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"Le conseguenze negative e positive del lavoro sulla salute"

fonte PuntoSicuro / Salute

01/08/2011 -
Per favorire la prevenzione e la conoscenza delle malattie professionali ci soffermiamo oggi su un intervento che si è tenuto al convegno nazionale " Il Sistema di Sorveglianza Nazionale MALPROF".
Ricordiamo che il convegno - organizzato da Inail, Ministero della Salute e Conferenza delle Regioni e province autonome - si è tenuto a Roma il 25 novembre 2010 e ha trattato il tema della tecnopatie e del sistema MALPROF, uno degli strumenti operativi che concorrono alla costruzione del Sistema informativo nazionale integrato per la prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro ( SINP).
 
L’intervento, dal  titolo “ Lavoro e salute: un rapporto complesso” e a cura del Prof. Francesco S. Violante, ha affrontato diversi argomenti in relazione alla medicina del lavoro e alla possibilità di ridurre le eventuali conseguenze negative del lavoro sulla salute e di favorire invece quelle positive, ad esempio utilizzando il lavoro come fattore di promozione della salute della popolazione. 
Riguardo al rapporto tra lavoro e salute il relatore ricorda che:
- “un secolo di studi ha dimostrato che il lavoro può avere sulla salute conseguenze sia negative che positive;  
- le conseguenze negative sono infortuni, malattie da lavoro, riduzione della speranza di vita;  - il lavoro ‘sano’, tuttavia, è un importante fattore di promozione della salute”.
In questo senso le finalità della medicina del lavoro, che può essere indicata oggi come “scienza della salute nei luoghi di lavoro”, sono:
- “ridurre le possibili conseguenze negative del lavoro sulla salute;
- promuovere la salute della popolazione per mezzo di una sana e lunga vita lavorativa;
- migliorare la produttività del lavoro attraverso il miglioramento della salute”.
 
Dopo aver ricordato i dati relativi a infortuni e malattie da lavoro e le stime relative al costo per la comunità nazionale degli infortuni da lavoro, la relazione sottolinea che - secondo stime che ci arrivano da diversi paesi - il numero dei morti per malattie collegate al lavoro sarebbe 8 volte superiore a quello degli infortuni mortali.
Per gli infortuni sul lavoro esistono poi ampi margini di miglioramento, anche in relazione al fatto che “se in Italia avessimo la stessa proporzione di infortuni della Svezia (33.000 casi all’anno, di cui circa 60 mortali) ci sarebbe solo un quarto degli infortuni attuali”.
 
Dopo aver riportato dati relativi ai tassi di infortunio sul lavoro, l’autore si sofferma sulle malattie da lavoro attraverso alcuni dati tratti dal “ Fourth European Working Conditions Survey, 2005”:
- “il 35% dei lavoratori europei ritiene che il proprio lavoro sia dannoso per la salute (Italia 40%)”;
- questi i disturbi più frequenti: “ mal di schiena 24,7%, dolori muscolari 22,8%, affaticamento 22,6%, stress 22,3%, mal di testa 15,5%, irritabilità 10,5%”.
 
L’autore si sofferma su altri dati e stime che arrivano da paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
Ad esempio lo Health and Safety Executive in Gran Bretagna ha stimato la presenza, nel periodo 2003-2004, di circa 2.223.000 persone affette da malattie con cause riconducibili al lavoro (5.200 malattie professionali ogni 100.000 abitanti e 6.000 morti/anno a causa di malattie dovute a fattori di rischio presenti sul lavoro).
Negli Stati Uniti alcuni studi stimano che i decessi legati all’attività lavorativa costituirebbero “l’ ottava causa di morte in assoluto precedendo sia i decessi per suicidio sia quelli dovuti agli incidenti stradali”. Queste stime, questi studi, mostrano “l’enorme peso (sia in termini di vite umane che di costi economici) che hanno i decessi per malattie occupazionali o per infortunio sul lavoro”.
Vengono riportati poi alcuni dati che mostrano come la sottorilevazione delle malattie professionali in Italia sia ancora un dato importante di cui tener conto.
Ad esempio su 100.000 lavoratori assicurati, ogni anno,vengono riconosciute:  
- 29 malattie professionali in Italia;
- 40 malattie professionali in Germania;
- 86 malattie professionali in Danimarca;
- 109 malattie professionali in Francia;
- 113 malattie professionali in Spagna;
- 128 malattie professionali in Svizzera;
- 143 malattie professionali in Belgio.
 
Questi i problemi aperti in relazione alle malattie professionali:
- “causalità multifattoriale (interazione tra fattori lavorativi e non) e causalità ‘debole’”: nel video, che vi invitiamo a visionare, l’autore fa alcuni esempi di causalità ‘debole’;
- “quali conseguenze sulla responsabilità dei nuovi modelli di causalità”? Ad esempio la causalità considerata probabilistica (dove una causa è un evento che aumenta la probabilità che un altro evento accada) cosa significa dal punto di vista della responsabilità?
- “modelli di tutela impostati al tempo delle malattie professionali “classiche” (silicosi, intossicazioni) sono ancora adeguati”?
 
Arrivando ai possibili aspetti positivi del lavoro, il relatore ricorda che il lavoro può essere utilizzato come fattore di promozione della salute:
- alcuni dati mostrano come all’aumentare della condizione di precarietà del rapporto tra la persona e il lavoro aumenta il rischio di mortalità e certe attività lavorativa sembrano essere collegate a speranze di vita più alte;
- “è da tempo noto l’effetto ‘lavoratore sano’ per cui lo stato di salute di una popolazione di lavoratori è in genere migliore di quello di chi non lavora”;
- “non sono noti con certezza i fattori collegati al lavoro che determinano un miglioramento dello stato di salute”;
- alcuni fattori materiali sono: reddito; attività fisica; astensione dal fumo (in alcuni settori); controlli medici regolari (forse). Altri immateriali sono: identità, rapporti sociali, soddisfazione,…
 
É possibile migliorare la produttività del lavoro attraverso la promozione della salute (work-ability). Questi alcuni dati, riportati dal relatore, relativi all’ Unione Europea:
- l’Unione Europea è considerata “la nazione più anziana: l’età media salirà dagli attuali 38 anni a oltre 52 nel 2050” (la stessa cosa ad esempio non varrà per gli Stati Uniti grazie al flusso migratorio);
- nello stesso periodo il rapporto lavoratori attivi/in pensione scenderà da 4:1 a 2:1;
- l’OCSE stima che solo il 39% degli europei tra i 55 e i 64 anni lavori;
- secondo la Commissione Europea la popolazione in età lavorativa scenderà di 48 milioni tra il 2010 e il 2050 (gli anziani saliranno di 78 milioni);
- l’Unione Europea è anche la nazione che vanta la popolazione con il livello di istruzione più elevato nel mondo (e quindi anche la forza lavoro più istruita);
- studi scientifici in diversi campi dimostrano una forte correlazione tra: Istruzione, Lavoro, Reddito e Salute.
Viene poi segnalato che:
- “la formazione di un lavoratore europeo ha costi molto elevati rispetto alle economie emergenti e quindi il suo ‘costo di sostituzione’ è un onere sociale enorme;
- promuovere la ‘ work-ability’ ovvero la capacità di essere produttivi nell’attività lavorativa è un fondamentale interesse delle società più anziane (Europa, Giappone) per rimanere competitivi nel mercato globale”.
 
La relazione si conclude con un piccolo epilogo sui fattori psicosociali:
- “la ricerca scientifica non è solo capace di migliorare la tecnologia, ma può aiutarci a comprendere fatti importanti per lo sviluppo della società nel suo complesso, anche in ambiti particolari;
- anche aspetti considerati squisitamente appartenenti alla sfera dell’etica, come ad esempio l’equità (organizzativa), si prestano ad essere indagati scientificamente …”.
In conclusione viene infatti presentato un interessante studio in relazione all’avversione dell’iniquità come spiegazione della cooperazione tra alcune specie di esseri viventi.

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