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"Le radiazioni non ionizzanti e il giudizio di idoneità dei lavoratori"
di PuntoSicuro / Sicurezza sul lavoro
13/09/2011 - Nel numero di aprile/giugno
2011 del Giornale Italiano di Medicina
del Lavoro ed Ergonomia sono presenti diversi articoli che affrontano i
problemi della valutazione dell’idoneità dei lavoratori a particolari mansioni o
in riferimento all’esposizioni a specifici agenti
fisici.
“ L’idoneità
dei lavoratori con particolare sensibilità alle radiazioni non ionizzanti”,
articolo a cura di R. Moccaldi (CNR - Ufficio Prevenzione e Protezione) e C.
Grandi (INAIL - Dipartimento di Medicina del Lavoro - ex ISPESL), pubblicato in
Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXIII n°2,
aprile/giugno 2011
Dopo
aver parlato, nei giorni scorsi, della valutazione
dell’idoneità alla guida, PuntoSicuro presenta oggi un articolo a cura di
R. Moccaldi (CNR - Ufficio Prevenzione e Protezione) e C. Grandi (INAIL -
Dipartimento di Medicina del Lavoro - ex ISPESL) dal titolo “
L’idoneità
dei lavoratori con particolare sensibilità alle radiazioni non ionizzanti”.
Gli
autori ci ricordano che i capi IV e V del titolo VIII del Decreto
legislativo 81/2008, che recepiscono rispettivamente le direttive
2004/40/CE (tutela dei lavoratori esposti a campi elettromagnetici) e
2006/25/CE (tutela lavoratori esposti a radiazioni ottiche artificiali), fanno
riferimento ai lavoratori definiti “
particolarmente
sensibili al rischio”, ossia a quei “lavoratori che, per loro
caratteristiche biologiche o patologiche, stili di vita, coesposizione ad altri
fattori di rischio, potrebbero risultare maggiormente suscettibili agli effetti
nel primo caso dei campi
elettromagnetici nel secondo delle radiazioni
ottiche”.
L’
identificazione di questi soggetti ipersuscettibili
è di “fondamentale importanza ai fini della sorveglianza
sanitaria.
Inoltre
l’esistenza di lavoratori ipersuscettibili ha ricadute importanti soprattutto
in riferimento alla formulazione del
giudizio
di idoneità.In
realtà le indicazioni operative sul Titolo VIII del D.lgs. 81/2008 stilate dal
Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e
delle Provincie Autonome ( Documento
n. 1-2009), in collaborazione con l’ISPESL e con l’Istituto Superiore di
Sanità, “includono anche una
prima
individuazione delle categorie di soggetti considerati più sensibili al
rischio da esposizione rispettivamente a campi
elettromagnetici e a radiazioni
ottiche”.
Ad
esempio nel caso dei
campi
elettromagnetici, il documento di cui sopra riporta
le categorie di soggetti che, sulla base della letteratura scientifica,
siano da considerare con possibili controindicazioni e/o particolarmente
sensibili:
-
“soggetti portatori di: schegge o frammenti metallici, clip vascolari e stent,
valvole cardiache pacemaker cardiaci, defibrillatori impiantati, pompe di
infusione di insulina o altri farmaci, corpi metallici nelle orecchie o
impianti per udito, neurostimolatori, elettrodi impiantati nel cervello o
subdurali, distrattori della colonna vertebrale, altri tipi di stimolatori o
apparecchiature elettriche o elettroniche di qualunque tipo, corpi intrauterini
(ad esempio spirale o diaframma), derivazioni spinali o ventricolari, cateteri
cardiaci, protesi metalliche di qualunque tipo (per pregresse fratture,
interventi correttivi articolari etc.), viti, chiodi, filo etc., espansori
mammari, protesi peniene e altre protesi;
-
stato di gravidanza;
-
soggetti con patologie del SNC, in particolare soggetti epilettici;
-
soggetti con infarto del miocardio recente e con patologie del sistema
cardiovascolare”. Queste sono invece le
categorie
da ritenersi particolarmente sensibili al rischio da esposizione a radiazioni
ottiche (punto 5.24 delle indicazioni operative del Coordinamento Tecnico
per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Provincie Autonome):
-
“donne in gravidanza: riservare particolare attenzione alla possibile azione
sinergica di condizioni microclimatiche e radiazioni
infrarosse (es. lavoratrici gestanti operanti in prossimità di forni);
-
minorenni;
-
albini e individui di fototipo 1 (per esposizione alla radiazione UV);
-
portatori di malattie del collagene (per esposizione alla radiazione UV);
-
soggetti in trattamento cronico o ciclico con farmaci fotosensibilizzanti
(tabelle III e IV);
-
soggetti affetti da alterazioni dell’iride (colobomi, aniridie) e della pupilla
(midriasi, pupilla tonica);
-
soggetti portatori di drusen (per esposizione alla luce blu);
-
soggetti con lesioni cutanee maligne o premaligne (per esposizione alla radiazione
UV);
-
lavoratori affetti da patologie cutanee fotoindotte o foto aggravate (per
esposizione alla radiazione
ultravioletta e infrarossa);
-
soggetti affetti da xeroderma pigmentoso (per esposizione alla radiazione UV);
-
soggetti epilettici per esposizione a luce visibile di tipo intermittente (tra
i 15 e i 25 flash al secondo);
-
soggetti con impianto IOL (cristallino artificiale), per esposizione a
radiazione ottica tra 300 e 550 nm (UV e visibile fino alle lunghezza d’onda
del verde)”.
Se
queste categorie indicate “rappresentano comunque una prima concreta ed utile
individuazione dei soggetti a potenziale maggior rischio, così come indicato o
suggerito dallo stato delle conoscenze”, appare tuttavia evidente una certa “
aggregazione” di condizioni (“dispositivi
impiantati attivi e passivi, condizioni patologiche predisponenti insieme
all’utilizzo di farmaci etc) che non ne facilita la comprensione in relazione,
ad esempio, ai singoli meccanismi causali”. E appare evidente che “
una loro più mirata individuazione non può
prescindere da una valutazione completa del rischio nella singola situazione
espositiva, che consideri, oltre ai meccanismi di azione in gioco in
funzione della regione dello spettro, anche i livelli di esposizione, eventuali
coesposizioni, la possibilità di un’adeguata protezione individuale etc.”.
Sulla
base di queste indicazioni i due autori provano con questo articolo a identificare
in modo più mirato e articolato le categorie di soggetti da considerare come “particolarmente
sensibili al rischio”…
Rimandando
i nostri lettori ad una lettura integrale del testo dell’articolo- pubblicato
sul Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia - proviamo a
riassumere brevemente alcune delle riflessioni degli autori relative al
rapporto tra ipersuscettibilità esaminate e idoneità alle mansioni.
Con
riferimento agli
effetti indiretti dei
campi elettromagnetici, gli autori si sono occupati dell’ interferenza
del campo elettromagnetico esterno con il funzionamento di dispositivi
impiantati di tipo attivo (es. elettromedicali quali pacemaker, defibrillatori
impiantati, pompe da infusione etc.) e della dislocazione da parte del campo
magnetico statico esterno di dispositivi impiantati ferromagnetici di tipo
non attivo o di corpi inclusi nei tessuti aventi proprietà ferromagnetiche (es.
protesi metalliche, clip vascolari, stent, schegge metalliche etc.).
Gli
autori riportano in alcune tabelle - sulla base delle attuali conoscenze
tecniche e sanitarie nel settore - una “serie di situazioni lavorative che, in
relazione ai dati di esposizione mediamente rilevati” possono determinare, “fatte
salve eventuali informazioni derivate ‘sul campo’ e prima elencate (valori di
esposizione, specifici standard di prodotto ecc), la
controindicazione all’esposizione”. Ad esempio la saldatura
e l’elettrolisi in presenza di campi magnetici statici.
Riguardo
poi agli
effetti diretti è possibile
“identificare le condizioni individuali di natura fisiologica o patologica, congenite
o acquisite, che potrebbero facilitare l’insorgenza di effetti avversi legati,
in funzione della frequenza, all’induzione di corrente oppure al riscaldamento,
e quindi prefigurare un rischio per il lavoratore esposto a livelli di campo
anche inferiori ai limiti previsti dalla normativa per i lavoratori. La
presenza di tali condizioni, in specifiche circostanze espositive, potrebbe
determinare quindi una controindicazione alla attività lavorativa”.
Gli
autori ritengono, ad esempio, che “l’esposizione della
lavoratrice gestante adibita a mansioni che espongono a campi
elettromagnetici non possa eccedere i limiti di esposizione per la popolazione,
che nel caso dell’Italia, ad esclusione dei campi statici, sono quelli previsti
dai due D.P.C.M 8 luglio 2003, emanati nell’ottica della promulgazione dei
decreti attuativi delle disposizioni della Legge 36/01 (“Legge quadro sulla
protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”).
Peraltro, i valori di attenzione previsti dai D.P.C.M.
si applicano solo alle sorgenti fisse
(elettrodotti e sistemi fissi delle telecomunicazioni): per tutte le altre
sorgenti gli stessi D.P.C.M. rimandano alla raccomandazione europea
1999/519/CE, che si limita a proporre i limiti di esposizione previsti
dall’ICNIRP per la popolazione generale. Per quanto riguarda il campo magnetico
statico, in assenza di norme, si può fare riferimento sia al limite previsto
dal documento ICNIRP 1994, commisurabile (1/5 del valore) a quanto previsto dal
D.Lgs 81/08 per i lavoratori, sia al più recente ICNIRP 2009, i cui contenuti
saranno oggetto di futura Direttiva”.
Riportiamo,
per concludere, qualche elemento relativo all’
esposizione a radiazioni ottiche artificiali.
Dopo
aver affrontato gli
effetti diretti
con riferimento ai due principali organi bersaglio delle radiazioni
ottiche (l’occhio e la cute), gli autori si soffermano sugli
effetti indiretti, riconducibili a meccanismi di natura
fototossica e fotoallergica, a seguito di esposizione combinata a radiazione
ottica nel range visibile-UV e ad agenti chimici.
Si
indica che “le reazioni fototossiche, che sono eventi non-immunologici, sono di
gran lunga più frequenti delle reazioni fotoallergiche”.
Gli
effetti indiretti “sono importanti nel novero dei rischi da radiazioni
ottiche per i seguenti motivi:
-
interessano potenzialmente un numero di lavoratori superiore rispetto a quello
ipotizzabile per i soli effetti diretti;
-
sono notevolmente sottostimati;
-
sono maggiormente influenzati da fattori di confondimento legati
all’esposizione a sostanze contenute in preparazioni farmaceutiche, cosmetiche,
alimentari etc.;
-
sono, almeno per quanto riguarda le reazioni fotoallergiche, potenzialmente
gravi e, dopo la rimozione dell’esposizione alla sostanza o alle sostanze
coinvolte, spesso residua una condizione persistente di fotosensibilità;
-
i limiti di esposizione per la radiazione
UV e per la radiazione visibile (ICNIRP 1997, 2004) non sono protettivi nei
confronti di reazioni fototossiche e/o fotoallergiche;
-
gli eventuali limiti di esposizioni esistenti per sostanze chimiche coinvolte
in reazioni di fotosensibilizzazione non sono necessariamente protettivi nei
confronti di questa tipologia di effetto”.
Questi
alcuni
esempi di ambiti lavorativi con
presenza di sostanze chimiche a potenziale rischio di effetti
fotosensibilizzanti:
-
“Attività che espongono a IPA;
-
Produzione di coloranti;
-
Produzione di derivati del petrolio;
-
Operazioni di verniciatura materiali;
-
Industria cosmetica;
-
Industria farmaceutica;
-
Trattamenti estetici”.
È
opportuno sottolineare – concludono gli autori – “che le stesse sorgenti di radiazione
ottica non devono essere necessariamente quelle alle quali il lavoratore è
esposto in ragione della specifica lavorazione, ma possono essere anche quelle
presenti nell’ambiente di lavoro adibite ad altri scopi (ad esempio specifiche
tipologie di sistemi di illuminazione dell’ambiente, considerate anch’esse
fonte di esposizione lavorativa).
Gli
effetti di fotosensibilizzazione rappresentano pertanto un aspetto che deve
essere considerato nella valutazione del rischio per i lavoratori esposti a
radiazioni ottiche artificiali e a numerosi agenti chimici. In termini di
formulazione del giudizio di idoneità, è molto difficile nelle singole
situazioni lavorative ipotizzare che una determinata coesposizione (sezione
dello spettro ottico unitamente ad una o più sostanze
fotosensibilizzanti presenti nel luogo di lavoro) costituisca condizione di
controindicazione alla mansione. È molto più probabile che tale evenienza possa
realizzarsi in caso di assunzione da parte del lavoratore di farmaci a rischio,
ma non sono esclusi altri tipi di esposizione ad agenti chimici, anche a
carattere professionale. In ogni caso, l’eventuale controindicazione alla
mansione deve essere valutata in funzione del grado di incidenza della reazione
avversa (fototossica o fotoallergica) riportata in letteratura, della presenza di
uno stato atopico e delle condizioni di esposizione”.
E
dunque, in relazione a quest’ultimo parametro, è necessario “sottolineare che
la formulazione del giudizio di idoneità, in relazione ai meccanismi d’azione
descritti in particolare per la reazione fotoallergica, potrebbe anche
prescindere da una valutazione
complessiva della situazione espositiva e da una verifica del livello di protezione
che può offrire l’utilizzo, anche combinato, dei DPI”.
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