"Sulla responsabilità del direttore dei lavori nei cantieri"
fonte GERARDO PORRECA / Cantieri
È un’altra sentenza questa che riguarda la condanna di un direttore dei lavori, riconosciuto in questa occasione anche come responsabile dei lavori, per le lesioni subite da un lavoratore in un cantiere a seguito di un infortunio avvenuto per lo smottamento del terreno in uno scavo nel quale lo stesso stava operando. La sentenza fa seguito e perviene alle stesse conclusioni alle quali era giunta la suprema Corte in un’altra precedente sentenza, la n. 19646 dell’8/5/2019 della III Sezione penale Pres. Aceto Ric. E.G.G. ( La responsabilità del direttore dei lavori e del direttore tecnico), secondo le quali in tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato dal committente, pur svolgendo normalmente una attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi, risponde dell'infortunio subito dal lavoratore qualora gli venga anche affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con possibilità di impartire ordini alle maestranze in virtù di una particolare clausola inserita nel contratto di appalto o qualora, per fatti concludenti, risulti che si sia concretamente ingerito nell'organizzazione del lavoro.
Nel
commentare la precedente sentenza lo scrivente, in merito alla individuazione
delle responsabilità del direttore dei lavori per un infortunio accaduto nel
cantiere nel quale sta svolgendo la propria attività, ha espresso delle
osservazioni che qui ritiene opportuno richiamare secondo le quali fra le
Sezioni della Corte di Cassazione e in particolare fra la Sezione III e la IV
non si riscontra sull’argomento un indirizzo univoco, avendo le stesse alcune
volte assunto una posizione di non responsabilità di tale figura professionale
(
si veda la
sentenza n. 4611 del 30 gennaio 2015
Sez. IV penale pres. Brusco, la
sentenza n. 35970 del 19 agosto 2014
Sez.
IV penale pres. Zecca,
sentenza n. 3717 del 28 gennaio 2014
Sez.
III penale pres. Squassoni,la
sentenza n. 1471 del 15 gennaio 2014
Sez.
III penale pres. Teresi) e altre invece di colpevolezza
(si veda la
sentenza n. 19646 dell’8/5/2019 Sez. III penale pres. Aceto,
la
sentenza n. 14787 del 31 marzo 2014
Sez. IV
penale pres. Sirena e la
sentenza n. 21205 del 31 maggio 2012
Sez.
IV penale pres. Sirena). E’ una diversità di vedute questa, si ribadisce
anche in questa occasione, che porta ad un disorientamento nelle aule dei
Tribunali e delle Corti di Appello e che per superare la quale è auspicabile
che sul punto si giunga al più presto ad un intervento delle Sezioni Unite.
Il fatto, i procedimenti giudiziari, il ricorso per
cassazione e le motivazioni.
La Corte di
Appello ha confermata la sentenza di primo grado con cui un direttore dei
lavori è stato condannato, concesse le generiche equivalenti alla contestata
aggravante, alla pena sospesa di sei mesi di reclusione, col beneficio della
non menzione, ed al risarcimento del danno a favore delle parti civili, con
previsione di una provvisionale, per il reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2
del codice penale, per avere, in qualità di responsabile di fatto ai fini
antinfortunistici, cagionato la morte di un lavoratore sepolto dal terreno
franato nello scavo in cui lo stesso era sceso per meglio collocare una pompa
ad immersione, con colpa consistita nell'omessa designazione del coordinatore
per l'esecuzione dei lavori, pur avendo affidato parte delle opere, in aggiunta
alla prima impresa esecutrice ad un’altra impresa, nella mancata verifica della
idoneità delle imprese stesse, alle quali non era stata neppure chiesta
l'esibizione dei piani operativi di sicurezza, e dell'adempimento, da parte
delle stesse, nello svolgimento dello scavo degli obblighi di cui agli artt. 91
e 92 del D. Lgs. n. 81/2008 e nella mancata verifica dell'adozione delle
necessarie cautele (idonee armature di sostegno delle pareti dello scavo,
puntellature, etc.), oltre che nel mancato controllo dei lavori e nella
conseguente mancata sospensione degli stessi nonostante la loro irregolarità.
Avverso la
sentenza di condanna l’imputato ha proposto un tempestivo ricorso per
cassazione, a mezzo del difensore, sostenendo di non essere consapevole della
presenza di più imprese nel cantiere e dell'assenza di armature nello scavo
sottolineando altresì che, quale direttore dei lavori, non rivestiva la figura
di responsabile dei lavori, non aveva avuto alcuna delega in materia
anti-infortunistica e non si era ingerito nell'organizzazione del lavoro, non
potendosi ritenere un'intromissione la mera raccomandazione dallo stesso fatta
di prestare la dovuta attenzione. Il ricorrente ha evidenziato altresì, in
particolare, che l’impresa incaricata dello scavo era unica, che lo scavo era
poco profondo, che non era stato informato delle problematiche insorte che
avrebbero reso necessaria l'armatura e che, comunque, l’infortunato aveva
deciso, in modo imprudente ed imprevedibile, per ragioni di celerità, di
disattendere la sua indicazione di puntellare le pareti dello scavo.
Le decisioni della Corte di Cassazione.
Il ricorso
non è stato accolto dalla Corte di Cassazione. Riguardo alla consapevolezza, da
parte dell'imputato, del coinvolgimento di più imprese nei lavori la suprema
Corte ha ritenuto del tutto congrue e coerenti le conclusioni alle quali erano
pervenuti i giudici di merito, fondate sulle dichiarazioni di un coimputato
secondo il quale il direttore ei lavori era a conoscenza della presenza di
un’altra impresa, dichiarazioni che sono state ritenute attendibili, in quanto
confermate da altri elementi quali, ad esempio, la constatazione
dell'impossibilità della prima impresa, avendo un solo operaio, di eseguire
celermente il lavoro.
Per quanto
concerne la profondità dello scavo, il ricorrente, secondo la Sez. IV, ha riproposto
la tesi del suo consulente, che, però, alla luce di quanto si legge nella
sentenza di primo grado, contrastava oltre che con le misurazioni eseguite sul
luogo dall'ispettore anche con la quota, indicata nelle tavole del progetto,
tesi secondo la quale la profondità dello scavo nel punto in cui si era
verificato l’infortunio non èra superiore al metro e mezzo. Peraltro, ha
aggiunto la Sez. IV, secondo la versione dello stesso ricorrente vi era, a
prescindere dalla profondità dello scavo, quantomeno la necessità di una
puntellatura, prescritta dall'art. 120 del D. Lgs. n. 81 del 2008.
Quanto poi
all'asserita abnormità del comportamento della vittima, ha ribadito la suprema
Corte, nella sentenza di primo grado era stato precisato che la condotta tenuta
dal lavoratore non poteva ritenersi esorbitante o abnorme in mancanza di
specifiche istruzioni alle quali attenersi per la posa della condotta
all'interno dello scavo nonché per la totale mancanza di un professionista in
grado di assicurare il necessario coordinamento con l'attività svolta
dall'altra impresa presente nel cantiere. Tale decisione è stata ritenuta del
tutto corretta in base all'orientamento della giurisprudenza di legittimità
secondo cui può definirsi imprudente solo il comportamento che sia posto in
essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidate,
per cui lo stesso esuli da ogni prevedibilità, oppure che, pur rientrando nelle
mansioni affidate, sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente
lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte nella
esecuzione del lavoro.
Del resto,
ha sottolineato la suprema Corte, ai fini dell'accertamento della
responsabilità penale, non è possibile attribuire efficienza causale esclusiva
alla condotta del lavoratore medesimo, poiché, anche dopo l'entrata in vigore
del D. Lgs. n. 81 del 2008 il datore di lavoro é titolare di un obbligo di
protezione nei confronti dei lavoratori, sicché le rispettive condotte del
datore di lavoro e del lavoratore rilevano soltanto ai fini di un eventuale
concorso di colpa da tenere in conto esclusivamente ai fini della
quantificazione del danno.
Ugualmente
infondato è stata ritenuta la motivazione legata a quelle che sono le
responsabilità di un direttore dei lavori. La suprema Corte ha sostenuto che i
giudici di merito avevano fatto corretta applicazione del principio secondo cui
“
in tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato
dal committente, pur svolgendo normalmente una attività limitata alla
sorveglianza tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di
questi, risponde dell'infortunio subito dal lavoratore qualora gli venga
affidato il compito di sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con possibilità
di impartire ordini alle maestranze in virtù di una particolare clausola
inserita nel contratto di appalto o qualora, per fatti concludenti, risulti la
sua concreta ingerenza nell'organizzazione del lavoro” e ha citato in
merito da ultimo la sentenza n. 19646 del 08/01/2019 della Sezione III che si
era espressa in questo senso.
Contrariamente
a quanto asserito nel ricorso, ha così concluso la Corte di Cassazione, i
giudici di merito, con una motivazione esaustiva e non manifestamente illogica,
avevano desunta l'ingerenza del direttore dei lavori nell'organizzazione delle
imprese non solo dalla sua raccomandazione di cautela rivolta ai lavoratori
presenti in cantiere, ma anche in considerazione della sua partecipazione alla
decisione di coinvolgere nei lavori l’ulteriore impresa.
Per quanto
sopra detto, in definitiva, il ricorso è stato rigettato dalla Corte di
Cassazione ed il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese
processuali.
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