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"L’abnormità ed esorbitanza del comportamento del lavoratore"
fonte www.puntosicuro.it / Sentenze
15/06/2015 -
Questa sentenza della Sez. IV penale della Corte di Cassazione può essere ricollegata alla sentenza n. 43846 del 21/10/2014, pubblicata sul quotidiano del 20/4/2015, in quanto torna sul
concetto dell’esorbitanza del comportamento del lavoratore infortunato tale
da interrompere il nesso di causalità fra la condotta colposa del
datore di lavoro, legata a delle carenze riscontrate nell’adozione delle
misure di prevenzione dallo stesso adottate, e un evento lesivo.
Come la precedente sentenza citata è importante quest’ultima in
quanto, allargando il campo delle condizioni nelle quali la condotta del
lavoratore possa ritenersi imprevedibile e inevitabile sì da potere
assurgere a causa unica ed autonoma dell’evento lesivo con la
conseguente esclusione della responsabilità del datore di lavoro, la
suprema Corte si allinea sostanzialmente agli indirizzi forniti dal
legislatore con la introduzione delle direttive europee nel campo della
sicurezza sul lavoro e più in particolare alle disposizioni di cui al D.
Lgs. 9/4/2008 n. 81 le quali nell’ambito delle aziende hanno introdotto
uno
scalettamento della responsabilità dei vari operatori di sicurezza non ultimo del lavoratore stesso infortunato a causa del comportamento anomalo che
lo stesso ha tenuto in occasione dell’infortunio occorsogli. La
condotta del lavoratore, ha sostenuto in questa sentenza la suprema
Corte, si può considerare abnorme e interruttiva del nesso causale non
solo quando si collochi al di fuori dell’area di rischio della
lavorazione in corso ma
anche quando sia esorbitante dalle precise direttive ricevute. E in sostanza consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro.
Gerardo Porreca
Il fatto e il ricorso in Cassazione
La Corte di
Appello ha confermata la sentenza di condanna alla pena di euro 2.000,00 di
multa emessa dal Tribunale nei confronti del procuratore speciale di una
società con delega alla cura degli adempimenti in materia antinfortunistica,
imputato del reato di lesioni personali colpose aggravate dalla violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro commesso ai danni del
dipendente della società stessa. Il lavoratore, apprendista operaio addetto al
magazzino, stava movimentando alla guida di un carrello
elevatore un bancale in legno contenente quattro elementi portagriglia di
un mulino da stoccare in appositi scaffali, tra loro distanziati in misura tale
da permettere appena il passaggio del carrello. Lo stesso lavoratore aveva
sistemato all'interno della cabina di guida del muletto tre
"moraletti", ossia tre travetti in legno, uno dei quali si era
incastrato nel montante della scaffalatura per cui il suo piede era rimasto
incastrato tra i predetti listelli e la pedana del carrello, riportando la
frattura del malleolo peroneale e la lussazione tibio-astragalica, con ampia
ferita lacera.
L’imputato ha
fatto ricorso per cassazione sostenendo che la Corte territoriale aveva fatta
una ricostruzione causale dell'evento non conforme alle emergenze istruttorie e
che ove fossero state correttamente valorizzate le deposizioni dei testimoni
indicati dalla difesa la condotta del lavoratore infortunato sarebbe stata
qualificata come abnorme ed eccezionale, avendo lo stesso contravvenuto, con
condotta imprevedibile, ai divieti impostigli in ordine alle modalità di
utilizzo dei "moraletti". La corretta valorizzazione delle risultanze
istruttorie, ha sostenuto ancora il ricorrente, avrebbe consentito di affermare
la recisione di qualsivoglia collegamento eziologico con la sua posizione di
garanzia. Il responsabile della sicurezza inoltre, ha precisato, aveva
adempiuto a tutti gli obblighi normativamente impostigli, essendosi
positivamente attivato per istruire il lavoratore sui rischi connessi alla
specifica attività.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto dalla
Corte di Cassazione infondato. La stessa ha fatto osservare che nella sentenza
impugnata era stata ricondotta causalmente all'imputato la responsabilità
dell'evento sul presupposto che l'utilizzo dei travetti fosse prassi abituale
all'interno dell'impresa al fine di dare maggiore stabilità e migliore appoggio
ai bancali di legno da sistemare sulle scaffalature, richiamando la
testimonianza del funzionario della ASUR 3, che nell'immediatezza del fatto
aveva rinvenuto altri travetti sotto i bancali in legno già posizionati sugli
scaffali ed aveva anche vietato l'uso di bancali in legno come ripiano di
sostegno per l'immagazzinamento della merce. Il rischio concretizzatosi è stato
descritto nella sentenza impugnata come diretta conseguenza dell'omessa
previsione di una adeguata procedura di stivaggio, ossia come violazione della
regola cautelare posta dall’art. 35 comma 2 del D. Lgs. 19/9/1994 n. 626
contestata nel capo d'imputazione.
Non è sufficiente per esonerare da
responsabilità il titolare della posizione di garanzia, ha sostenuto la suprema
Corte, l'aver adempiuto agli obblighi di informazione del lavoratore sui rischi
specifici dell'attività in quanto l'obbligo di garanzia gravante sul datore
di lavoro con riguardo alle attrezzature da mettere a disposizione del
lavoratore si estende, oltre all'informazione circa il loro corretto utilizzo
nel dovere di fornire attrezzature intrinsecamente rispondenti a requisiti di
sicurezza a monte ed a valle nel dovere di verificare che le procedure per
l'uso di tali attrezzature da parte del lavoratore siano esse stesse
rispondenti a canoni di sicurezza. Dunque giustamente non corretta è stata
considerata la condotta del datore di lavoro, secondo la suprema Corte, per
avere fornito al lavoratore una serie di tavole in legno lunghe 80 centimetri
(moraletti) da trasportare senza alcuna regola di posizionamento lungo un
corridoio di larghezza corrispondente alla sagoma del carrello, in aggiunta ai
bancali destinati allo stivaggio della merce.
Con riferimento al
comportamento ritenuto esorbitante del
lavoratore in occasione dell’infortunio la Corte di Cassazione ha citate una
serie di sentenze che si sono espresse in merito. In una di queste, ha posto in
evidenza, la condotta colposa del lavoratore è stata ritenuta idonea ad
escludere la responsabilità dell'imprenditore, dei dirigenti e dei preposti in
quanto esorbitante dal procedimento di lavoro al quale egli era addetto oppure
concretantesi nella inosservanza di precise norme antinfortunistiche. In altre
è stato sottolineato che la condotta esorbitante deve essere incompatibile con
il sistema di lavorazione o, pur rientrandovi, deve consistere in qualcosa di
radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte del
lavoratore nella esecuzione del lavoro, tali non essendo i comportamenti
tipici del lavoratore abituato al lavoro di routine.
Se dunque da un lato, ha proseguito la
Sez. IV, è stato posto l'accento sulle mansioni del lavoratore, quale criterio
idoneo a discriminare il comportamento anomalo da quello che non lo è,
dall’altro
si è ritenuto di includere
nel concetto di esorbitanza anche l'inosservanza di precise norme
antinfortunistiche, ovvero la condotta del lavoratore contraria a precise
direttive organizzative ricevute, a condizione che l'infortunio non risulti
determinato da assenza o inidoneità delle misure di sicurezza adottate dal
datore di lavoro. In sintesi, ha così concluso la suprema Corte, “
si può cogliere nella giurisprudenza di
legittimità la tendenza a considerare interruttiva del nesso di condizionamento
la condotta abnorme del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche
modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma
anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle
precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a
neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro”.
Il datore di lavoro, dal canto suo,
deve aver previsto il rischio ed adottato le misure prevenzionistiche esigibili
in relazione alle particolarità del lavoro per cui non risulta in definitiva
corretto desumere l'interruzione del nesso causale dalla condotta imprudente
del lavoratore, qualora sia stata accertata la violazione da parte del datore
di lavoro degli obblighi antinfortunistici volti a minimizzare il rischio poi
concretizzatosi. Sotto tale profilo la Corte di Cassazione ha ritenuta esente
da vizi la sentenza impugnata ed ha, pertanto, rigettato il ricorso presentato
dall’imputato.
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