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"«Acqua contaminata da un rubinetto su quattro»"
fonte Corriere della sera, M. Pappagallo / Acqua
12/05/2009 - Ma che cosa esce dai nostri rubinetti? Inquinanti chimici derivati dalla clorazione e colibatteri che invece non dovrebbe esserci. Lo studio della seconda università di Napoli, di cui il aveva anticipato i primi risultati nell’agosto 2008, è andato avanti e si è allargato a 50 città italiane in 17 Regioni. La sorpresa è stata la comparsa anche di batteri che proprio la disinfezione (clorazione) dovrebbe eliminare. L’obiettivo era quello di esaminare la qualità delle acque che si bevono: quelle dei rubinetti di abitazioni e quelle minerali imbottigliate in Pet (le classiche bottiglie di plastica) di 24 differenti marchi, corrispondenti al 73% del mercato. In totale oltre 35.000 analisi. Nelle città principali (Milano, Torino, Napoli, Roma, Venezia, Bari, Grosseto, Firenze, Pavia, Vercelli, Novara, Bologna, Genova) i campioni prelevati dai rubinetti sono stati almeno una ventina in case di zone diverse. Massimiliano Imperato, docente di Idrologia e Idrogeologia dell’università Federico II di Napoli e Direttore del Ceram (Centro europeo di ricerca acque minerali), è il coordinatore dello studio. Spiega: «I risultati ottenuti indicano elementi di criticità igienico-sanitaria nelle abitazioni, dovuti soprattutto alla presenza di contaminanti di natura chimica (composti organo alogenati e trialometani) e microbiologica». Quali sono le criticità individuate? Imperato riassume: «La presenza in un caso su 4 (circa 25% dei campioni di acqua potabile analizzata al rubinetto di casa) di contaminazione fecale probabilmente per una scarsa manutenzione delle tubature o dei serbatoi privati. In questi casi il 'carico' di cloro si rivela insufficiente per una completa disinfezione delle acque». Il secondo elemento di criticità è la presenza quasi sistematica di trialometani (per esempio cloroformio) e di composti organoalogenati (trielina, percloroetilene, dicloroetano). Sottoprodotti chimici della pur fondamentale clorazione: i residui della reazione tra le sostanze presenti nell’acqua (sostanza organica, carica batterica e organismi patogeni) e additivi disinfettanti. Più cloro, più sottoprodotti «inquinanti». Ovviamente questi dati riguardano solo i campioni esaminati. «Sì — dice Imperato — ma dovrebbero indurre a fare controlli proprio ai rubinetti e non solo a monte». I gestori degli acquedotti, infatti, devono per legge assicurare la disinfezione delle acque fino al contatore. Dopo i controlli andrebbero richiesti dagli amministratori dei condomini, dai proprietari delle abitazioni. Eppure, sarebbe meglio valutare l’acqua proprio al rubinetto. L’eccesso di cloro da che dipenderebbe? Spiega Imperato: «In reti di distribuzione molto lunghe e articolate, vi sono difficoltà nell’individuare il minimo dosaggio utile capace di assicurare la necessaria disinfezione delle acque evitando, allo stesso tempo, la formazione di sottoprodotti». I trialometani, in particolare, che mostrano forti variazioni di concentrazione nelle acque potabili in base alle stagioni. Quando è caldo occorre più cloro per disinfettare le acque. «Per questo andrebbero effettuati — insiste Imperato — almeno 4 controlli annui, e non uno solo come prevede la normativa». La distribuzione geografica dei contaminanti mostra una netta prevalenza dei composti organo alogenati (tetracloroetilene e tricloroetilene) nel Nord-Italia. Nelle Regioni del Sud (Puglia e Calabria) prevalgono i trialometani, in particolare il cloroformio. Il bromoformio è più presente nelle zone costiere della Toscana, bassa Liguria e Puglia ionica. I numeri: il 32,82% dei campioni da rubinetto presenta limiti oltre la norma di composti organoalogenati; il 72,82% di trialometani; il 77,44% di entrambi. Il problema è nei limiti ammessi. C’è disputa tra gli esperti sulle dosi minime tollerabili. E i batteri fecali? Dice Imperato: «Contaminanti di origine microbiologica sono stati riscontrati nel 24% dei campioni da rubinetto analizzati». In particolare nel 5,56% è stata rilevata la presenza di Escherichia coli, nel 18,52% di Coliformi totali, nell’11,11% di Enterococcus faecalis. Inoltre nel 2% è stata rilevata la presenza di Pseudomonas aeruginosa, nel 15% di Aeromonas hydrophila. Conclude Imperato: «In nessun caso è stata rilevata la presenza di indicatori di contaminazione fecale o ambientale nelle acque minerali imbottigliate». I rischi per la salute? Risponde Marco Guida, Igienista e tossicologo: «Recenti studi hanno mostrato una correlazione tra l’assunzione prolungata di acque clorate e l’aumentato rischio di cancro a prostata, vescica e retto». C’è poi la tossicità per fegato e reni. Infine, tracce di medicinali. «Minime — dice Matteo Vitali, chimico igienista de La Sapienza di Roma — ma che superano i depuratori del sistema fognario. E alla fine finiscono nei fiumi, nei laghi, in mare, nel suolo». Quali farmaci? Antibiotici, ansiolitici, anti- infiammatori. «Tant’è — aggiunge Vitali — che dal punto di vista normativo le aziende farmaceutiche dal 2000 devono anche presentare dossier relativi all’impatto ambientale dei principi attivi».
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