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"Sulla non responsabilità di un preposto per un infortunio "

di Corte di Cassazione / Sentenze

26/01/2021 -

Il contenuto di questa recentissima sentenza è in linea con le decisioni assunte dalla Corte di Cassazione in una precedente sentenza, la n. 36778 del 21/12/2020 della IV Sezione penale, pubblicata e commentata dallo scrivente sul quotidiano (Leggi l’articolo “ Sulla non responsabilità del DdL per un infortunio”), con la quale la suprema Corte era stata chiamata a decidere sul ricorso presentato da un datore di lavoro condannato dal Tribunale e dalla Corte di Appello per l’infortunio mortale accaduto a un lavoratore per una carenza di sicurezza di cui l’imputato ignorava l’esistenza. In tema di infortuni sul lavoro, aveva sostenuto la suprema Corte in quella occasione, non può essere ascritta al datore di lavoro la responsabilità di un evento lesivo o letale per culpa in vigilando qualora non venga raggiunta la certezza della conoscenza o della conoscibilità, da parte sua, di prassi incaute dalle quali sia scaturito un evento infortunistico.

 

In questo caso è stato imputato del reato di lesioni colpose per l’infortunio occorso a un lavoratore addetto al reparto macelleria il responsabile di un supermercato nella sua qualità di preposto di fatto essendo assente per ferie il capo del reparto specifico. Anche in questa occasione la Corte di Cassazione, in considerazione del fatto che lo stesso aveva assunto l’incarico di responsabile dell’esercizio commerciale solo da pochi giorni e non aveva quindi avuto modo di venire a conoscenza di una prassi scorretta invalsa nel reparto che aveva portato a un evento infortunistico, ha sostenuto analogamente che non può essere ascritto al preposto una eventuale condotta omissiva nel non avere rispettato gli obblighi di sicurezza sul lavoro previsti dall’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2008 laddove non si abbia la certezza che lo stesso fosse a conoscenza di una prassi elusiva o che l'avesse colposamente ignorata. Questa è stata la ragione quindi per cui la suprema Corte, applicando il principio della inesigibilità della condotta lecita, ha annullata senza rinvio la sentenza di condanna dell’imputato perché il fatto non costituisce reato.



Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale con la quale lo stesso aveva dichiarato il responsabile di un supermercato colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1, 2, 3 e art. 583 c.p., comma 1, n. 1), perché, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 19, comma 1, lett. a del D. Lgs. n. 81 del 2008), non aveva provveduto a sovrintendere e vigilare affinché un dipendente utilizzasse i mezzi di protezione collettivi di una macchina sega-ossi in conformità alle istruzioni d'uso del fabbricante. Nel caso di specie, nel mentre il lavoratore era intento a suddividere in tante fette un pezzo unico di lombo di maiale della lunghezza di circa un metro, servendosi della macchina sega-ossi, aveva urtato la lama con la mano sinistra così procurandosi una ferita lacero-contusa al primo dito di detta mano, con lesione parziale dell'estensore comportante l'impossibilità di attendere alle ordinarie occupazioni per 139 giorni.

 

Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha ricorso alla Cassazione a mezzo del difensore articolando alcune motivazioni. Lo stesso ha sostenuto che la responsabilità attribuitagli era stata unicamente oggettiva, in considerazione del mero ruolo da lui rivestito di direttore del punto vendita e che non era emerso in realtà in quali termini concreti avrebbe violato il dettato del citato art. 19 giacché la Corte di Appello aveva omesso qualsiasi valutazione comparativa tra le modalità dell'infortunio e gli obblighi di sorveglianza previsti dalla citata disposizione. La causa dell'infortunio andava individuata, secondo il ricorrente, nel mancato utilizzo, da parte del lavoratore, di una protezione presente sul macchinario. La Corte territoriale inoltre non aveva tenuto presente che lui aveva assunto l'incarico di direttore del punto vendita, composto di molti reparti e di altrettanti capi reparti, soltanto cinque giorni prima dell'infortunio per cui non aveva considerato che era da escludere che rivestendo il ruolo di direttore potesse avere contezza della lavorazione svolta in ogni singolo reparto del supermercato. Non aveva tenuto presente altresì che ogni settore dell’esercizio commerciale aveva un capo reparto e che inoltre non gli era mai stato segnalato il mancato utilizzo del presidio di protezione della macchina sega ossi.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione . La stessa ha evidenziato che la persona offesa, addetta al reparto macelleria del supermercato, sentita in dibattimento, aveva riferito che l'elusione dei dispositivi di protezione, di cui pure quella specifica macchina era dotata, era una prassi inveterata da diverso tempo, atteso che, a suo dire, questi dispositivi ostacolavano i movimenti necessari al taglio dei pezzi di carne più piccoli. Lo stesso aveva altresì detto di non aver segnalato tale difficoltà, ma che tutti ne erano a conoscenza e si comportavano alla stessa maniera.

 

La suprema Corte ha evidenziato altresì che, dal percorso motivazionale della sentenza impugnata, non si era ricavata in alcun modo la certezza che l’imputato, il quale rivestiva l'incarico di responsabile di quell'esercizio commerciale da soli cinque giorni, fosse realmente (o potesse essere) a conoscenza di tale prassi, anche ammettendo che essa fosse davvero così frequente come affermato dalla persona offesa. Né la veste di " preposto di fatto" che il giudice di Appello aveva attribuito all’imputato, attesa l'assenza per ferie del preposto incaricato, ha costituito di per sé prova né della conoscenza né della conoscibilità, da parte dello stesso, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica.

 

E' pur vero, ha così proseguito la Sez. IV, che il preposto è soggetto agli obblighi di cui all’art. 19 del citato D. Lgs. n. 81 del 2008, ma un'eventuale condotta omissiva al riguardo. non può essergli ascritta laddove non si abbia la certezza che egli fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l'avesse colposamente ignorata. Tale certezza può, in alcuni casi, inferirsi da considerazioni di natura logica, laddove, ad esempio, possa ritenersi che la prassi elusiva costituisca univocamente frutto di una scelta aziendale, finalizzata, in ipotesi, ad una maggiore produttività. Quando però, come nel caso in esame, non vi siano stati elementi di carattere logico per dedurre la conoscenza o la conoscibilità di prassi aziendali incaute da parte del garante, che, nel caso in esame, proprio perché preposto non vantava uno specifico interesse al riguardo, è necessaria l'acquisizione di elementi probatori certi ed oggettivi che dimostrino tale conoscenza o conoscibilità. Diversamente opinando, ha così concluso la suprema Corte, si porrebbe in capo alla figura che riveste una posizione di garanzia una inaccettabile responsabilità penale "di posizione", tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva.

 

Per le considerazioni su esposte la Corte di Cassazione ha quindi annullata senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.


Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 1096 del 13 gennaio 2021 (u. p. 8 ottobre 2020) - Pres. Piccialli – Est. Dawan – P.M. Fodaroni - Ric. V.F.. - Non può essere ascritto al preposto una eventuale condotta omissiva per non avere rispettato gli obblighi di sicurezza sul lavoro laddove non si abbia la certezza che fosse a conoscenza di una prassi elusiva o che l'avesse colposamente ignorata.

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