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"Con i pesci low cost truffa in agguato"
fonte La Gazzetta del Mezzogiorno, N. Carnimeo / Sicurezza alimentare
13/11/2009 - BARI - Pesce, la truffa è in agguato ai danni dei consumatori da quando sui nostri mercati arrivano grandi quantità di specie low cost dai mercati asiatici e dall’Africa, complici la crisi e la globalizzazione dei mercati. Partiamo dal Pangasio il cui nome suona di buono. Non molti sanno, però, che si tratta di un pesce dallo scarsissimo valore nutrizionale (contiene tanta acqua, poche proteine e pochi grassi buoni). che arriva dal Vietnam e viene allevato in uno dei fiumi più inquinati al mondo: il Mekong. Da noi arriva in filetti congelati bianchi e visto il suo costo, che si aggira sui 4 euro all’ingrosso, finisce spesso nelle mense oppure viene spacciato da furbi commercianti per filetti più nobili quali il merluzzo o la cernia. Altro pesce low cost è il Persico africano (volgarmente persico del Nilo e da non confondere con il prelibato pesce persico nostrano) allevato specialmente nel lago Vittoria, in condizioni ambientali disastrose e il cui mercato è legato all’import export di armi. Anche il persico africano arriva in morbidi filetti spinati e pronti all’uso che fanno felici le casalinghe frettolose. Il rischio? Che venga spacciato per filetti più nobili e pagato a peso d’oro. A queste due si aggiunge una terza specie dal nome poco rassicurante, la Filapia sempre di produzione orientale, venduta a prezzi ancor più stracciati. Sta pian piano conquistando i mercati europei. E se i pesci di provenienza italiana sono controllati grazie alla «rintracciabilità» sin dal produttore (pesca, acquacoltura), per quelli extracomunitari i controlli sono più difficili, le partite dal Vietnam o dall’Africa potrebbero arrivare da qualunque frontiera dell’Unione (la Romania?) e ottenere l’ingresso comunitario. «Con il Pangasio - dice Lawrence Jemmet dirigente dell’unità operativa prodotti della pesca dell’Asl Bari - per la salute non vi sono pericoli particolari. Ma lo teniamo sotto stretto monitoraggio dopo il caso di una partita sequestrata a Milano un anno fa». Altro rischio sensibile dei pesci low cost di importazione sono le sostanze conservanti adoperate e cioè i nitrati, i solfiti, l’anidride solforosa (pericolosa anche nelle carni perché fornisce un bell’aspetto a quelle andate a male) nelle giuste quantità non sono dannosi. Se chi li adopera - così come per i pesticidi in agricoltura - abbonda può creare danni alla salute. «In Puglia ci sono stati molti sequestri di crostacei, a partire dalle aragoste sino ai gamberoni - riferiscono gli esperti della Capitaneria di Porto di Bari al comando dell’Ammiraglio Salvatore Giuffrè -. Al posto dei «nostrani» vengono venduti anche quelli asiatici e tropicali, per i quali il prezzo cambia sensibilmente». Le garanzie per i cittadini vengono da tre magiche paroline «etichettatura», «tracciabilità» e «rintracciabilità» a beneficio dei «consumatori finali» (così le norme definiscono gli utenti finali e i ristoratori). Sui banchi delle pescherie e dei mercati per tutti i pesci esposti devono essere descritte in modo ben visibile la denominazione commerciale italiana, il metodo di produzione (ovveri se il pesce è stato pescato, allevato o è di acquacoltura) e la zona di cattura, Mediterraneo, Atlantico etc. Quest’ultima può anche essere una sigla, ma la pescheria deve esporre una mappa che indichi con chiarezza la provenienza. Deve essere indicato se il pesce è fresco, congelato o decongelato. Chi non ottempera a queste norme è passibile di multe da 600 a 3500 euro, ma nel caso in cui venga spacciata una specie per un'altra si tratta di frode, e la materia diventa penale. Eppure come dimostra l’intensa attività di sequestri della Guardia Costiera specialmente in Puglia, c’è chi ci prova. Così le «cappa» asiatiche sono vendute per vongole nostrane e diverse specie di squaliformi spacciati per il nobile pesce spada. Molto comune è anche la vendita della «Molva» - più conosciuta da noi come «Moscia» un pesce dalle carni bianche e dal prezzo contenuto - per merluzzo.
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