implica la determinazione
dell'organo di vigilanza di non impartire alcuna prescrizione”.
“
In altre parole” ha proseguito la suprema Corte, ”
il fatto
che l'organo di vigilanza non impartisca alcuna prescrizione di regolarizzazione
è un'ipotesi possibile e legittima e non condiziona affatto l'esercizio
dell'azione penale, che è invece condizionato, per un limitato periodo di tempo,
solo nel caso in cui, all'opposto, l'organo di vigilanza impartisca al
trasgressore una prescrizione di regolarizzazione; condizionamento questo che,
così costruito, appare compatibile con il precetto costituzionale
dell'obbligatorietà dell'azione stessa (articolo 112 Cost.”). A tal punto
la Corte di Cassazione, così come aveva già fatto nella precedente sentenza n.
26758 del 12/7/2010, ha fornito delle indicazioni su quella che è la
"
prescrizione di regolarizzazione che
l'organo di vigilanza può e non già
deve adottare”.
Tale regolarizzazione, ha sostenuto la Sez III “
non consiste
semplicemente nell'eliminazione della condotta penalmente rilevante, ove a
carattere permanente, accertata dall'organo di vigilanza in sede ispettiva
ovvero nella non reiterazione della stessa ove si tratti di una condotta ad
effetto istantaneo o esaurita. Ciò è dovuto in ogni caso dal datore di lavoro (e
da chi sia soggetto alla disciplina in materia di sicurezza e di igiene del
lavoro e più in generale in materia di lavoro e legislazione sociale la cui
applicazione è affidata alla vigilanza della direzione provinciale del lavoro)”.
In tal caso precisa ancora la suprema Corte, “
non occorre alcuna
prescrizione da parte dell'organo di vigilanza; va da sé che il contravventore
deve far cessare la permanenza della sua condotta illecita ovvero non deve più
reiterarla. Si tratta null'altro che della prescrizione di legge che il
contravventore ha violato e che deve non più violare provvedendo a
‘regolarizzare’ la sua condotta senza necessità di alcuna specifica prescrizione
(alcuna sorta di ammonimento) a non violare la legge penale”.
“
La ‘regolarizzazione’ alla quale fa riferimento il complesso normativo
sopra citato” ha sostenuto la suprema Corte, “
è qualcosa di più; si
tratta di prescrizioni di dettaglio - che possono consistere anche in
‘specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la
salute dei lavoratori durante il lavoro’ (articolo 20, comma 3) - che
rappresentano una modalità particolare di adempimento della prescrizione di
legge, sanzionata penalmente. L'organo di vigilanza, in riferimento al caso che
è stato oggetto dell'attività di vigilanza, può ritenere che le esigenze di
sicurezza e di igiene del lavoro siano meglio soddisfatte con l'adozione di
determinati accorgimenti che costituiscono una modalità specifica di adempimento
della prescrizione di legge, ritenuta dall'organo di vigilanza più confacente al
caso di specie”. In tal caso, prosegue la Sez.III, “
il contravventore,
che comunque deve adempiere alla generale prescrizione di legge, è chiamato ad
adempiere ad una prescrizione ulteriore” e questo aggravio della sua
posizione, quale possibile conseguenza ulteriore del reato commesso, è
bilanciato dalla misura premiale dell'oblazione in sede amministrativa del reato
a condizioni più favorevoli dell'oblazione di cui agli articoli 162 e 162 bis
c.p..
Può quindi accadere, ha concluso la Sez. III, che secondo una valutazione
rimessa all'organo di vigilanza, condizionata dalle particolarità del caso
concreto, non ci siano misure specifiche da prescrivere e che quindi rimanga per
il contravventore (egualmente da osservare) solo la prescrizione generale,
quella prevista dalla legge e sanzionata penalmente. Come è anche possibile,
secondo l'espressa previsione dell'articolo 24, comma 3, che l'eliminazione
delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione sia stata
realizzata dal trasgressore con "
modalità diverse da quelle indicate
dall'organo di vigilanza", ma parimenti congrue e quindi equiparabili; in tal
caso rimane non di meno la misura premiale dell'oblazione nell'importo ridotto
al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione
commessa”.
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