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"Stress e lavoro: il codice civile e le sentenze significative"
fonte PuntoSicuro / Sicurezza sul lavoro
13/10/2011 - Con l’obiettivo di favorire la formazione e il miglioramento della
professionalità dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza ( RLS),
PuntoSicuro conclude la presentazione degli interventi che si sono tenuti al
seminario “
Il ruolo del RLS nella
valutazione dello stress lavoro-correlato”; un seminario organizzato dal
Servizio Informativo per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza ( SIRS-RER) insieme ad altri enti e
organizzazioni (Provincia, Comune e AUSL di Bologna, AUSL
di Imola, DPL di Bologna, INAIL e DSP di Bologna, CGIL-CISL-UIL, …).
Dopo
aver esaminato la normativa storica e vigente relativa al tema dello stress
lavoro correlato ( intervento
di Rolando Dubini) e i percorsi e metodologie di lavoro per la valutazione
dello stress ( intervento
di Graziano Frigeri), ci soffermiamo su alcuni aspetti giurisprudenziali
presentando i contenuti dell’intervento di Anna Guardavilla.
L’intervento
dal titolo “
Stress e codice civile”
passa in rassegna - sempre in relazione al tema dello stress
lavoro correlato nei luoghi di lavoro - alcuni aspetti relativi al Codice
civile, alle misure generali di tutela e alla letteratura giurisprudenziale
riportando testualmente articoli di legge e
sentenze.
Codice civile
La
relatrice ricorda che l’
Art. 2087 del
codice civile indica che “l’imprenditore è tenuto ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro”. A questo proposito la Cassazione
(
Cass. 2 maggio 2000 n. 5491) scrive che “l’obbligo che scaturisce
dall’art. 2087 non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione tipica
della prevenzione, riguardando altresì il divieto, per il datore di lavoro, di
porre in essere, nell’ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del
diritto all’ integrità
psicofisica del lavoratore”.
Inoltre
il datore di lavoro è tenuto a tutelare la dignità del lavoratore che è “la
condizione di onorabilità e nobiltà morale che nasce dalle qualità intrinseche
di chi ha dignità e si fonda propriamente sul suo comportamento, sul suo
contegno nei rapporti sociali, sui propri meriti e consiste in un rispetto di
sé, che suscita ed esige negli altri, in forza di tale esemplarità etica” (
Cass. Sez. Un., 29 maggio 1993 n. 6031).
Misure generali di
tutela
Vengono
sottolineati due punti dell’articolo 15 (Misure generali di tutela) del Decreto
legislativo 81/2008. Le misure generali di tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:
-
(…) “programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integri in
modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda
nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’ organizzazione
del lavoro” (lett. b);
-
“il rispetto dei principi
ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di
lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di
lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute
del lavoro monotono e di quello ripetitivo” (lett. d).
Giurisprudenza
La
relatrice riporta una
sentenza del
Pretore di Milano del 14 dicembre 1995: “il danno psichico puro, anche
quando non comporti un’apprezzabile riduzione della capacità lavorativa, è
comunque lesivo del diritto alla salute, da intendersi come l’insieme degli
aspetti che riguardano la specifica soggettività di ogni persona,
caratterizzata proprio dal suo modo di porsi e di essere, nonché dalle
specifiche caratteristiche della sua personalità”.
Alcuni
estratti di altre
sentenze significative
della Cassazione:
- “Poiché nella nozione di causa violenta
rientra anche lo stress
emotivo ricollegabile al lavoro svolto, si deve ritenere infortunio sul
lavoro quello che ha provocato la morte di un soggetto con cardiopatia
preesistente per effetto dell’usura e dello stress”
(Cass. Lav., sent. n. 13741 del
2000);
-
“Anche una condizione
lavorativa stressante, nella specie per sott’organico, può costituire fonte
di responsabilità per il datore di lavoro” e pertanto “non si può escludere che
vi sia un nesso causale, per un lavoratore obbligato all’uso di autoveicolo,
tra le condizioni
di stress e l’incidente stradale”
(Cass. Lav., sent. n. 5 del 2002).
In
particolare la D.essa Guardavilla si sofferma su tre diverse sentenze.
Cass. Lav., sent. n. 26231 del 2009:
- “Un infarto,
anche in soggetto già sofferente di cuore
ed iperteso, può costituire infortunio sul lavoro, ma occorre la prova che tale
evento, normalmente ascrivibile a causa naturale, sia stato causato o
concausato da uno sforzo, ovvero dalla necessità di vincere una resistenza
inconsueta o un accadimento verificatosi nell’ambito del lavoro il quale abbia
richiesto un impegno eccedente la normale adattabilità e tollerabilità”;
-
“Nella fattispecie però i giudici di appello mettono in evidenza che non vi
sono prove sulle circostanze in cui avvenne la morte, mentre le circostanze
anteriori non risultano assurgere a cause scatenanti un vero e proprio
scompenso morbigeno. Il riferimento alle condizioni climatiche è rimasto
generico e l’asserita insalubrità del posto di lavoro è sfornita di
prova”;
-
“Sulla base degli accertamenti in fatto, correttamente il giudice di appello si
è uniformato alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ha citato,
finendo per concludere che manca la prova dell’evento anormale, il quale era
l’unica possibilità di ricondurre l’infarto a infortunio sul lavoro”.
Cass. Lav., sent. n. 7663 del 2010:
-
“La Corte di Appello è pervenuta alla motivata conclusione che le Poste avevano
dotato l’Agenzia delle misure di sicurezza e, specificamente, delle misure
antirapina espressamente previste nel proprio regolamento interno ed estese
a tutti gli uffici di analoghe dimensioni e dislocazioni”;
-
“Dette misure erano, ad ogni modo, compatibili con quelle di protezione
previste dall’art.
2087 c.c. dovendosi avere riguardo alle
caratteristiche dell’attività dell’impresa e delle mansioni svolte dal
lavoratore, nonché alle condizioni dell’ambiente esterno a quello di lavoro,
sicché vi sia una apprezzabile probabilità, oggettivamente valutabile, di
verificazione del rischio
lamentato”;
-
“L’ambito di applicazione dell’art. 2087 c.c., pur se ampio, non può essere
dilatato fino a comprendervi ogni ipotesi di danno e non può essere esteso a
tutti quei casi in cui il danno non si sarebbe verificato in presenza di
migliori e diversi accorgimenti atti ad impedirne la verificazione, perché in
tal modo si perverrebbe ad un vero e proprio principio di responsabilità
oggettiva”;
-
“Non può contestarsi il convincimento del Giudice di appello, secondo cui la
società aveva improntata la propria condotta a tali principi, giacché aveva
tenuto conto delle piccole dimensioni dell’Ufficio postale in esame e,
soprattutto, della densità criminale notoriamente tra le più basse d’Italia,
nonché della scarsa incidenza di rapine nell’Ufficio in esame”.
Cass. Lav., sent. n. 18278 del 2010:
-
“Se pure al datore
di lavoro faccia capo la facoltà di predisporre, anche unilateralmente,
sulla base del potere di organizzazione e di direzione che gli compete ai sensi
degli artt. 2086 e 2104 c.c., norme interne di regolamentazione attinenti
all’organizzazione del lavoro nell’impresa, tale potere non è privo di
limiti…”;
-
“… occorrendo a tal fine che il suo esercizio sia effettivamente funzionale
alle esigenze - tecniche, organizzative e produttive - dell’azienda, e comunque
non si traduca in una condotta che possa risultare pregiudizievole per
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d’opera”;
-
“Ciò in quanto, nell’equo bilanciamento dell’esigenza di funzionalità
dell’impresa e di tutela delle condizioni di lavoro e del lavoratore, il
legislatore ha chiaramente privilegiato, con la disposizione di cui
all’articolo 41 Cost., ripresa dall’articolo 2087 c.c., quest’ultimo
profilo”; - “Nel caso di specie,
nell’ambiente unico di lavoro in cui veniva effettuata l’ attività
di stireria, era stato apposto un paravento di cartone che delimitava lo
spazio in due zone, l’una più ampia, entro la quale lavorava il personale e
l’altra, più angusta e priva di luce autonoma, al cui ambito vennero destinate
le lavoratrici ribelli”;
-
“Il dato obiettivo emerso è, pertanto, unicamente l’apposizione del paravento
in cartone, che non solo creava scompenso di luce ed aria nell’ambiente di
lavoro - in quanto chiudeva le ribelli in una sorta di angolo del preesistente
unico spazio - ma determinava l’ulteriore, grave scompenso
di natura psicologica, separando l’attività lavorativa delle une da quella
delle altre dipendenti”;
-
“La peculiare tipologia del lavoro svolto - attività di stiro industriale - di
evidente aggravio fisico, per le emanazioni di vapore a flusso continuativo, è
stata così ulteriormente appesantita dall’ulteriore, duplice ed ingiustificata
circostanza dell’angustia spaziale e della separazione dal residuo contesto
ambientale, alternativamente destinato alle lavoratrici acquiescenti”;
-
“Il punto nodale dell’intera vicenda è costituito dal divieto, posto in capo al
datore di lavoro, di adottare provvedimenti che, se pur funzionali alle
esigenze organizzative dell’azienda, si traducano in una condotta che possa
risultare pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori d’opera”;
-
“E tale divieto, avendo contenuto immediatamente precettivo, prescinde
dall’esistenza o meno di un intento punitivo da parte del datore
di lavoro, che si appalesa quindi del tutto irrilevante, trovando il
proprio fondamento nella normativa, di rango costituzionale, concernente il
rispetto delle condizioni di lavoro dei dipendenti, oltre che nella consequenziale
normativa codicistica”.
La
relazione si conclude con la citazione di una
sentenza del TAR del Lazio (sent. n. 35028 del 2010) che
approfondisce la tematica della dimostrazione dell’evento causativo e del nesso
di causa:
-
“I ricorrenti, appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, sostengono
violazione da parte della loro Amministrazione dell’art. 2087 c.c.: secondo le
prospettazioni degli interessati l’uso continuativo dei videoterminali
per oltre venti ore la settimana comporta un danno
da stress, che chiedono venga accertato anche tramite CTU”;
-
sostengono di aver “subito una esposizione diretta e continua, comunque
superiore alle quattro ore al giorno ad onde elettromagnetiche in grado di
produrre danni irreversibili sulla vista, sul sistema nervoso, provocando
alterazioni anche psicosomatiche”;
-
secondo il TAR, “non può essere accolta la pretesa al risarcimento del danno
alla salute, derivante dallo stress
di espletare la propria attività lavorativa tutti i giorni usando i computers
per più di 4 ore al giorno, in posizioni posturali e di luminosità precarie,
pure richiesto dai ricorrenti, a causa della carenza di dimostrazione del
pregiudizio subito”;
-
“I ricorrenti hanno prodotto la Circolare del Ministero del Tesoro n. 11/1989
recante ‘Problemi di sicurezza ed igiene del lavoro per il personale adibito
all’uso di video terminali’, una ricerca dell’ISPESL del 1995-1996 nonché un
opuscolo dell’INAIL intitolato ‘ Il
medico competente e gli addetti ai videoterminali’ contenente una raccolta
di norme, circolari e studi sulle conseguenze dell’esposizione a dette
apparecchiature”;
-
“Ancorché tale corposo apparato documentale possa tornare utile ad un
aggiornamento sulle problematiche in questione, esso non appare sufficiente a
provare il danno che ciascun ricorrente possa avere tratto dalla adibizione a videoterminali
e PC,
dal momento che affronta la problematica in generale”;
- invece “la prova del danno passa, secondo i
principi civilistici, per la dimostrazione anzitutto dell’evento causativo, del
nesso di causa e dell’elemento soggettivo presente in chi tale danno avrebbe
prodotto. Allo stato nessuno di questi elementi appare sufficientemente
dimostrato, con conseguente reiezione della relativa domanda”.
“ Stress
e codice civile”, a cura di Anna Guardavilla (Dottore in Giurisprudenza,
specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla
salute e sicurezza sul lavoro), relazione al convegno “Il ruolo del RLS nella
valutazione dello stress lavoro-correlato” (formato PDF, 59 kB).
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