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"Sicurezza sul lavoro: competenza dello Stato o delle Regioni?"
fonte www.puntosicuro.it / Normativa
05/07/2012 -
E’
di questi tempi la riproposizione, da parte della Commissione
parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con
particolare riguardo alle morti bianche, di tornare a collocare la
materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di
esclusiva competenza legislativa dello Stato.
La
proposta di modifica dell’art.117 della Cost., depositata al Senato nella forma
di disegno di legge costituzionale, prevede difatti una semplice modifica – dai
riflessi, di contro, tutt’altro che semplici – da operare al secondo comma
dell’articolo [1],
relativo all’elenco delle materie regolate dalla legislazione esclusiva dello
Stato, al quale verrebbe aggiunta la materia della «tutela e sicurezza del
lavoro», eliminandola invece dal terzo comma – nel quale oggi è inserita – e
quindi dall’elenco delle materie soggette al regime di competenza della
legislazione concorrente tra Stato e Regioni [2].
La
proposta non è nuova, nel suo contenuto, tenuto conto che già alcuni anni fa
prese corpo, ma la sua riformulazione è di estrema attualità, ancor più alla
luce dell’iniziativa seminariale [3]
che, a corredo della proposta, è stata organizzata
in data 25 giugno u.s., proprio presso il Senato, alla presenza delle più
alte cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, e i
ministri competenti [4]
ed i principali attori nazionali della prevenzione, tra cui le Parti sociali.
Al
centro della questione, di carattere squisitamente politico, ma argomentata con
ragioni di natura più tecnica, è la funzione della vigilanza sui luoghi di
lavoro, in tema di tutela della prevenzione e controllo sullo stato di salute
dei lavoratori, svolta ad oggi, nella sua quasi totalità degli interventi,
dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale) [5], e quindi
da personale ispettivo incardinato nel sistema regionale, funzione
precedentemente svolta invece dal solo personale dipendente direttamente
dall’Ispettorato del lavoro [6],
e quindi dal Ministero del Lavoro, nelle sue articolazioni territoriali.
Non
sempre la storia ha qualcosa da insegnare, ma senza dubbio il valore aggiunto
che l’esperienza porta con sé, è un bagaglio che non si può trascurare. E’ per
questo che un analisi adeguata di quanto è stato fatto (non di certo, di quanto
diversamente si avrebbe potuto fare, ma di sicuro di quanto ancora si può fare)
non può essere realizzata se non si richiamano alla memoria le tappe
fondamentali che hanno determinato un cammino che ad oggi raggiunge i quasi
trentacinque anni di attività.
Frutto
di un cambiamento epocale avvenuto nel 1978, mediante la Legge di riforma
sanitaria n.833, la vigilanza sui luoghi di lavoro (ma non solo, visto che
nell’articolato di riferimento di faceva richiamo a tutta l’attività relativa
alla prevenzione), venne passata alla competenza delle Regioni, in totale
coerenza con la complessiva gestione di tutta la materia della salute attribuita
al livello regionale.
Nel
2001, con la Legge costituzionale n.3, all’interno di una ampia riforma che
andò ad attribuire alle Regioni competenza legislativa concorrente su molte
materie, anche la tutela della salute e sicurezza sul lavoro passò a tale regime,
trovando piena coerenza con il già consolidato sistema degli organi di
vigilanza incardinati a livello regionale (nelle USL, poi divenute ASL) che,
con la riforma del 1978, e il pieno consolidamento nella funzione, da parte del
dlgs 626/94 (mediante l’art.23 [7]),
svolgevano da tempo una funzione fondamentale sul territorio. Funzione
confermata pienamente dalla vigente legislazione di riforma, il dlgs
81/08 s.m. (con l’art.13 [8]),
quale attuazione della Legge delega n.123/07, e a totale rispetto dei principi
comunitari (introdotti dalla storica direttiva quadro 89/391) e, comunque, già
consolidata e rafforzata dall’introduzione del coordinamento, tra i diversi
attori della vigilanza sul territorio, previsto dalle disposizioni contenute
nel DPCM del 21 dicembre 2007 [9]
che, pur giungendo in ritardo (alla luce di quanto già disposto dall’art.27 del
dlgs 626/94), rappresenta ancora oggi il cardine sul quale ha preso l’avvio il
complessivo sistema a rete, delineato poi dal dlgs 81/08 s.m., e concretizzato
attraverso il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche
attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia
di salute e sicurezza sul lavoro (art.5 [10]) e le sue
articolazioni sul territorio, i Comitati Regionali di Coordinamento (art.7).
Un
anno importante il 2007, nel quale venne anche varato – pochi giorni prima del
DPCM del 21 dicembre – un medesimo DPCM (datato 17 dicembre 2007 [11]),
denominato Patto per la tutela della
salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro, con il quale, per la
prima volta, il Ministero della Salute non solo confermava il pieno impegno nei
riguardi dell’attività di prevenzione e vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema
di salute e sicurezza, ma riferendosi al «cittadino che lavora, quale portatore
di diritti» [12],
introduceva tra le prestazioni essenziali da garantire (da parte di tutte le
Regioni) dei parametri qualitativi minimi (i Livelli Essenziali di Assistenza –
LEA) anche per quanto riguarda la vigilanza sui luoghi di lavoro, richiamando
le Regioni a stendere propri Piani di attività, coerenti con il Piano nazionale
della prevenzione che, da quel momento, sarebbe stato elaborato a cadenza
biennale [13].
E’
sui dati che oggi ci giungono da questo articolato sistema a rete che, se da un
lato è facile poter riscontrare mancanze (soprattutto sul livello del perfetto
coordinamento) ed obiettivi ancora da raggiungere, dall’altro risulta quanto
mai fragile poter argomentare in modo critico non potendo, di contro, da parte
di chi attacca il sistema, presentare dati di altrettanta significativa e
cospicua attività (a partire da quella di vigilanza) svolta sul territorio in
modo puntuale e specifico.
Proporre
di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di
trent’anni, ma che garantisce (con la ristrettezza delle risorse economiche ad
oggi disponibili per la sanità, complessivamente intesa) un numero di controlli
in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno [14]
(pari ad una media superiore alla soglia del 5% [15] sul numero
complessivo delle aziende italiane – soglia minima prevista – con punte, in
alcune Regioni, anche del 15%), è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo
alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior
efficacia di un sistema alternativo (in specifico, svolto da ispettori del
lavoro che,attualmente rappresentano numericamente circa ¼ degli organi di
vigilanza incardinati nelle ASL, sull’intero territorio nazionale, che
complessivamente sono circa 4700 operatori, di cui quasi 2800 nel ruolo di
Ufficiali di Polizia Giudiziaria).
E’
senz’altro vero che l’aver imposto al sistema della vigilanza da parte delle
ASL, un parametro minimo annuale di visite di controllo da realizzare, non è il
miglior mezzo per poter garantire una copertura adeguata, basata sull’efficacia [16],
delle verifiche in azienda, ed al contempo forma di garanzia di un’uniformità
di interventi su tutto il territorio nazionale, ma non diversamente tale
parametro può essere considerato totalmente inadeguato al fine di offrire una
base certa di interventi mirati nelle aziende, allo scopo di verificare il
rispetto dei precetti normativi di tema di prevenzione.
Se
il numero degli infortuni mortali nel nostro Paese è ancora assolutamente
inaccettabile – in una sola settimana, del mese di giugno, sono morti per cause
lavorative, 19 persone – e, con questo, il numero degli infortuni gravi (che
raggiunge circa 800.000 casi l’anno [17]) e le
malattie professionali, in costante crescita [18], a
partire dalle patologie muscolo-scheletriche, non per questo si può giungere ad
una troppo facile (e di certo insostenibile) assoluta attribuzione di
responsabilità alle carenze del sistema di controllo e vigilanza sul
territorio, garantito dal sistema regionale, a favore di un diverso modello, a
direzione accentrata nazionale.
E’
importante, difatti, non trascurare che intorno all’attività di controllo e
vigilanza sul rispetto degli obblighi normativi collegati strettamente al
processo di valutazione del rischio, altre sono le attività che devono essere
garantite, sia sul piano del supporto e assistenza alle realtà aziendali, sia
per gli ulteriori aspetti soggetti ai controlli che richiedono, non solo le
ordinarie competenze di natura amministrativo-tecnica, ma anche quelle di area
medica [19]
ed organizzativo-gestionale (visto il numero in crescita delle aziende che si
dotano di Sistemi
di Gestione per la Salute e Sicurezza sul Lavoro - SGSL – e Modelli di
Organizzazione e Gestione - MOG [20]).
A
tale riguardo, se rilevanti ed urgenti piani di intervento senz’altro devono
essere attuati (sull’esempio dei due Patti varati dal sistema delle Regioni,
come quello per l’agricoltura e quello per l’edilizia), l’azione che necessita
deve essere realizzata agendo su fronti diversi ed operando, non solo su di un
piano di inasprimento e frequenza dei controlli (tenuto conto che mai si potrà
pensare di giungere a controllare costantemente tutte le aziende del territorio
italiano, vista la frammentazione e la ridotta dimensionalità), ma soprattutto
sul livello della crescita del senso di responsabilità, della conoscenza
specifica e della percezione diffusa del rischio, da parte di tutti gli attori
aziendali della prevenzione (a partire dal datore di lavoro fino a scendere ai
lavoratori/trici, passando dalle figure intermedie di fondamentale importanza,
quali i preposti).
Il
contributo fondamentale che oggi la Commissione parlamentare di inchiesta
sul fenomeno degli infortuni sul lavoro può, non solo dare, ma garantire,
in modo costante e puntuale, non è quello di proporre percorsi nuovi e sistemi
di intervento alternativi che mortificano le esperienze e il bagaglio del
passato, per guardare ad un incerto e indefinito futuro, ma quello di
promuovere il consolidamento di una chiara politica nazionale di prevenzione,
fino ad oggi assente. Una politica che, basandosi sull’incrocio dei dati [21]
possa delineare gli obiettivi certi di intervento e le azioni prioritarie (da
cadenzare nel tempo), potendo contare sul contributo e la collaborazione
fattiva dei diversi soggetti impegnati sul territorio, a partire dal sistema delle
Regioni (consolidando la sinergia ed il confronto sia politico che tecnico,
tra queste, rafforzando gli organici dei servizi di prevenzione e vigilanza e
moltiplicando i momenti formativi e di aggiornamento per gli stessi operatori).
Ma potendo anche contare sulla collaborazione tra soggetti istituzionali
(potenziando ed intensificando l’attività dei diversi Comitati e Coordinamenti,
ai sensi degli artt.5 e 7, del dlgs 81/08 s.m.), e sull’azione ramificata sul
territorio garantita dalle Parti sociali, operata mediante gli organismi
paritetici e l’attività diretta dei rappresentati dei lavoratori per la
sicurezza (aziendali e territoriali). Anche la definizione del sistema di
qualificazione delle imprese (basato sulla premialità, ma anche sulla
previsione di parametri minimi necessari di garanzia di tutela dei lavoratori)
potrà, quando varato, andare a contribuire in modo fattivo, sia ad un
innalzamento del livello generale di prevenzione da parte delle imprese, sia
soprattutto un criterio uniforme di rispetto delle regole, come già ad oggi sta
iniziando a determinarsi per il mondo delle aziende impegnate in lavori in ambienti
confinati o a sospetto rischio di inquinamento [22].
Se
tutto questo si realizzerà, portando a sistema un assetto perfettamente
delineato dal decreto di riforma legislativa del 2008, alcuna modifica sarà
necessaria sul livello legislativo, ed ancor più costituzionale, per poter
realisticamente auspicare, ma non meno definitivamente raggiungere, non solo
una riduzione drastica degli eventi di danno e di disagio, in ambito
lavorativo, ma una condizione diffusa di miglioramento continuo in un quadro di
crescita e sviluppo sostenibile, ponendo la persona che lavora al centro, di un
sistema articolato di tutele.
[1]
La modifica prevista consisterebbe
nell’aggiungere, nell’ambito dell’elenco presente al secondo comma,
dell’art.117 Cost., dopo la lettera o),
la lettera «o-bis», con il
seguente testo «tutela e sicurezza del lavoro», eliminando, al contempo, al
terzo comma, le seguenti parole «tutela e sicurezza del lavoro». Se per il
commento sulla modifica al testo costituzionale, si rimanda alla lettura di
questo contributo, in questa nota si richiama brevemente l’attenzione alla
preposizione «del» anziché la più puntuale “sul”, utilizzata tra le parole
«sicurezza» e «lavoro», nel testo della proposta di modifica, tale da
ingenerare, da un lato una considerazione di errore sulla tematica, spostando
dalla materia relativa alla salute e sicurezza, al tema della certezza (o meno)
di un posto di lavoro, dall’altro (interpretazione più ampiamente sostenuta)
quella di volere, in forma sintetica, ricomprendere entrambe le aree, sia della
tutela prevenzionale che dell’occupazione
[2]
A tale riguardo occorre comunque
ricordare che tra le materie, ad oggi, di esclusiva competenza dello Stato che
hanno una diretta correlazione con il tema della salute e sicurezza sul lavoro
troviamo: riflessi che la disciplina della materia in oggetto può determinare
sulla concorrenza fra le imprese (art.117 Cost., comma 2, lett.e); l’ordinamento civile e penale
(art.117 Cost., comma 2, lett.l)
e la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio
nazionale (art.117 Cost., comma 2, lett.m).
[3]
Il Seminario a cui si fa riferimento è
quello che è stato organizzato dalla Commissione d’inchiesta, presso il Senato
della Repubblica, per il giorno 25 giugno c.a., dal titolo «Giornata nazionale
di studio sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro».
[4]
A fronte di una presenza silente e di
breve tempo del Presidente Napolitano – che si è limitato a scambiare qualche
minima battuta sul tema con i giornalisti fuori dell’aula dove si teneva la
Giornata di studio – il ministro Elsa Fornero, nel suo intervento, oltre a
parlare del tema della qualificazione delle imprese, quale strumento urgente e
necessario, ha focalizzando su quattro azioni strategiche l’impegno del Governo
sulla sicurezza sul lavoro, evidenziando il grande valore dei provvedimenti
varati dalla Commissione consultiva. Partendo dalle buone norme (che ha
precisato, devono sempre tradursi in buoni comportamenti) ha aggiunto, i
controlli severi, l’informazione e gli investimenti.
[5]
A
tale riguardo si rimanda al comma 2,
dell’art.13, del dlgs 81/08 s.m., nel quale vengono elencate le sole attività
sulle quali è prevista l’attività di vigilanza svolta da personale ispettivo
del Ministero del Lavoro.
[6]
Cfr. art.398, del DPR 547 del 1955.
[7]
All’art.23, comma 1, del dlgs. 626/94, si
legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute
e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale
competente per territorio…».
[8]
All’art.13, comma 1, del dlgs. 81/08
s.m., si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia
di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria
locale competente per territorio…».
[9]
All’art.1, comma 1, del DPCM del 21
dicembre 2007 (G.U. n.31 del 6.2.2008), si legge: «I Comitati regionali di
coordinamento, d'ora in poi Comitati, istituiti presso ogni regione e provincia
autonoma ai sensi dell'art. 27 del decreto legislativo 19 settembre 1994,
n.626, svolgono i propri compiti di programmazione e di indirizzo delle
attività di prevenzione e vigilanza nel rispetto delle indicazioni e dei
criteri formulati a livello nazionale dai ministeri della Salute e del Lavoro e
della previdenza sociale e dalle Regioni e Province autonome di Trento e di
Bolzano al fine di individuare i settori e le priorità d'intervento delle
attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul
lavoro».
[10]
Le principali funzioni del Comitato
(art.5, comma 3, del dlgs. 81/08 s.m.), al fine di garantire l’attuazione del
principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni si possono riassumere in
tre punti: 1) stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in tema di
salute e sicurezza sul lavoro; 2) individuare obiettivi e programmi dell’azione
pubblica di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei
lavoratori; 3) definire la programmazione annuale in ordine ai settori
prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività e i
progetti operativi a livello nazionale e programmare il coordinamento della
vigilanza a livello nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Va
detto che ad oggi l’attività del Comitato non è ancora strutturalmente partita,
determinando un vuoto significativo nell’azione di coordinamento e gestione dei
soggetti componenti.
[11]
DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del
4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto
per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».
[12]
Cfr. Punto 2, delle Premesse del DPCM del
17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo
del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione
nei luoghi di lavoro».
[13]
Il primo Piano nazionale della
prevenzione ha riguardato il biennio 2005-2007. Attualmente è in vigore il
Piano nazionale della prevenzione 2010-2012.
[14]
Sulla base dell’ultimo Rapporto a cura
della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (11/123/CR7c/C7),
datato 2010, il dato preciso complessivo che viene riferito in merito al totale
delle aziende oggetto di vigilanza è pari a 162.525 unità produttive.
[15]
Nel Patto per la tutela della salute e la
prevenzione nei luoghi di lavoro (DPCM 17.12.2007) venne fissato un limite
minimo percentuale (del 5%) di controlli sul numero complessivo delle aziende,
da parte degli organi di vigilanza delle ASL, che ogni Regione avrebbe dovuto
garantire. Sono poche le Regioni che ancora non sono riuscite a rispettare tale
soglia minima, mentre sono in crescita quelle che l’hanno ampiamente superata.
La percentuale media nazionale, ad oggi, si attesta su di una soglia pari al
6.6% di controlli sul numero complessivo delle aziende.
[16]
Il sistema introdotto dei LEA anche sui
temi ella salute e sicurezza sul lavoro si presta a spingere il sistema delle
ASL a livello regionale, attraverso i propri ispettori, a velocizzare gli
interventi di verifica nelle aziende per poter compiere, nei tempi più brevi,
in più alto numero di controlli effettuati negli ambienti di lavoro, al fine di
raggiungere la soglia minima annuale di verifiche richieste dal ministero della
salute (soglia minima del 5%).
[17]
Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il
dato che emerge è di 775.374 casi di infortunio grave, a fronte di 980 casi di
decesso per causa lavorativa. Significativo a tale riguardo l’apporto fornito dal
sistema INFOR.MO. che consiste nella sorveglianza degli infortuni mortali sul
lavoro, avviato nel 2002, tra Regioni, INAIL e ISPESL (istituto oggi confluito
nell’INAIL), allo scopo di monitorare gli accadimenti rilevati sulla base delle
indagini effettuate al momento degli eventi da parte dei tecnici della
prevenzione delle ASL.
[18]
Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il
dato relativo alle denunce presentate di malattia professionale è di 42.347.
Significativo in tal senso l’apporto dei dati forniti dal sistema MAL.PROF. che
costituisce una banca dati fondamentale alimentata dalle denuncie di malattia
professionale, dai referti pervenuti ai Servizi di prevenzione delle ASL, dalle
notifiche di patologia professionale acquisiti tramite ricerca condotta nei
reparti ospedalieri.
[19]
E’ rilevante (seppur da intensificare)
l’attività che viene svolta in merito ai controlli in azienda relativi
all’obbligo di avere un protocollo sanitario e le correlate cartelle sanitarie
(in caso di presenza di lavoratori soggetti a regime di sorveglianza
sanitaria), così come l’attività relativa alle procedure per ricorso avverso al
giudizio del medico competente, e le visite mediche (di idoneità o per casi
specifici di assunzione) effettuate presso i servizi di prevenzione delle ASL.
[20]
Ai sensi dell’art.30, del dlgs 81/08
s.m..
[21]
Un’importante contributo potrà venire
dall’istituzione del SINP (Sistema Informativo per la Prevenzione – art.8,
dlgs. 81/08 s.m.) che potrà fornire, una volta a regime, dati utili per
orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di
prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e per indirizzare le
attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni
disponibili. Significativi i componenti del SINP, tra i quali troviamo, oltre
ai ministeri della Salute e del Lavoro, le Regioni e l’INAIL, il contributo
degli organismi paritetici e degli istituti di settore a carattere scientifico,
ivi compresi quelli che si occupano della salute delle donne.
[22]
Cfr. DPR n. 177 , del 14 settembre 2011,
dal titolo “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei
lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti,
a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile
2008, n. 81” (GU n. 260 del 8-11-2011).
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