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"Decreto 81: il dirigente e gli obblighi per la sicurezza del lavoro"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
22/06/2012 -
1.
Dirigenti:
compiti
e responsabilità.
1.1. Aspetti generali
Il DIRIGENTE è
definito dal D.Lgs. n. 81/2008 come “
garante organizzativo” della
sicurezza e igiene del lavoro:
art. 2 c. 1 lett. d D.Lgs. 81/2008 «dirigente»: “
persona
che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali
adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore
di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”. La
definizione legale non prevede alcun livello contrattuale predefinito, dunque
anche un quadro intermedio può essere qualificato normativamente come dirigente
ai fini dell'attuazione dei compiti organizzativi e di vigilanza previsti dal Testo
Unico di sicurezza del lavoro, ne prevede la disponibilità di un potere di
spesa, e nel caso in cui questo manchi, i suoi obblighi dirigenziali saranno
obblighi gestionali organizzativi e di riferire a chi possiede il potere di
spesa le necessità prevenzionistiche emergenti.
La Cassazione, in un caso, ha
efficacemente sottolineato che “
la veste di dirigente [la fattispecie
riguardava un imputato, direttore dello stabilimento in cui avvenivano le
lavorazioni pericolose, cui è stato mosso l'addebito di aver consentito che i
lavoratori accedessero usualmente all'interno della catena di lavorazione per
consentirne il funzionamento; e di non aver adottato misure tecniche volte ad
evitare che gli organi delle macchine in lavorazione fossero protetti,
segregati oppure provvisti di dispositivi di sicurezza, il che causava una
lesione personale ad un'operaio]
non comporta necessariamente poteri di
spesa; e fonda autonomamente la veste di garante per la sicurezza
nell'ambito della
sfera di responsabilità gestionale attribuita allo
stesso dirigente.
Tale ruolo è indipendente
dalla delega, istituto che trova applicazione quando il datore di lavoro
trasferisce su altro soggetto, in tutto o in parte, doveri e poteri (anche di
spesa) che gli sono propri”[Cassazione
Penale, Sez. 4, 12 novembre 2008, n. 42136].
La
definizione del Testo Unico ex art. 2 di dirigente
(ma anche di preposto) “fotografa la posizione dei diversi soggetti aziendali”
(Anna Guardavilla) e pone l’accento “sulla natura dell’incarico conferito”, in
linea con la conclusione alla quale da tempo era arrivata la giurisprudenza,
secondo la quale “
tali qualità [di dirigente e/o preposto] discendono dalla
loro posizione assunta all’interno delle singole aziende o enti” (Cass.
Pen. , sez. III, sentenza n. 14017 del 15/04/05)” [Antonella Guadagni], ovvero
può essere individuata facendo riferimento tanto all'organigramma funzionale
aziendale quanto alle reali mansioni di fatto esercitate.
La Suprema
Corte ha con chiarezza sottolineato che
“il tratto
caratteristico della figura dirigenziale è rappresentato dall’
esercizio di
un potere ampiamente discrezionale che incide o sull’andamento dell’intera
azienda ovvero che attiene ad autonomo settore produttivo della stessa azienda,
non essendo richiesto come elemento necessario il fatto che il dirigente venga
preposto ed abbia poteri decisionali in ordine all’intera struttura aziendale”
(Cass. Sez. Lav. 11.07.07
n. 15489).
Ancora la
Cassazione ha definito il Dirigente come colui
che:
“sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche ricevute dal
datore di lavoro,
ha comunque i poteri e quindi è in grado di imprimere un
indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda e/o ad un suo
ramo o settore autonomo, assumendo tutte le corrispondenti responsabilità
di alto livello”
(Cass.
2005 n. 19903).
Da notare che
la figura
professionale del dirigente implica lo
svolgimento di compiti
coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti
, di qualsiasi livello, i quali
siano caratterizzati da significativa autonomia e poteri decisionali, che li
differenzino qualitativamente da quelli affidati agli impiegati direttivi
(Cass. Sez. Lavoro 19.07.07 n. 16015).
2. Art.18 D.Lgs. n.
81/2008: analisi dei compiti del datore di lavoro e dei dirigenti
L'articolo 18 è in
toto obbligatorio per il datore di lavoro, mentre nei confronti del dirigente
si modella sulle effettive competenze e attribuzioni, ovvero il dirigente è
obbligato ad adempiere solo a quelle prescrizioni che riguardano la sua
effettiva funzione in azienda, mentre per le altre che non riguardano i suoi
compiti aziendali ne risponde solo se specificamente delegato.
GESTIONE DELLE EMERGENZE E DELL'ANTINCENDIO
L'art. 18 c. 1 lett. b si occupa degli obblighi in materia di gestione delle emergenze e dell'antincendio e
nomina dei relativi addetti, che devono essere presenti durante tutto l'orario
di lavoro.
La giurisprudenza
La sentenza della Cassazione penale, Sez. IlI
- n. 33288 del 13 settembre 2005 (u.p. 28 aprile 2005 - Pres. Postiglione -
Est. Franco - P.M. Diff. Favalli - Rie. Anzaghi) è la prima che la Suprema
Corte dedica alla squadra antincendio prevista dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n.
626 prima e ora dal D.Lgs. 9 aprile 2008 n.81.
Le disposizioni oggetto della decisione sono
le tre seguenti:
1) l'art. 4, comma 5, lettera q), D.Lgs. n.
626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. t D.Lgs. n.81/2008], ai sensi del quale il
datore di lavoro «adotta le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi
e dell' evacuazione
dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato» e che
«tali misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni
dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, e al numero delle persone
presenti»;
2) l'art. 4, comma 5, lettera a), D.Lgs. n.
626/1994 [ora art. 18 c. 1 lett. b D.Lgs. n.81/2008] prescrive che il datore di
lavoro «designa preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle
misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei
lavoratori in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di pronto
soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza».
3) l'art. 12, comma 1, lettera b), D.Lgs. n.
626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008] stabilisce che «ai
fini degli adempimenti di cui all'art. 4, comma 5, lettera q), D.Lgs. n.
626/1994 il datore di lavoro designa preventivamente i lavoratori incaricati di
attuare le misure di cui all'art. 4, comma 5, lettera a)», ossia delle «misure
necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell'evacuazione dei lavoratori,
nonché per il caso di pericolo grave e immediato». (Per un riferimento all'art.
12 D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43 c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008] v.
Cassazione penale, Sez. IlI - Sentenza n. 36981 del 12 ottobre 2005 (u.p. 24
giugno 2005) - Pres. Savignano - Est. Fiale - P.M. (Conf.) Meloni - Rie.
Torchio).
La fattispecie riguarda la condanna
dell'amministratore delegato di una S.p.a., avvenuta in primo grado per il
reato di cui all'art. 12, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 43
c.1 lett. b del D.Lgs. n. 81/2008], «perché non aveva provveduto a nominare la
squadra antincendio».
Il Tribunale ritenne che «il documento che
conteneva l'indicazione del gruppo di primo intervento non costituiva
adempimento dell'obbligo in questione
perché
non erano indicati i compiti dei soggetti in esso menzionati nel caso si
fosse verificata una delle situazioni di cui all'art. 4, comma 5, lettere a) e
q), e quindi si trattava di una nomina meramente formale, anche perché non era
provato che ai soggetti nominati fosse stata comunicata la loro appartenenza al
detto gruppo».
[La Cassazione] prende atto che «all'imputato
è stata contestata la violazione di quest'obbligo, ossia di non avere
validamente ed effettivamente designato una squadra antincendi» e che, «per
adempiere all'obbligo di designazione in questione, non può certamente
ritenersi sufficiente una indicazione meramente formale, ma occorra anche,
quanto meno, che i lavoratori indicati come componenti di tale squadra abbiano
avuto notizia di fame parte, ossia siano stati innanzitutto informati di essere
componenti della squadra
antincendi e di avere quindi il compito di svolgere determinate attività in
caso di pericolo, e che occorra altresì che siano stati individuati e precisati
i compiti assegnati ai soggetti nominati e che gli stessi siano adeguatamente
preparati all'incarico loro affidato».
Constata anche, altresì, che «nella specie non
solo
non vi era stata alcuna adeguata
formazione e preparazione dei tre soggetti nominati come componenti della
squadra antincendi, ma che nemmeno erano stati individuati e precisati i
compiti loro assegnati e le attività che essi avrebbero dovuto compiere in caso
si fosse verificata una situazione di pericolo ed addirittura che i soggetti in
questione non erano stati neppure informati di questa nomina sicché essi non
erano a conoscenza di far parte della squadra antincendi, con la conseguenza
che, in caso di pericolo, non si sarebbe potuto presumere che essi si
attivassero per assolvere ai compiti che da tale nomina derivavano», tanto è
vero che «il datore di lavoro si era limitato esclusivamente ad inserire nella
scheda relativa al gruppo di primo intervento i nomi del direttore tecnico, del
capo manutenzione e del magazziniere, senza appunto nemmeno informare i detti
soggetti, specificare i loro compiti in caso di pericolo e fornire loro una
adeguata preparazione, sicché, se pure di nomina di una squadra antincendi si
potesse parlare, si sarebbe comunque trattato di una nomina puramente formale e
fittizia, e la semplice predisposizione della scheda non poteva certamente
costituire adempimento dell'obbligo in questione».
In questo contesto, la Cassazione chiarisce che
«la disposizione di cui all'art. 12, comma 1, lettera e), D.Lgs. n. 626/1994
[ora art. 43 c.1 lett. c del D.Lgs. n. 81/2008], nel prevedere l'obbligo del
datore di lavoro di informare tutti i lavoratori che possono essere esposti ad
un pericolo grave ed immediato circa le misure predisposte ed i comportamenti
da adottare, non ha nulla a che vedere con l'altro obbligo di designare
preventivamente una squadra antincendi, obbligo imposto dalla precedente
lettera b)».
Spiega che, «mentre
l'obbligo di informare i soggetti nominati membri della squadra antincendi
della loro nomina non costituisce altro che un ovvio corollario dell'obbligo di
preventiva designazione della squadra stessa, dal momento che non avrebbe alcun
senso, e quindi non sarebbe tale, una designazione puramente formale che non
fosse neppure comunicata ai soggetti designati, i quali quindi nemmeno sappiano
di far parte della squadra e del loro obbligo di attivarsi in caso di
pericolo». In altro contesto la Cassazione ha dichiarato che
“commette il
delitto di omissione colposa di cautele antinfortunistiche previsto dall'art.
451 c.p., oltre che la contravvenzione di cui all'art. 33 d.P.R. 27 aprile
1955, n. 547 [ora art. 46 comma 2 D.Lgs. n.81/2008], il titolare di una
discoteca il quale abbia predisposto idranti inefficienti e applicato alle
porte delle uscite di sicurezza chiavistelli che, pur se apribili, ostacolano
una rapida apertura: l’apertura delle porte di sicurezza deve essere sempre ed
in ogni caso assicurata con la massima facilità, attesa la loro funzione di
consentire il facile deflusso delle persone in caso di emergenza e, quindi,
secondo l’id quod plerumque accidit, anche di estrema urgenza”[
Cass. Pen. Sez. IV,sent.
del 2 marzo 1999, n. 2756, Pres. Fattori - Rel. Malagnino P.M. Meloni (Conf.) -
ric. Bergese]
AFFIDAMENTO
DEI COMPITI AI LAVORATORI TENENDO CONTO DELLE LORO CONDIZIONI E CAPACITÀ
L'art.
18 c. 1 lett. c prevede l'
obbligo di affidare i compiti
ai lavoratori tenendo conto delle loro condizioni e capacità, in relazione alla
sicurezza del lavoro.
“L’interesse dello Stato alla effettiva
assunzione delle misure di salvaguardia della salute del lavoratore non è
limitato alla fase che precede l’assegnazione dei compiti ma perdura per
l’intero rapporto” ( Cass.
III Pen. 2.7.2008 n. 26539).
1) Ad esempio secondo la Cassazione penale con sentenza n. 37999
del 3 ottobre 2008, in un caso di incidente stradale occorso al conducente
(dipendente poi deceduto) di un autoarticolato fuoriuscito dalla carreggiata,
il datore di lavoro è da ritenere responsabile e pertanto è tenuto a rispondere
delle conseguenze (delitto di omicidio colposo) per violazione delle norme per
la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a condizione che abbia sottoposto il
dipendente autista ad un faticoso doppio turno di lavoro e che l'incidente sia
causato da stanchezza.
Cass. Pen., sez. IV, 03/10/2008 n. 37999 - “Nel
percorrere un tratto di strada provinciale a curva in discesa alla guida
di un autoarticolato trainante un semirimorchio a cisterna, il conduttore,
per cause imprecisate, perse il controllo del veicolo e, alla velocità di 80
chilometri orari, percorse circa 50 metri in frenata e fuoriuscì sul lato
destro della carreggiata, finendo la propria corsa, ribaltato, in una scarpata
di oltre 70 metri dal piano viabile”.
Si accertò che “(…) quel giorno, l’autista era
stato sottoposto ad un doppio turno di lavoro (aveva preso servizio alle ore
4.05 ed aveva lavorato fino all’ora di pranzo; nel pomeriggio, alle ore 14.00
aveva ripreso servizio e l’incidente si era verificato alle ore 17.45), vietato
anche da specifiche disposizioni aziendali”. Il responsabile di quel secondo
turno – assolto in primo grado – fu condannato in appello per omicidio colposo,
in quanto “(…) la sua condotta colposa era stata ritenuta causa dell’evento”.
2) Cass. Pen., sez. IV, 08/03/2002 n. 9204 –
L’amministratore di una società è condannato per il delitto di lesione
personale colposa di un lavoratore infortunatosi a una macchina fresatrice, in
quanto “(…) non aveva neppure curato, come invece avrebbe dovuto, che il
lavoratore, assunto soltanto il giorno precedente, fosse in possesso della
qualifica professionale abilitante all’uso della fresatrice”.
3) “il titolare dell'impresa risponde, per " culpa
in eligendo", del comportamento del preposto, inesperto alla direzione
dei lavori, che lo stesso titolare abbia mantenuto in servizio, malgrado la sua
manifesta incompetenza e l'altrettanto palese inadeguatezza
del suo metodo di lavoro” [Cassazione penale sez. IV, 23 giugno 1995, n. 7569, Leoni,
in Riv. trim. dir. pen. economia 1996, 679 (s.m.)].
4)
«Si ravvisa un profilo di colpa generica del datore di lavoro nell’aver assunto
per un compito specifico e particolarmente rischioso due giovani inesperti dei
rischi connessi al processo di lavorazione loro demandato, senza nemmeno
compiere la più elementare indagine sulla loro capacità di svolgerlo nelle
prudenti condizioni di assenza di pericolo. Profilo, peraltro, che a ben vedere
si colloca nella cornice di quell’obbligo eloquentemente formulato dall’art. 4,
comma 5, letto c), D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626: “il datore di lavoro
nell’affidare i compiti ai lavoratori tiene conto delle capacità e delle
condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza”
(Sentenza n. 14875 del 26 marzo 2004).
5)
Cass. III Pen. 2.7.2008 n. 26539, sentenza relativa a fattispecie ove il
Presidente del Consiglio di Amministrazione è stato condannato per avere
violato l’attuale art. 18 c. 1 lett. c) D.Lgs. 81/08 non segnalando al medico
competente la necessità di effettuare gli accertamenti sanitari ad alcuni
lavoratori neoassunti prima di affidare loro i compiti da svolgere: “la
sorveglianza sanitaria non è circoscritta alla fase che precede l’assegnazione
alle mansioni del dipendente. Si deve, pertanto, necessariamente concludere,
per la natura permanente del reato perdurando l’obbligo della sorveglianza
sanitaria anche nel corso dello svolgimento delle mansioni e, quindi, la
condotta lesiva dell’interesse protetto sino a quando il datore di lavoro non
ottemperi all’obbligo di procedere agli indicati accertamenti” (Cass. III Pen.
2.7.2008 n. 26539).
VIGILANZA
L'art. 18 comma 1 lettera f si occupa degli obblighi di
Vigilanza:
1) Cass. Pen., sez.
IV, 11/06/2008 n. 23505 – “(…) Il
datore di lavoro, indipendentemente dalla continuità della sua presenza sul
luogo di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi
antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera
in condizioni di sicurezza,
vigilando altresì che le condizioni di sicurezza
siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera”, e che “(…)
il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le
attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei
dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al
minimo i rischi connessi all’attività lavorativa”; (…) detta posizione di
garanzia non viene meno nell’ipotesi di ‘temporanea’ assenza del datore di
lavoro, incombendo in capo ad esso l’obbligo di predisporre tutte le cautele
idonee a svolgere funzione antinfortunistica per tutte quelle lavorazioni che,
pur potendosi svolgere, in ipotesi, in sua assenza, sono da questi conosciute e
debbono essere dallo stesso datore di lavoro preventivamente valutate per la
potenzialità di rischio infortunistico ad esse connessa”.
2) Cass. Pen., sez. IV, 21/06/2006 n. 21450 –
La sezione IV afferma che l’amministratore delegato di una s.r.l. e direttore
di stabilimento era il “(…) terminale delle decisioni organizzative nell’ambito
della unità produttiva” ed aveva, quindi, “(…) l’obbligo di accertarsi della
rigorosa osservanza delle disposizioni antinfortunistiche”.
Né “(…) gli giova il rilievo secondo cui egli poteva non essere a
conoscenza di quel modus operandi, giacché negli obblighi di sorveglianza al
riguardo rientra, evidentemente, anche quello di doverosamente accertarsi di
quale sia il modus operandi nello svolgimento dell’attività lavorativa in
relazione all’osservanza delle misure antinfortunistiche prescritte dalla
legge”. Infatti,
la legge “(…) richiede,
in proposito, che il
titolare della posizione di garanzia si attivi di propria iniziativa, ed a
prescindere da rappresentate o meno sollecitazioni altrui, per verificare la
osservanza o meno di quelle misure da parte dei lavoratori dipendenti”.
Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n. 1238 del 19 gennaio 2005 (u.p. 26
ottobre 2004) – Pres. Marzano – Est. Palmieri – P.M. (Diff.) Viglietta – Ric.
P.M. in c. Storino e altra.
INFORMAZIONE,
FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO
L'art. 18 c. 1 lett. l prevede gli obblighi di
informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, ma anche di RLS, addetti antincendio e
primo soccorso, preposti e dirigenti:
1) Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 14175 del 21 aprile 2006
(u.p. 9 novembre 2005) – Pres. Coco – Est. Foti – P.M. (Conf.) Mura – Ric.
Succhiati. Condannato per il delitto di lesione personale colposa in rapporto a
un infortunio subito da un lavoratore dipendente adibito ad una macchina
spalmatrice con l’addebito di non aver predisposto i necessari corsi di
informazione, il legale rappresentante di una s.p.a. sostiene che “l’operaio
aveva ricevuto istruzioni in ordine all’uso delle macchine e alle cautele da
adottarsi”. La Sezione IV sottolinea che “con le semplici ‘istruzioni’ sull’uso
della macchina e sulle cautele da adottarsi non può ritenersi adempiuto, da
parte del datore di lavoro l’obbligo di informazione che la legge gli impone a
tutela della salute e dell’integrità fisica del lavoratore”: “informazione –
aggiunge – “che ha evidentemente portata ben più ampia e specifica rispetto
alle generiche e routinarie istruzioni sull’uso della macchina”. La Sezione IV
ribatte che “
la macchina in questione era soggetta a frequenti inconvenienti
del tipo di quelli verificatisi il giorno dell’incidente”, e, quindi,
“incombeva sul datore di lavoro istruire espressamente il lavoratore sulle
modalità da seguire nel caso di inconvenienti”. E in termini eloquenti
esclude che possa “avere efficacia scriminante la circostanza che sul luogo di
lavoro era presente un manuale che spiegava le modalità di funzionamento e
quelle di manutenzione
della macchina” tanto più che “
questo manuale, anche per le sue
dimensioni, era di difficile consultazione e comunque non poteva essere
ritenuto idoneo ad escludere l’obbligo di informazione [e formazione] del
datore di lavoro”.
Sempre sulla formazione dei lavoratori la
Sezione IV osserva, quanto al dovere di informazione e formazione dei
lavoratori, “che risulta insufficiente la mera predisposizione di cartelli che
facciano divieto di operare sulle macchine in movimento e di una lettera
informativa ai lavoratori che vieti la manomissione o la rimozione delle
protezioni presenti sulle macchine”.
Argomenta con inusuale incisività che “
gli
obblighi che gravano sul datore di lavoro, e ciò vale anche in tema di
informazione e formazione,
non sono limitati ad un rispetto meramente formale,
come può essere quello derivante dalla predisposizione di opuscoli e lettere
informative e dalla apposizione di cartelli, ma esigono che vi sia una positiva
azione del datore di lavoro volta ad assicurarsi che le regole in questione
vengano assimilate dai lavoratori e vengano rispettate nella ordinaria prassi
di lavoro”. E sottolinea
che “
il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza del lavoro,
deve operare un
controllo continuo e pressante per imporre che i
lavoratori rispettino la normativa e sfuggano alla tentazione, sempre presente,
di sottrarvisi anche instaurando prassi di lavoro non corrette” (Cassazione
penale, Sezione IV – Sentenza n. 18638 del 22 aprile 2004).
OBBLIGO DELLA SICUREZZA “IN SÉ” DEL LUOGO DI
LAVORO
L'art. 18 c. 1 lett. q prevede la “
Tutela popolazione e ambiente esterno”,
ovvero l'
obbligo della sicurezza “in sé”
del luogo di lavoro (sicurezza oggettiva):
1) Cassazione penale, Sezione IV – Sentenza n.
37079 del 30 settembre 2008 (u.p. 24 giugno 2008) – Pres. Licari – P.M. (Conf.)
Bua – Ric. Ansaloni sottolinea che “
le norme antinfortunistiche non sono
dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il
rischio che i lavoratori possano subire danni nell’esercizio della loro
attività,
ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro
che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine
che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono
essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l’altro, dovendolo desumere
dall’articolo 4, comma 5, lettera n), D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 18 c. 1
lett. q dlgs 81/2008], che, ponendo la regola di condotta in forza della quale
il datore di lavoro “prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure
tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o
deteriorare l’ambiente esterno”, dimostra che le disposizioni prevenzionali
sono
da considerare emanate nell’interesse di tutti, anche degli estranei al
rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo,
a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare
dell’impresa”.
Rolando Dubini, avvocato in Milano
La seconda parte dell'articolo, dedicata
all'individuazione del dirigente in relazione all’effettività delle
mansioni
esercitate a prescindere da
incarichi formali e poteri spesa, al principio di supremazia e al
consulente esterno dirigente, sarà pubblicata nei prossimi giorni.
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