News
"L'esercizio abusivo della professione di installatore"
fonte www.puntosicuro.it / Sicurezza
07/09/2012 -
1. Aspetti generali
Esiste
uno specifico reato di abuso dell'attività di installatore, che
rientra nel campo di applicazione dell'articolo 348 del codice penale (Abusivo
esercizio di una professione - Chiunque abusivamente esercita una professione,
per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la
reclusione fino a sei mesi o con la multa a da euro 103 a euro 516.).
La
sentenza n. 909/2008 del 25 gennaio 2008, depositata il 26 gennaio, del
Tribunale di Milano include nel campo di applicazione di detto articolo proprio
l'esercizio abusivo della professione di installatore. La fattispecie riguarda
un cittadino italiano che aveva agito e operato impropriamente, senza esserne
abilitato, su una caldaia, provocando con il proprio intervento imprudente e
imperito, nonché violatore di leggi, regolamenti e discipline tecniche, la
morte dei coinquilini per intossicazione da monossido di carbonio.
Oltre
all'omicidio colposo l'imputato è stato condannato per violazione della
normativa vigente sugli impianti a gas (artt. 1, 3, 5 Legge 1083/1971) ed
esercizio abusivo della professione di installatore (art. 348 Codice Penale).
L'articolo 5 della Legge 1083/71 prevede l'arresto fino a 2 anni o l’ammenda
fino a 2065 euro se si violano gli articoli 1 e 3, in quanto chi realizza gli impianti
deve essere iscritto agli specifici albi presso le Camere di Commercio (ex
Legge 46/90 e D.M .37/08).
L'installatore
abusivo aveva attuato un’erronea attività di manutenzione (smontaggio e nuova
installazione)
di uno scaldabagno a gas, e a causa di ciò aveva colposamente cagionato la
morte, per intossicazione da monossido da carbonio, di una famiglia.
Il
giudice ha riconosciuto la penale di tale soggetto per i reati di omicidio
colposo (articolo 589 del Codice penale), di violazione della normativa sul gas
(articoli l, 3, 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1083) e di esercizio abusivo
della professione di installatore (articolo 348 del Codice penale). E ha
condannato l’imputato per tutti e tre i predetti reati contestatigli.
Tra
l'altro la sentenza sottolinea quanto segue: “( .. ) deve considerarsi,
oggettivamente, che le attività di smontaggio e in particolare di rimontaggio
dell’apparecchiatura furono compiute dall’imputato, come analiticamente e
fondatamente descritto nei capi di imputazione, in spregio alle disposizioni
vigenti. È opportuno ricordare che laddove l’installatore realizzi un apparecchio
alimentato a gas per uso domestico o ne compia la manutenzione senza
ottemperare alle regole Uni-Cig per la buona tecnica e la salvaguardia della
sicurezza delle persone e lo metta ugualmente in servizio, incorre nella
sanzione prevista dalla legge 1083/71 che all’articolo 5 punisce con l’arresto
fino a due anni o con l’ammenda da 103 a 2.065 euro i trasgressori degli
articoli l e 3 i quali prevedono che gli apparecchi alimentati a gas devono
essere realizzati secondo le regole specifiche della buona tecnica e della
sicurezza (norme denominate Uni-Cig).
Il
combinato disposto degli articoli 2, 3, 5 punisce con l’arresto fino a due anni
o con l’ammenda da 103 a 2.065 euro i realizzatori, gli installatori, gli
utenti di apparecchi o installazioni di impianti
a gas combustibile che:
•
non siano realizzati attenendosi ai canoni di sicurezza;
•
siano alimentati da gas combustibile per uso domestico e similare e non dotati,
fin dalla distribuzione, di un odore caratteristico;
•
non siano realizzati con le regole Uni-Cig indicate dall’articolo 3.
Proprio
per la delicatezza della tecnologia in materia di gas il legislatore riserva (D.Lgs.
37/08) soltanto agli iscritti nell’albo degli installatori istituito presso le
Camere di commercio e agli operai specializzati del gas gli interventi sui
predetti impianti, vietando espressamente lo svolgimento di tutte tali attività
al comune cittadino”.
2.
L'approfondimento della Cassazione
Da
tempo vi è un contrasto non risolto in giurisprudenza circa la estensione del
campo di applicazione del reato di esercizio abusivo di una professione (art.
348 c.p.) a comportamenti che non sono riservati in via esclusiva a una
determinata professione ma sono solo "tipici" di essa e vengano
svolti in modo continuativo, sistematico e organizzato da un non abilitato a
quella professione.
La
Sezione VI penale della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 36951/2011 del
13/10/2011, ha rimesso lo scioglimento definitivo del dubbio alle Sezioni
Unite. Anche se la questione in concreto sottoposta alle SS.UU. è riferita alla
professione di dottore commercialista e di ragioniere, la risposta delle SS.UU.
sarà estensibile a tutte le professioni. Ecco un estratto del provvedimento di
rimessione.
Svolgimento
del processo - Motivi della decisione
1.
La Corte d'appello di Milano, con la sentenza impugnata, ha confermato la
condanna alle pena di due anni di reclusione e 300 Euro di multa, inflitta dal
locale Tribunale a .... per i reati di truffa continuata (artt. 81 cpv. e 640
c.p., e art. 61 c.p., n. 11), falsità materiale continuata (artt. 81 cpv., 482
e 476 c.p.), abusivo esercizio di una professione (art. 348 c.p.), per avere
abusivamente esercitato la professione di dottore commercialista.
2.
La condanna per quest'ultimo reato è fondata sull'orientamento di questa Corte,
secondo cui, "ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348
c.p., (abusivo esercizio di una professione), sono atti rilevanti non solo
quelli riservati, in via esclusiva, a soggetti dotati di speciale abilitazione,
c.d. atti tipici della professione, ma anche quelli c.d. caratteristici,
strumentalmente connessi ai primi, a condizione che vengano compiuti in modo
continuativo e professionale, in quanto, anche in questa seconda ipotesi, si ha
esercizio della professione per il quale è richiesta l'iscrizione nel relativo
albo. Ne consegue che le attività contenute nella seconda parte della
previsione di cui al D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 1, (che disciplina
l'ordinamento della professione di ragioniere e perito commerciale) che sono
tipiche, e cioè riservate solo ai ragionieri e periti commerciali, non sono le
sole rilevanti ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 348
c.p., in quanto esse comprendono anche quelle "relativamente libere"
previste nella prima parte del succitato D.P.R. n. 1068 del 1953, art. 1, le
quali integrano, comunque, l'esercizio della professione se poste in essere in
modo continuativo, sistematico, organizzato e presentate all'esterno come
provenienti da professionista, qualificato tecnicamente e moralmente e
richiedono pertanto l'iscrizione nell'albo professionale" (Cass. Sez. 6 n
49/2003, rv. 223215, Notaristefano).
3.
Ricorre per cassazione l'imputato che deduce, innanzitutto, l'erronea
applicazione dell'art. 348 c.p., richiamando altro indirizzo della
giurisprudenza di legittimità, secondo cui "non integra l'elemento oggettivo
del reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 c.p.) la
compilazione delle denunce dei redditi e dell'IVA, atteso che queste attività
non rientrano tra quelle riservate ai dottori commercialisti, e ai ragionieri
ai sensi della L. 28 dicembre 1952, n. 3060, art. 1, lett. "a", e del
D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 1, dovendo considerarsi vietate solo
quelle che, in deroga al principio costituzionale della libera esplicazione del
lavoro sono riservate - da un'apposita norma - alla professione considerata
(Cass. Sez. 6, n. 13124/2001, Meloni, rv 218306).
4.
Effettivamente nella giurisprudenza di questa Corte, sussiste un risalente e
non risolto contrasto tra due opposti filoni, già segnalato con relazione
dell'Ufficio del Massimario n. 16/2003, redatta a seguito del deposito della
sentenza "Notaristefano" sopra indicata, relazione che ha indicato le
diverse sentenze espressive dei due indicati indirizzi.
5.
Successivamente a quella data non sono intervenuti significati ulteriori
interventi giurisprudenziali utili per la soluzione del contrasto, per cui al
Collegio appare necessario rimettere la decisione della questione alle Sezioni
unite, tanto più che il ricorrente assume a fondamento della corretta
applicazione dell'art. 348 c.p., proprio l'orientamento giurisprudenziale non
seguito dai giudici di merito.
P.Q.M.
La
Corte rimette la decisione del ricorso alle Sezioni unite.
Segnala questa news ad un amico
Questa news è stata letta 1511 volte.
Pubblicità