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"La fabbrica di alluminio produce veleni e inquina la falda: chiusa la Alupoint "
fonte il Corriere della sera, C. Carbonara / Ambiente
29/10/2009 - BARLETTA — Gli inquirenti hanno pochi dubbi: la Alupoint, azienda barlettana specializzata nella lavorazione dell’alluminio, è una «bomba ecologica». Anziché conferirli in appositi impianti, magari dopo un primo trattamento in sede, i reflui provenienti dalla lavorazione dell’alluminio finivano direttamente nella falda attraverso un pozzo artesiano collocato sotto il pavimento di un capannone della stessa azienda, con il loro carico di cloruri, solfati, alluminio e nichel oltre i limiti di legge, così come verificato dall’Arpa Puglia e dalla Asl. Il sostituto procuratore di Trani, Fabio Buquicchio, indaga al momento con l’ipotesi di scarico industriale non autorizzato; mentre l’azienda è finita sotto sequestro preventivo eseguito dai finanzieri di Barletta su disposizione del gip del tribunale di Trani, Roberto Oliveri del Castillo. E l’attività per ora rimane completamente bloccata. Ma non è escluso che la procura possa procedere presto per disastro ambientale, non appena sarà più chiaro che cosa quegli sversamenti abusivi abbiano prodotto sull’ambiente in quarant’anni di attività dell’azienda di proprietà della famiglia Francavilla. Dopo un fallimento risalente al 1996, la struttura di via Callano, a due passi dal passaggio a livello di via Andria, è passata al figlio 31enne, Michele Francavilla, che ne è socio di maggioranza e amministratore di fatto, anche se da alcuni mesi il responsabile legale risulta essere il 38enne Francesco Barile. Entrambi ora indagati per lo scarico industriale non autorizzato. Di certo, però, l’impatto ambientale dell’attività della Alupoint sarebbe rilevante, considerando che secondo le prime stime dell’ingegner Ezio Ranieri del Politecnico di Bari produrrebbe tra i due e i cinque litri di reflui al secondo, per un ciclo produttivo di dieci ore al giorno. E ora l’idrogeologo incaricato dalla procura, il professor Michele Maggiore, dovrà verificare se lungo il percorso della falda fino al mare qualcuno abbia potuto attingere acqua da altri pozzi artesiani e magari utilizzarla per irrigare anche i campi. Di certo una verifica non semplice, che comincerà non appena arriveranno i risultati delle altre analisi sui campioni di reflui prelevati nell’azienda. L’Arpa, insieme alla Asl, è stata chiamata in causa dai finanzieri coordinati dal capitano Giulio Leo a settembre, dopo una prima ispezione eseguita a giugno nell’azienda per motivi fiscali. In quell’occasione si accertò che su 19 dipendenti due erano in nero e al titolare vennero comminate le sanzioni amministrative previste per legge. Ma durante quell’ispezione i finanzieri, oltre ad alcune vasche in cui sembrava che venissero trattate acque di lavorazione, notarono dei canali attraverso cui venivano convogliate le stesse acque, dei quali a un certo punto si perdeva traccia all’interno di un capannone. In quest’ultimo c’erano invece tre vasche, nascoste sotto il pavimento a cui si accedeva tramite botole e contenenti ciascuna 16mila litri di reflui. Ma non si trattava di vasche di semplice contenimento, giacché dalla verifica della documentazione non risultavano prelievi di reflui attraverso autobotti. L’ultimo risaliva al marzo 2008, ma con ogni probabilità si trattava di reflui di tipo organico (insomma fogna nera). Mentre il vecchio gestore, Francesco Francavilla, ascoltato dai finanzieri, aveva — si legge nell’ordinanza di sequestro — «candidamente ammesso la dispersione di liquidi nel sottosuolo », smentiti naturalmente dai nuovi gestori. Gli ultimi dubbi i finanzieri li hanno fugati dopo alcune ispezioni molto dettagliate eseguite con l’aiuto dei vigili del fuoco, dalle quali è emerso che dall’ultima delle tre vasche partiva un tubo. Attraverso un georadar è stato possibile capire con precisione dove terminasse il tubo: direttamente in un pozzo artesiano sottostante, da cui naturalmente i reflui venivano riversati nella falda. I finanzieri hanno anche trovato un progetto per un impianto di trattamento dei reflui a norma, che evidentemente intendevano realizzare per adeguarsi. Di certo il mancato smaltimento degli stessi in maniera regolare ha permesso ai gestori di risparmiare 400-500 euro al giorno. Non poco per un’azienda che, nel suo settore, è considerata altamente produttiva e redditizia.
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