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"Medico competente: l’obbligo di collaborare alla valutazione dei rischi"
fonte puntosicuro.it / Sorveglianza Sanitaria
02/03/2012 - Per la seconda volta nel giro di un
anno il Tribunale di Pisa (Sezione Penale, con sentenza 7 dicembre 2011 n.
1756)
ha condannato un medico competente per il reato di omessa
collaborazione alla valutazione dei rischi. La prima volta lo aveva fatto con
una nota sentenza ( 13 aprile 2011 n. 399)
che aveva
rappresentato - per quanto risulta - la prima sentenza di condanna di un medico
competente per violazione dell’art. 25 c. 1 lett. a) D.Lgs. 81/08,
disposizione
ai sensi della quale
il medico competente
“collabora con il datore di lavoro e con il
servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini
della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria…”.
Questa seconda volta l’azienda per la quale il
medico competente effettuava la propria prestazione professionale svolgeva
attività di conservazione, immagazzinamento e commercio di pellami ed era in
regime di autocertificazione perché al di sotto dei dieci dipendenti. Il datore
di lavoro aveva prodotto all’ASL, in occasione di una visita ispettiva, una
semplice autocertificazione e non era stato
“in
grado di documentare - mediante referti di analisi, predisposizione di misure
sanitarie ecc. - che quei rischi [cui si fa riferimento in sentenza, ovvero
biologico, di scivolamento, di inalazione dei gas di scarico prodotti dai
carrelli elevatori e di cadute dall'alto, n.d.r.] fossero stati effettivamente
individuati e controbilanciati con idonee misure di tutela sanitaria.” Inoltre
l’organo di vigilanza aveva accertato la
“mancata
istituzione del servizio di primo soccorso dato che non era stato sostituito il
lavoratore che vi era addetto, nel frattempo collocato a riposo.”
Tribunale di Pisa - Sezione Penale - Sentenza 7
dicembre 2011 n. 1756 - Condannato un medico competente per il reato di omessa
collaborazione alla valutazione dei rischi.
Nell’intento di ottemperare alle prescrizioni
ricevute, il datore di lavoro e il medico competente avevano elaborato con
l’ausilio dell’RSPP un documento di valutazione dei rischi che però secondo il
Tribunale “
non ovviava agli specifici
rilievi formulati dagli organi di vigilanza dal momento che - per rimanere agli
addebiti concernenti la figura del medico competente - non individuava né
prevedeva misure di contenimento del rischio biologico e del rischio di
inalazione dei gas di scarico”.
Il mancato adempimento alla prescrizione impartita
veniva segnalato così alla Procura della Repubblica. Solo tardivamente, con una
memoria difensiva, il medico competente adempiva producendo una
“integrazione al documento di valutazione
dei rischi […] col quale essa [l’imputata – medico competente, n.d.r.] prendeva
finalmente in considerazione il rischio biologico, per il quale prescriveva
come contromisura una terapia vaccinale, il rischio di inalazione dei gas di
scarico, per il quale prescriveva analisi più approfondite da parte del datore
di lavoro sulle conseguenze dell’impiego dei carrelli elevatori, e infine dava
atto di aver provveduto a formare con un corso di 12 ore un nuovo addetto al
servizio di primo soccorso.”
Questi sommariamente i fatti. Di grandissimo
interesse è a questo punto la parte “in diritto” della sentenza, in cui il
Tribunale affronta le numerose problematiche inerenti le modalità di
adempimento, da parte di un medico competente, dell’obbligo di collaborare alla valutazione dei rischi. Trattandosi di sentenza lunga e articolata - di cui si consiglia la
lettura integrale – si sintetizzano qui di seguito i principali passaggi
interpretativi sui punti controversi e le conclusioni cui perviene il Tribunale
punto per punto.
1)
Il nuovo “statuto professionale” del medico competente
dopo il decreto 106/2009
Il Tribunale parte dalla premessa che
“i più recenti interventi del legislatore
hanno sensibilmente modificato la figura professionale del medico competente,
aggiungendo alle sue tradizionali attribuzioni in materia di sorveglianza
sanitaria […] il nuovo ruolo di consulente del datore di lavoro in materia di
valutazione dei rischi” e che la
ratiodella norma incriminatrice sia
“quella
di stimolare, con la comminatoria della sanzione penale, l'adeguamento della
figura del medico competente alle nuove attribuzioni - e in definitiva alla
nuova mentalità professionale - che gli sono state assegnate)”.
E pur ammettendo che l’inserimento della sanzione
penale dell’arresto o dell’ammenda all’interno dell’art. 58 del decreto 81/08
nel 2009 (con il decreto 106) non è stata esente da critiche da parte di
autorevoli voci nell’ambito del dibattito scientifico, dal momento che
“come evidenziato dai commentatori più
avvertiti, è indubbio che si sia creata per questo verso una evidente
disarmonia all'interno del sistema di prevenzione e protezione dal momento che
tra le due figure professionali ugualmente gravate del ruolo di ausiliario del
datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi (il responsabile del servizio
di prevenzione e protezione previsto dall'art. 33 e il medico competente) è
stato assegnato rilievo penale solo alla mancata collaborazione di
quest'ultimo, e non invece a quella del primo”, nondimeno il Giudice di
Pisa parte dal presupposto che questo è il
“sistema
normativo oggi vigente” e che la priorità per gli interpreti a questo punto
è rappresentata dall’
“individuazione
dell'esatto contenuto precettivo della norma, stante l'evidente genericità del
modello di condotta sanzionato come doveroso.”
2)
La collaborazione del medico competente nelle aziende
in regime di autocertificazione
Il Tribunale ricorda che
“le modalità semplificate di valutazione dei rischi previste dall'art.
29 5° comma, se da un lato legittimano il datore di lavoro a non redigere un
formale D.V.R. emettendo in sua vece una semplice
autocertificazione
, dall'altro lato non lo
esonerano dall'obbligo di procedere comunque alla valutazione dei rischi, alla
quale il medico competente deve dunque prestare la sua doverosa
collaborazione.”
E, ancor di più, secondo
Cass. Pen. 3.3.2011 n.
23968, richiamata in sentenza,
“integra
il reato previsto dall'art. 4 comma secondo del D. Lgs. 19.9.1994 n° 626
l'omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi da parte del
datore di lavoro di un'azienda che occupi fino a dieci addetti, in quanto le
modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione
dei rischi, previste per tali aziende dal comma undicesimo della citata
disposizione, non esonerano il datore di lavoro dall'obbligo di predisporre e
tenere il predetto documento.” (Cfr.
su questo A. Guardavilla,
La collaborazione
alla VR da parte del MC in aziende autocertificate,
www.anma.it,
Nota a Cass. Pen.
n. 23968/2011.)
3)
Dove finisce l’obbligo del datore di lavoro e dove
inizia quello del medico competente rispetto alla valutazione dei rischi: il
“perimetro” dell’obbligo del medico
Il Giudice di Pisa precisa che
“ciò che si chiede al medico competente non è l'adempimento di un
obbligo altrui (la redazione del D.V.R.). ma lo svolgimento del proprio obbligo
di collaborazione, vale a dire
l'esauriente sottoposizione al datore di
lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che
coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria.” E,
di conseguenza,
“una volta che il medico
competente abbia assicurato quanto sopra, egli ha esaurito il perimetro della
sua condotta doverosa, con l'ovvia conseguenza che l'eventuale ulteriore
inerzia del datore di lavoro diverrebbe costitutiva di esclusiva responsabilità
penale di quest'ultimo.”
4)
Il medico competente ha l’obbligo di
collaborare non solo su richiesta del datore di lavoro ma anche in base alle
conoscenze acquisite “di sua iniziativa”
La questione è: il medico competente deve prestare
la sua collaborazione col datore di lavoro di sua iniziativa o solo previa
richiesta di quest’ultimo? In caso di totale inerzia del datore di lavoro
rispetto all’attivazione della procedura della VR, la condotta omissiva del
medico ha rilievo penale?
Il Tribunale fornisce una risposta a questo quesito
partendo dalla distinzione tra elementi di conoscenza che il medico competente riceve dal datore di lavoro,
mancando i quali il medico non può avere la possibilità materiale di
collaborare alla valutazione dei rischi, e informazioni che il medico “può e
deve acquisire di sua iniziativa”. E quindi,
“mentre è evidente che il medico competente non può essere chiamato a
rispondere dell’omessa valutazione dei rischi la cui conoscenza gli era
impedita dall'inerzia del datore di lavoro [ad es. per omissione dell’obbligo
di fornire le informazioni di cui all’art. 18 comma 2, n.d.r.], lo stesso non
può dirsi per quei profili di rischio che egli poteva e doveva conoscere di
scienza propria in virtù dei canali officiosi di acquisizione dei dati da
ultimo menzionati. In questo secondo caso deve ritenersi che rientri nei compiti
di collaborazione prescritti dall art. 25 l'obbligo di segnalare al datore di
lavoro tutti i profili di rischio di cui il medico competente sia comunque
venuto a conoscenza unitamente all'indicazione delle misure di tutela ritenute
necessarie, senza bisogno di attendere di essere a ciò richiesto
dall'imprenditore.”
5)
Anche le violazioni solo parziali (e solo
caratterizzate da colpa) dell’obbligo di collaborare alla valutazione dei
rischi possono avere rilevanza penale
Secondo il Tribunale
“la sanzione penale, nella intenzionale genericità del precetto
introdotto dall'art. 58 lett. c) colpisca ogni inosservanza dell'obbligo di
collaborare, anche se solo parziale, e anche se sorretta dal solo elemento
soggettivo della colpa.”
Assume pertanto rilevanza secondo il Giudice di Pisa
“non soltanto l'omissione intenzionale
della collaborazione (che è eventualità invero difficilmente ipotizzabile per
un professionista remunerato ad hoc) ma anche la collaborazione colposamente
incompleta, imperita, inadeguata”.
Questi gli approdi interpretativi cui perviene il
Tribunale di Pisa con la recente sentenza del dicembre 2011, che in alcuni
punti si ricollega - benché non esplicitamente - alla
precedente sentenza
del medesimo Tribunale (
13 aprile 2011 n.
399
) di cui la pronuncia appena commentata rappresenta una più complessa e
articolata evoluzione.
Nel caso della precedente sentenza dell’aprile 2011,
di rilevanza fondamentale
risultava la circostanza che
il protocollo
sanitario fosse incongruente e scollato rispetto al documento di valutazione
dei rischi:
“gli organi ispettivi
hanno verificato alcune incongruenze tra quanto risulta nel documento di
valutazione dei rischi aziendali rispetto al protocollo sanitario adottato dal
medico. Peraltro, a seguito delle prescrizioni formulate dall’USL, la ditta ha
provveduto ad inviare un documento che teneva conto esattamente delle
indicazioni del medesimo organo ispettivo, il che conferma l’esattezza delle
stesse”.
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