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"Decreto 231: il sistema sanzionatorio e le prime sentenze"

fonte PuntoSicuro / Normativa

02/09/2011 - Le conclusioni del processo ai vertici della Thyssenkrupp ha reso oggi ancora più evidente la necessità di conoscere e valutare le conseguenze dell’applicazione del Decreto legislativo n. 231 del 2001, un decreto che ha introdotto il principio di “ responsabilità amministrativa” con riferimento ai reati commessi da amministratori, dirigenti o dipendenti nell’interesse e a vantaggio dell’azienda stessa.
 
Per approfondire questo tema e fare il punto dell’applicabilità del decreto, presentiamo un intervento che si è tenuto al convegno Inail del 3 maggio 2011 dal titolo “ Dai modelli organizzativi e di gestione alla responsabilità sociale di impresa”.
 
In “ Il sistema sanzionatorio del D.Lgs. 231/2001 e le prime sentenze” - intervento dell’avvocato prof. Mario Casellato, Docente di Responsabilità di Impresa e Modelli Organizzativi all’Università degli Studi della Tuscia – questi temi vengono affrontati, con chiarezza e competenza, partendo dalla normativa e arrivando alle prime sentenze di applicazione.
 
Il percorso, ci ricorda l’autore, inizia nel 2001 con l’introduzione della responsabilità “penale” delle società.  Questa responsabilità “penale” e il richiamo della legislazione sulla sicurezza sul lavoro al D.Lvo 231/01, “hanno messo sempre più in evidenza la necessità di un’efficiente organizzazione d’impresa e della gestione consapevole dei rischi operativi. L’adeguamento a queste normative costituisce lo strumento e l’opportunità per assicurare tali risultati”.
In particolare la responsabilità ex D.Lvo 231/01 è una “responsabilità diretta” in quanto “deriva da un fatto proprio dell’ente, cioè da una colpa dell’organizzazione dell’impresa (ed autonoma rispetto alla responsabilità dell’autore del reato) (cfr. Trib. Milano Gip, 26 febbraio 2007; anche Cass pen, sez. II, 20 dicembre 2005-30 gennaio 2006 n. 3615). 
 
Dopo aver affrontato la filosofia del decreto 231 e aver presentato nel dettaglio le sanzioni pecuniarie e le sanzioni interdittive, il documento si sofferma anche sul Commissario giudiziale (art.15).
Infatti “se sussistono i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina l’interruzione dell’attività dell’ente, il giudice, in luogo dell’applicazione della sanzione dispone la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un Commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l’ente svolge un pubblico servizio o servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
b) l’ interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione”.
 
Riguardo alla riparazione delle conseguenze del reato (art. 17), viene ricordato che le sanzioni interdittive “non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:
a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque adoperato efficacemente in tal senso;
b) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
c) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca”.
Rimandiamo i nostri lettori alla lettura diretta del documento agli atti con riferimento anche ai temi della confisca, alle sanzioni applicate in via cautelare e alle misure cautelari reali.
 
L’intervento si sofferma poi sui “ reati presupposto” in materia di Sicurezza sul lavoro. 
 
L’art. 25 septies del D.Lvo 231/01, introdotto dalla legge 123/07 e poi modificato dall’art. 300 del D.L.vo 81/2008, ha esteso la responsabilità amministrativa degli enti alle fattispecie di omicidio colposo (art 589 c.p.) e lesioni personali colpose gravi o gravissime (art. 590 c.p.) entrambi commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro. 
 
Il reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.) “si realizza quando si cagioni, per colpa, la morte di una persona con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”. In questo caso:
- “bene giuridico tutelato è la vita umana, che viene protetta sia nell’interesse dell’individuo che nell’interesse della collettività;
- soggetto attivo è chiunque sia tenuto ad osservare o a far osservare norme di prevenzione o protezione: datore di lavoro, dirigenti, preposti (anche di fatto) e lavoratori”;
- la condotta consiste nel cagionare la morte ed essa sia avvenuta per effetto dell’inosservanza di norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro;
- l’elemento soggettivo consiste nella colpa specifica, ossia nella inosservanza di norme precauzionali, (previste in particolare dalle norme in materia di sicurezza e salute sul lavoro) volte ad impedire gli eventi dannosi”.
 
Riguardo invece alle lesioni personali colpose gravi e gravissime (art. 590 c.p.) con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro il  “bene giuridico tutelato dalla norma è l’interesse dello Stato alla sicurezza della persona fisica, con particolare riferimento all’integrità fisica e psicofisica della persona”.
Ci sono alcuni elementi oggettivi di cui tener conto:
- “per lesione deve intendersi qualsiasi causa di danno alla persona, che determini una malattia nel corpo o nella mente;
- le lesioni possono essere cagionate con qualunque mezzo idoneo;
- si ritiene che l’evento del reato sia unico e consista nella malattia, dovendosi con essa intendere qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell’organismo”.
 
Il relatore ricorda che “l’introduzione dell’art. 25 septies nel novero dei reati del D.Lvo 231/01 amplia in misura considerevole la platea delle imprese per cui diviene indispensabile adottare un Modello Organizzativo” (con riferimento all’articolo 30 del Decreto legislativo 81/2008).
Infatti “ tutte le imprese, “a prescindere dall’attività svolta, sono soggette alla normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro ed i reati di omicidio colposo e di lesioni personali colpose”.
Tra l’altro il D.Lvo. 81/2008 “ha sostituito l’art 25 septies, modificando l’impianto delle sanzioni pecuniarie e interdittive a carico degli enti, graduandole in base alla gravità degli incidenti”. E l’art 30 del D.Lgs. 81/2008 individua le caratteristiche che i Modelli di Organizzazione e Gestione devono presentare affinché l’ente non incorra nella responsabilità di cui al D.Lgs. 231/2001 ex art. 25 septies.
 
La relazione si conclude poi con una raccolta delle prime sentenze 231 in materia di sicurezza sul lavoro.
 
Senza far riferimento alle sentenze dei Tribunali di Trani e di Torino, a cui il giornale ha dato ampio risalto, ci soffermiamo sulla prima sentenza di assoluzione in materia di D.Lgs. 231/2001.
Il 17 novembre 2009 il GIP del Tribunale di Milano “ha assolto una Società per Azioni operante nel settore delle costruzioni dalla responsabilità amministrativa prevista dal D.Lgs. 231/2001 per aver adottato già dal 2003 un idoneo modello organizzativo idoneo a prevenire nella fattispecie, tra gli altri, il reato di aggiotaggio informativo (ex art. 2637 cc.)”. 
Nella sentenza è specificato che si ritiene che i comportamenti illeciti oggetto di imputazione non siano frutto di un errato modello organizzativo, ma siano da addebitare al comportamento dei vertici della società che risultano in contrasto con le regole interne del modello organizzativo regolarmente adottato. La società deve essere pertanto dichiarata non punibile ex art. 6 legge 231/2001. 
 
Rimandando il lettore alla lettura delle altre sentenze, concludiamo con una breve presentazione della sentenza del Tribunale di Novara, Ufficio del Gip (dr. Pezone) ud. 1 ottobre 2010 (dep 26.11.10).
La vicenda era relativa alla morte di un giovane lavoratore, operaio presso il Centro Interportuale Merci di Novara, terminal ferroviario per il carico-scarico merci.
Il lavoratore “era addetto al controllo del carico dei treni, come dipendente di una cooperativa (W) che svolgeva tale servizio per conto di una società (X) avente la gestione del terminal, in subconcessione da Trenitalia S.p.A.(Y). Nel centro lavoravano, con mansioni strettamente interconnesse tra loro, dipendenti di tutti gli enti sopracitati. La vittima veniva investita, mentre attraversava i binari in corrispondenza di un passaggio pedonale, da un locomotore manovrato da personale di Trenitalia, e decedeva sul colpo”.
In questo caso il Tribunale di Novara “ha condannato sette dei dieci imputati (dirigenti e dipendenti degli enti) e ha dichiarato la responsabilità amministrativa delle società X e W, per la dimostrata chiara colpa organizzativa e gestionale, soprattutto quanto alla omessa cooperazione e coordinamento tra di esse, nonostante l'evidenza dei rischi connessi alla circolazione dei treni nel terminal”. La responsabilità viene invece esclusa nei confronti di Trenitalia S.p.A.(Y) perché l'illecito amministrativo non sussiste.
    
 
Il sistema sanzionatorio del D.Lgs. 231/2001 e le prime sentenze

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